Si alternano tra di loro immagini crude, turpi, violente. Volti stanchi e sfigurati, mani che si scambiano sostanze, occhi troppo vispi o aperti a malapena. Un Trainspotting ambientato nei sobborghi romani, tra le periferie di San Basilio e Val Melaina, tra piazze di spaccio e criminalità a cielo aperto. Achille Lauro prende l’esperienza della sua vita e, oltre a farne un motore e una fonte d’ispirazione, la rende una cifra stilistica per tutta la prima parte di Ragazzi Madre – L’Iliade, che scrive, dirige e occupa per la gran parte.
In ordine cronologico raffigura la sua vita, dagli sbagli alla comprensione (degli altri ma soprattutto di se stesso), mosso e legato dall’unico filo rosso della musica, passione connaturata da sempre. Lauro parla del periodo in cui viveva in una sorta di comune popolare col fratello e con alcuni uomini più grandi e pregiudicati, esordisce in veste di narratore con una sorta di prosopopea delle sostanze. “Ho tenuto in pancia questi bambini aspettando che le acque si rompessero fin troppo. Una gestazione durata nove anni”, racconta, dando da subito un senso preciso e concreto al titolo del documentario.
La metafora del parto e i Ragazzi Madre
“Gli amici scomparivano. Vederli finire così fu per me il travaglio prima dell’obiettivo finale”, spiega. E poi il parto, la metamorfosi. “Confrontandomi col successo ho dovuto cambiare modo di essere, modo di vestire, modo di rispondere”, racconta, in una narrazione inedita per il genere documentaristico. Per una volta la fama non è raffigurata come un’entità satanica da combattere, piuttosto come un lento iter di cambiamento e istituzionalizzazione della persona.
E rimanendo minimale nell’abbigliamento e nel racconto, Lauro si lascia andare ad un mea culpa da ottanta minuti, raramente pietistico e qualche volta apologetico (si vedano le citazioni epiche iniziali e finali e l’accostarsi al patronimico Pelide Achille omerico), ma pur sempre rientrando nell’estro del personaggio.
Riconosce i propri sbagli, li condanna, ma non punta mai il dito contro i suoi fratelli per esperienza. Anzi, lascia loro il testimone della musica, la libertà di sfogare la frustrazione con le rime e le barre del rap, sua fonte d’esordio. Li sprona a prendere la strada da lui abbandonata, di un genere nato proprio con la volontà di raccontare gli ultimi e gli emarginati.
Si serve di riprese essenziali e di pochi testimoni, solo i più intimi. Si alternano parole del fratello Federico, dei produttori e compari Frenetik e Orang3, del collega e amico di sempre Boss Doms e di Pico Cibelli, presidente dell’etichetta Warner Music. Parlano di lui con ammirazione, ma senza troppi filtri edulcoranti, lo raccontano a parole e tramite materiale d’archivio di quasi dieci anni. Si riprendono nel processo di creazione dei primi beat, fino ad arrivare a Rolls Royce e all’inaspettato (e scandaloso) successo al primo Sanremo, con annesse controversie (la più assurda, quella di Striscia la Notizia, che lo accusò di inneggiare alle droghe per un’assonanza con un tipo di pasticca di ecstasy chiamata Rolls Royce come il suo brano in gara).
Nello sfondo, di tanto in tanto, si alternano i pezzi della discografia di Achille Lauro. Immagini della sua gestazione artistica, dal primo rap in stile Truceklan, innegabilmente ispirato dal collega Noyz Narcos, passando per la svolta trap di Ulala con Gemitaiz, fino alle influenze punk rock e grunge con sfumature urban di 1969 e Rolls Royce, nate da una sessione di home recording con i produttori e con Gemitaiz in una villa presa in affitto a San Felice Circeo.
Achille Lauro trend setter
Ragazzi Madre non tralascia la vocazione modaiola del cantante, il suo intrinseco trend setting e tutte le rappresentazioni passate per la tv generalista che destarono scalpore non molti anni fa. “Da Sanremo diventa un’icona di stile, di libertà e di identità di genere”, dice di lui Nick Cerioni, direttore artistico che curò il look di Lauro durante le iconiche performance della kermesse, tra cui il cosplay di Ziggy Stardust, il mantello aperto per svelare il body trasparente o l’abito di San Francesco d’Assisi.
“Non ho mai pensato di salire sul palco per diventare la bandiera di qualcosa o di qualcuno”, commenta lui inscenando modestia. Eppure, va riconosciuto, Achille Lauro è diventato un personaggio simbolo di quella narrazione inclusiva e non giudicante di cui tanti si fanno detentori senza convincere. Ancor più incisivo è il suo ruolo (qualcuno lo paragona a un moderno Renato Zero per nonchalance sessuale e libertà espressiva) se si prende in riferimento il contesto di provenienza. Perché la sua formazione è avvenuta in un contesto omofobo, misogino e tutt’altro che privo di confini, citando gli amici e colleghi che lo raccontano nel documentario, in cui chiunque si discostasse dalla mascolinità malata inculcata veniva emarginato.
Tanto più in quest’ottica, quella di Achille Lauro è un’allegoria a lieto fine, di una scalata ripida e tortuosa, verso un successo positivo e ristrutturante. Ragazzi Madre – L’Iliade è un racconto tanto sincero quanto sfaccettato. Racconta Achille Lauro e in egual modo Lauro De Marinis. Le origini, l’infanzia in un contesto brutalmente periferico e limitante, gli errori, la promiscuità con la malavita. Ma poi le consapevolezze, la riflessione, la presa di coscienza e, finalmente, la redenzione.
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