Se la commedia francese avesse un (doppio) volto sarebbe quello di Olivier Nakache e Eric Toledano. La coppia di registi e sceneggiatori francesi dietro film come Quasi amici, Samba o The Specials. Uno sguardo pungente ma mai cattivo sui nostri tempi grazie al quale raccontare la società in cui viviamo, tra sussidi statali, privilegi economici, immigrazione e periferie. Ora il duo di cineasti è tornato con un nuovo film, Un anno difficile, con protagonisti Pio Marmaï, Jonathan Cohen, Noémie Merlant presentato fuori concorso al 41° Torino Film Festival e in sala dal 30 novembre con I Wonder Pictures.
Il racconto di un mondo fatto di estremi: chi da un lato si batte contro il cambiamento climatico e il consumismo sfrenato scegliendo di liberarsi del superfluo e chi, invece, finisce per indebitarsi fino al collo spinto da un desiderio compulsivo a possedere sempre di più senza pensare alle conseguenze personali e collettive delle proprie azioni. Come Albert (Marmaï) e Bruno (Cohen), due scrocconi sempre al verde, che nel tentativo di imbucarsi a un aperitivo si trovano coinvolti nelle attività di un gruppo di eco-attivisti capeggiati da Cactus (Merlant).
Un anno difficile e il senso di insoddisfazione
Il film si apre con il montaggio di vari presidenti francesi di epoche diverse che ripetono che quello passato è stato per il paese “un anno difficile”. Il simbolo della retorica della politica o lo stato di crisi nel quale siamo immersi da decenni? “Entrambe le cose” racconta Olivier Nakache, a Torino per presentare il film. “Abbiamo avuto l’impressione che questo piccolo montaggio, trovato come per magia, dicesse molto sul nostro tempo e sulla nostra epoca. Perché i presidenti hanno bisogno di dirci sempre che è difficile e continuerà ad esserlo. Continuano a coltivare questa insoddisfazione, come per scoraggiare le persone, per spaventarle. ‘Vi abbiamo avvertito’. È stato questo culto dell’insoddisfazione a farci riflettere”.
“Ed è vero che quando ci siamo imbattuti in quei filmati, abbiamo pensato che fossero come una giostra impazzita. Le nostre società non sono altro che un loop. Purtroppo, quando si guardano gli eventi nel mondo, si ha l’impressione che si ripeta la stessa cosa più e più volte. E si dice sempre: ‘Mai più’. Eppure la storia si ripete. Perché succede? L’umanità è stata costruita così dall’alba dei tempi. Noi non abbiamo soluzioni. Sappiamo solo che volevamo fotografare le assurdità e i paradossi del nostro tempo”, continua il regista.
“Perché se si digita Black Friday sul computer, si ottengono immagini da tutto il mondo, come quelle all’inizio del film, di persone che si gettano nei negozi. Volevamo andare incontro a questi giovani attivisti che si mettono davanti le vetrine per bloccarne l’accesso e spigare che quegli acquisti compulsivi fanno male al pianeta. ‘Cosa dite? State dicendo sciocchezze’ gli rispondono. Questo è stato il punto di partenza del film. Volevamo confrontarci. Raccontiamo due estremi”.
L’eco-ansia e la paura del futuro
In Un anno difficile si affronta anche una patologia della quale fino a pochissimo tempo fa non si era mai sentito parlare: l’eco-ansia. Un disturbo che colpisce nella maggior parte dei casi i più giovani. “Questa è la prima generazione di adolescenti attenta al pianeta a soffrirne” sottolinea Nakache. “Sono stati fatti dei sondaggi in Francia. Penso che sia lo stesso in Europa e in Italia. Ci sono sempre più giovani tra i 16 e i 20 anni che non vogliono avere figli. È un dato abbastanza importante che ci dice qualcosa sulla nostra società. Il 60% dei ragazzi sono eco-ansiosi perché sono completamente terrorizzati da ciò che li aspetta”.
“Ma il dato positivo di tutto questo è che sono molto più consapevoli e coinvolti nei cambiamenti che tutti noi dobbiamo apportare alla nostra società se vogliamo migliorare. Sono molto più consapevoli di quanto lo fossimo noi alla loro età. Pensavamo di dover avere e avere. E invece sanno che più oggetti abbiamo, più finiscono per possederci” continua il regista francese. “È vero che questo pensiero sta permeando la società e che i politici non sono più in grado di parlare ai giovani. Ci sono sempre più manifestazioni e scioperi e la società nel suo complesso sta diventando tesa. Oppure sono gli estremismi a prendere il potere. E questo non migliora le cose perché la società è più polarizzata. Fa un po’ paura. Avremmo potuto trasformare questo film in un dramma, ma abbiamo scelto di respirare un po’. Rimane un film e non un documentario”.
Le proteste ecologiste
Il personaggio di Cactus sente il bisogno di spingersi un po’ oltre i confini delle sue proteste ecologiste. Spesso la cronaca ci racconta di atti dimostrativi contro opere d’arte o monumenti pubblici. Azioni controproducenti per la causa? “Dipende” afferma Nakache “Eravamo interessati a raccontare le persone che ‘si mettono in scena’ per ribellarsi contro l’estinzione. Abbiamo fatto molte ricerche, partecipato noi stessi a delle azioni, avuto incontri e dibattiti con loro. Sono ben consapevoli che oggi tutto passa attraverso i social network e i media. Una sorta di costellazione di immagini che vediamo tutto il giorno. Vogliono essere ascoltati. E per essere ascoltati spesso bisogna colpire duro”.
“Non appoggio tutto” sottolinea il regista. “Ci sono cose che mi fanno pensare: ‘È inutile! È controproducente!’. Ma, in ogni caso, quello che vogliono è che si parli di loro. Anche se credo che gli atti violenti non vadano affatto nella giusta direzione. Abbiamo partecipato a un’azione per proteggere il grande squalo bianco in Sudafrica. E ci siamo resi conto che quando si tocca la biodiversità, si può sconvolgere tutto. Ci sono battaglie che vanno incoraggiate, aiutate. Ci sono alcune cose che possiamo fare. Il nostro non è un film militante o un film che sostiene un’azione militante. Ma in ogni caso, fa riflettere su questi temi”.
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