La rivoluzione dei suoni è donna, anche anno domini 1800. Prende forma dagli oggetti, dai movimenti della quotidianità, dai rumori e dagli struscii, la musica si compone pezzo per pezzo, nell’immaginazione, nella mente di una ragazza – pare una sguattera – in quest’istituto religioso per orfani, “da qualche parti vicino a Venezia”. Una musica che cresce sempre di più, si contamina e contamina, fino a diventare strumento di liberazione, di conquista di sé. Benvenuti a Gloria!, il sorprendente esordio di Margherita Vicario, in concorso alla Berlinale: un esordio intriso di musica (“ma non nel senso del musical americano”, corre a sottolineare la giovane regista, che di suo sarebbe cantautrice “o cantante, non so”), di sicuro uno dei film meno attesi del festival tedesco, probabilmente uno dei più freschi.
Situazione: all’istituto Sant’Ignazio, dove un sacerdote – Padre Perlina – insegna musica a delle orfane, dirige il coro e la piccola orchestra, è annunciata la visita di nientemeno che del Papa Pio VII, fresco di conclave. Altrove è il tempo di Napoleone e ci sono ancora gli echi della Rivoluzione francese, ma qui è ancora la religione a dirigere le vite, sia pure nell’ipocrisia, nelle prevaricazioni, nei sotterfugi, nel litanie dei benpensanti. Costui, Padre Perlina, ha il compito di comporre un nuovo concerto per accogliere degnamente il pontefice, ma non gli regge più la pompa, per così dire, e per di più spreca il poco denaro a disposizione per coprire i debiti di un giovane cantante da lui bramato (peccato, orrendo peccato).
Ebbene, è l’arrivo di un pianoforte (simbolo dell’innovazione estrema, qui è ancora tempo di clavicembali) a cambiare le regole del gioco: innanzitutto perché la sguattera di cui sopra – in realtà un genio musicale, per quanto ruspante e autodidatta – viene a suonarlo di notte nella cantina dove è stato nascosto, dopo poco scoperta dalle musiciste più o meno orfane, poi perché tutte insieme intorno quello “strumento del demonio” solidarizzano, creano sorellanza, fanno musica. Una musica nuova, sempre più nuova, inaudita.
E sta qui il colpo di genio di Vicario: la musica composta prima dalla sguattera, Teresa (forse è pure muta, forse no, ma qui non vogliamo sfidare troppo il Demone Spoiler), poi da tutto la gang delle ragazze, è molto ritmato, di struttura certamente più semplice del tardo barocco primo classicismo in voga in quel pezzo d’Italia, ma sicuramente è più diretto, più immediato: in pratica, è pop.
Ora, certo, questa è invenzione allo stato puro, e sta allo spettatore stare al gioco oppure no, come sempre. E tuttavia è vero che questo gioco è capace di innescare un processo di identificazione molto forte, sia pur con qualche svirgolata di troppo (tipo una canzone che pare Annalisa la sanremese e qualche dialogo un po’ troppo “contemporaneo”). Però forse sono proprio i momenti della creazione musicale i più riusciti, questo essere attratte dai suoni nuovi, eccitate da un qualcosa che è incorporeo che parla alle anime, qualcosa che ci parla di libertà. Qua e là emerge un Vivaldi forse un po’ troppo bistrattato nel suo essere il contraltare del nuovo rivoluzionario, ma questa musica si rivela una febbre contagiosa, sfrenata e liberatoria.
In tanta musica, sono due volti ad essere l’architrave visiva di Gloria!: sono quelli di Galatea Bellugi, che interpreta la sguattera Teresa (verso la fine scopriremo quale è il suo segreto), e di Carlotta Gamba nei panni del primo violino di quest’orchestra tutta al femminile. A fare il prete, espressione più nera del patriarcato (come si direbbe oggi), è un sorprendente Paolo Rossi, forse una delle sue migliori prove. Nessuna sorpresa, giura lui parlando dopo con i giornalisti: “Innanzitutto, ho cominciato a lavorare proprio in parrocchia. E poi la messa è ovviamente uno spettacolo dalla partitura perfetta, dove l’omelia è la parte stand up. Si sa, noi comici lavoriamo con la parte oscura, nera, della vita”.
Di Galatea Bellugi – attualmente più famosa in Francia che da noi (è candidata ad un premio César) – sentiremo ancora parlare molto, su questo sono aperte le scommesse: non è solo il suo volto leonardesco e il fatto che ha pure una preparazione musicale che qui non guasta, soprattutto è di quelle interpreti che riescono a tenere in piedi intere sequenze con lo sguardo. Poi ci sono le altre musiciste della banda: Veronica Lucchesi (ossia La Rappresentante di Lista), Maria Vittoria Dallasta e Sara Mafodda, accompagnate da Vincenzo Crea nel ruolo del cantante gay che fa tribolare il sacerdote-maestro, Natalino Balasso nella parte del governatore trafficone che pagherà con la vita la sua ostilità alla “musica del diavolo” e Elio (sì, quello delle Storie Tese) nel ruolo del solidale accordatore Romeo.
“Sì, un film pop”, confessa Margherita Vicario, che (“basta andare su Google”) ha fatto le sue ricerche sul periodo storico dove ha deciso di ambientare il suo film d’esordio: davvero fino all’epoca napoleonica esistevano questi istituti religiosi in cui veniva insegnata la musica alle orfane, ed in molti casi le “ospiti” preferivano restare qui pur di poter continuare a suonare gli strumenti. La neo-regista lo spiega bene che Gloria! è anche, o soprattutto, un omaggio alle migliaia di donne che nei secoli hanno fatto musica, hanno composto, e che sono state tenute ai margini e, generalmente dimenticate.
“Certo, ci si sono state anche importanti musiciste nella storia, qualcuna anche famosa”, insiste Vicario. “Ma oggi basta dire Ludwig, basta dire Amadeus e tutti sanno di chi si sta parlando. I nomi delle compositrici non li ricorda nessuno”. E ancora: “Ci sono sempre state donne donne che facevano musica, molto libere creativamente, che trovavi o nelle corti o nei collegi, comunque in luoghi protetti. Donne di talento che preferivano farsi suora pur di continuare a suonare. Siccome erano le ultime, a volte i loro cognomi erano gli stessi dei loro strumenti. Ho immaginato così che potevano anche esibirsi in brani molto moderni e dato che nessuno li ha potuti sentire, oggi posso far loro suonare quello che voglio senza essere smentita”.
Beh, sì e forse no, e certo l’approccio al racconto storico ha un suo candore, ma la bella fotografia pastello, l’indugiare sui volti e sui movimenti, la musica composta proprio da Margherita Vicario insieme a Davide Pavanello, soprattutto il senso di giocosa libertà che percorre il film hanno sicuramente la meglio: è una specie di favola Gloria! (dall’11 aprile nelle sale italiane, acquistato per la distribuzione già da altri nove paesi), finanche per gli standard della Berlinale è una piccola-grande rivoluzione. E quelle fanno sempre bene allo spirito.
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