We Are The World, o di come la storia della musica pop cambiò in una notte

La ricostruzione documentaristica, composta da stralci di video, testimonianze attuali e ricordi di chi quella notte la visse di persona, ripercorre le riflessioni, le convinzioni, ma anche i ripensamenti dei presenti. Dal mancato entusiasmo di Bob Dylan e lo scetticismo di Cyndi Lauper alla presa di coscienza politica di Quincy Jones

“Avevamo solo quella notte. Quell’unica occasione”. È passata la mezzanotte del 29 gennaio 1985. Los Angeles ospita gli American Music Awards, uno degli eventi musicali più importanti e ambiti da cantanti, produttori e artisti, che conta tra le sue fila nomi di spicco del panorama come Madonna, Bon Jovi e Prince. Quella della fame in Africa è una questione di sempre più rilievo, che inizia a necessitare una presa di coscienza capillare, e gli anni Ottanta sono scenario dell’impegno sociale e collettivo di numerosi musicisti.

Ne aveva dato prova Bob Geldof con la composizione di Do They Know It’s Christmas e successivamente con l’ideazione del Live Aid, entrambe iniziative benefiche per sensibilizzare il pubblico generico alla carestia etiope. Due idee di enorme successo, che portarono sempre più musicisti ad interrogarsi sulla necessità di prestare attivamente la propria visibilità alla causa. Alla base di tutto, tuttavia, una forte carenza di rappresentazione: “Ci sono bianchi che salvano i neri, ma non c’è nessun nero che salvi i neri”, fece notare Henry Belafonte.

L’artista e attivista, dunque, cominciò a valutare la possibilità che fossero proprio gli stessi artisti neri a testimoniare la loro realtà, e diede vita ad un progetto nato con l’aiuto di Ken Kragen e Quincy Jones, proseguito grazie a Michael Jackson e Lionel Richie e reso definitivamente immortale da altri quaranta artisti, tra cui Bruce Springsteen, Billy Joel, Diana Ross e Tina Turner. La formazione iniziale, per We Are the World studiò le classifiche del tempo, si ingegnò nella ricerca di personalità attive nel sociale e ne studiò le voci, al fine di dare vita ad un gruppo più eterogeneo possibile, con la consapevolezza che “in quel preciso momento, stavamo facendo la storia”.

We are the world, la notte in cui si fece la storia

La notte degli AMA fu il pretesto per riunire tutti quei cantanti diversi per genere, stile, impronta e tonalità, rimessi in riga da Quincy Jones che li esortò a “check your ego at the door”, lasciare il loro ego sulla porta, durante ore non esenti da contrattempi, ironici aneddoti e contrasti. La ricostruzione documentaristica, composta da stralci di video, testimonianze attuali e ricordi di chi quella notte la visse di persona, infatti, ripercorre le riflessioni, le convinzioni, ma anche i ripensamenti dei presenti. Fa di quella notte un racconto leggendario, che quasi esula dal fine ultimo della beneficenza.

We Are the World: la notte che ha cambiato il pop

Commento breve Da Bob Dylan a Michael Jackson, la storia incredibile di ore irripetibili
Data di uscita: 29/01/2024
Cast: Lionel Richie, Kim Carnes, Tom Bahler, Bob Dickinson, Sheila E., Humberto Gatica, Quincy Jones, Cyndi Lauper, Huey Lewis, Kenny Loggins, Steve Perry, Ruth Pointer, Wendy Rees, Bruce Springsteen, Harriet Sternberg, Dionne Warwick, Steven Ivory, Ken Woo, Michael Jackson, Harry Belafonte, Lindsey Buckingham, Davide Byrne, Ray Charles, Phil Collins, Bob Dylan, Bob Geldof, Daryl Hall, James Ingram, Jackie Jackson, La Toya Jackson, Marlon Jackson, Tito Jackson, Al Jerreau, Waylon Jennings, Billy Joel, Ken Kragen, Madonna, George Michael, Bette Midler, John Oates, Jeffrey Osborne, Anita Pointer, June Pointer, Prince, Kenny Rogers, Diana Ross, Paul Simon, Sting, Tina Turner, Sarah Vaughan, Stevie Wonder
Regista: Bao Nguyễn
Sceneggiatori:
Durata: 96 minuti

È uno stralcio di storia contemporanea, una fotografia della fama nel suo aspetto più umano, a tratti anche troppo.

Tra una Cyndi Lauper dapprima restia nel prendere parte al progetto, convinta dal fidanzato che la canzone fosse brutta, e in seguito costretta a registrare ancora e ancora la sua strofa per i troppi gioielli che sbattevano facendo rumore nel microfono, allo zoo domestico di Michael Jackson, fatto di scimpanzè, serpenti e merli indiani da accudire durante il processo creativo con Richie. E ancora la superbia di Prince, che lo convinse a rinunciare alla registrazione, Diana Ross commossa dal progetto e restia nel lasciare lo studio o Stevie Wonder che, giocando sulle disabilità di entrambi, propose a Ray Charles di accompagnarlo in bagno.

Un Bob Dylan mai visto

Il più disorientato sembra Bob Dylan, capofila del cantautorato impegnato, immerso a pieno (e suo malgrado?) nel pop per una notte, riluttante rispetto all’entusiasmo dell’intero gruppo cantante. Sono le 5.30 del mattino, e l’artista si prepara a cantare le sue celeberrime battute “there’s a choice we’re making, we’re saving our own lives”. Tentenna, farfuglia, quasi balbetta. Ci riprova, ma non ci riesce. Si affiancano a lui Quincy Jones e Stevie Wonder: il primo gli suggerisce di cambiare tonalità, il secondo ne imita il timbro e lo esorta a rifarla, finalmente con successo. In quel contesto apparentemente omogeneo Dylan sembra un estraneo. Sembra non sapere cosa stia facendo in quel posto pieno di artisti fomentati dalla causa, contenti di prendere parte a un brano che, lo sanno già, sarà storia.

Per una notte ognuno mette in campo il suo estro creativo, seppur per poche parole, per la lunghezza di una strofa. Qualcuno si sente di troppo e qualcun altro si lascia assoggettare all’enormità di tutti quei miti coinvolti, – che anche visti a distanza di trentanove anni destano ancora una certa soggezione – in un gioco fatto di ritmi, battiti di mani e vocalizzi tanto semplici quanto arguti e lungimiranti, che hanno dato vita al singolo benefico più famoso al mondo.

We Are The World uscì il 7 marzo di quello stesso anno, fu tramessa in mondo-ascolto, e ottenne quattro premi ai Grammy del 1986. Un incasso di ottanta milioni di dollari globali per l’ingegno e il lavoro di una notte, di quarantasei voci a sostegno di quel famoso “brighter day” che sarebbe prima o poi arrivato. In cui quella sera, tutti avevano almeno un po’ cominciato a credere.