Tarak Ben Ammar: “Regalerò a Roma e all’Italia una nuova scuola di cinema pubblica”

Il produttore - numero uno di Eagle Pictures - parla degli Studios che aprirà nella capitale nel 2024, di immigrazione, di Weinstein, di Rossellini e delle grandi criticità dell'industria della settima arte: "Ci sono troppi soldi, troppi film brutti. Colpa anche delle piattaforme, che hanno abbassato la qualità dei titoli". La video-intervista con THR Roma

Arriva nel nostro studio a piedi dal suo lussuoso hotel al Lido, in versione casual: polo, pantalone, giubbettino leggero nonostante il caldo afoso, il tutto ton sur ton ad eccezione dei mocassini neri. “Amo passeggiare e l’Excelsior oramai non può essere definito più un hotel di lusso” tiene subito a precisare Tarak Ben Ammar, sbarcato alla Mostra del Cinema di Venezia per ritirare il premio dedicato a Martha De Laurentiis come miglior produttore. “Un riconoscimento che mi ha molto toccato, quasi sempre un premio vale l’altro, ma questo per me è speciale – ci risponde il presidente della Eagle Pictures – perché Martha De Laurentiis è la moglie di Dino De Laurentiis, un grande maestro che mi ha aiutato ad entrare nel mercato nordamericano.”

Di riconoscimenti ultimamente all’imprenditore tunisino ne arrivano molti e alla domanda dove li conservi ci risponde sorridendo: “Alcuni nella mia casa a Los Angeles, altri in quella di Parigi e altri ancora sulla barca” e vien voglia di chiedere se sono in ordine geografico, di arrivo o di gerarchia del trofeo stesso. Non c’è ancora, in quelle magioni, un Oscar. Ed è il pretesto per chiedergli se ha ancora un peso e una sua unicità quella statuetta dell’Academy.

“Gli Oscar non sono più quello che erano. Sono stati contaminati dal mondo del commercio, di internet, del tappeto rosso, dei gioielli, delle griffe, ma anche il Festival di Cannes stesso o quello di Venezia, proprio perché hanno bisogno di tanti soldi, sono tutti influenzati dagli sponsor. Certo, è anche vero che quando vincono film come Il Postino, Nuovo Cinema Paradiso o Parasite capisci che c’è ancora speranza. Il cinema è una bilancia tra arte e industria. Io ho dovuto fare entrambe le cose. Grazie a film come The Equalizer 3, che sta andando bene, potrò produrre opere d’autore, più complesse e di sperimentazione. L’Oscar, comunque, non è mai stato un mio obiettivo. Ai registi dico sempre ‘scordatevi l’Oscar, perché non tutti i film che hanno vinto l’Oscar sono belli’. Il vero Oscar è il pubblico, non i critici, non i premi. Basta pensare che a uno dei più grandi produttori della storia, Dino De Laurentiis, gliene hanno dato solo uno, alla carriera. Mi sembra che ci sia qualcosa che non vada nel sistema. Il problema del cinema è che tutti lo vogliono fare ma non è un mestiere per tutti. Come fare i giornalisti o fare gli scrittori non è un mestiere per tutti.”

Il leggendario produttore Dino De Laurentiis (1919 - 2010) con sua figlia Raffaella sulla spiaggia a Taormina durante il festival nell'agosto del 1966.

Il leggendario produttore Dino De Laurentiis (1919 – 2010) con sua figlia Raffaella sulla spiaggia a Taormina durante il festival nell’agosto del 1966.

Ben Ammar alla Mostra del Cinema

Alla domanda se, visto che era al Festival, con tanti bei film in concorso ne avesse visto qualcuno che lo avesse colpito, ci ha risposto: “Ho visto un film che mi ha commosso: Maestro di Bradley Cooper, mentre a mio figlio non è piaciuto. Vuol dire che forse sono troppo vecchio. Ero in lacrime al punto che ho pensato di essermi veramente rincoglionito. Un film che mi ha ricordato che faccio il più bel mestiere del mondo: il cinema!”

È ancora evidentemente commosso nel parlare del lungometraggio di Bradley Cooper sul grande direttore d’orchestra e compositore Leonard Bernstein e allo stesso tempo eccitato di parlare di una materia che conosce bene e di cui è ancora profondamente innamorato. “Pensi che stavo preparando l’Aida riscritta proprio da Bernstein e da Franco Zeffirelli da girare in Egitto, tra le piramidi. Ho ancora la sceneggiatura. Ho conosciuto lui, sua moglie, abbiamo fatto perfino dei sopralluoghi. Purtroppo morì prima e non se ne fece più nulla. Rivedendo nel film l’interpretazione di Bradley Cooper che sembrava veramente lui, ho detto: ‘questa è la magia del cinema’. Una magia che permette a tutti di entrare dentro la Storia, il talento, i dolori di un genio”.

“Penso al fenomeno Oppenheimer. Io non sapevo neanche chi fosse. La mia ignoranza è quella del 99,9% del pubblico. Christopher Nolan, un genio, ha letto questo libro, ha capito che era una bomba, una storia complessa che però si fonda sulla dicotomia più potente e fondamentale per l’essere umano: il male e il bene. Ho saputo da Universal che sono i giovani che vanno a vedere Oppenheimer perché sono curiosi di saperne di più sulla bomba atomica. Vuol dire che quando c’è un grande progetto, il pubblico lo trovi”.

Ma spesso è proprio il grande progetto a mancare. “Il problema è che il 90% dei film è brutto e su questo gli streamer non ci hanno aiutato perché tutto è diventato un supermercato, un discount. Una volta i produttori come De Laurentis, Cecchi Gori o Lucisano mettevano i loro soldi e firmavano cambiali. Oggi con l’avvento degli streamer è cambiato tutto. Ci sono troppi soldi, troppi film, troppi brutti film. Non è necessario avere 700 titoli all’anno che escono nelle sale mondiali. Questo è il vero problema. Le piattaforme hanno portato a questo perché devono avere sempre contenuti. Hanno abbassato la qualità dei film in circolazione. Ogni tanto ce n’è uno bellissimo, ma sono le eccezioni i capolavori”.

Colpa, in parte, anche dei social media: “Per dire, TikTok non aiuta, toglie ai ragazzi il tempo di leggere, non ci si concentra più, non si ha più il tempo della riflessione, e quindi anche per il cinema. E il guaio è che si danno delle opinioni su tutto”.

La crisi del cinema

Il cinema in questo momento è però in crisi, per un sistema di ripartizioni dei guadagni poco equo e per questo alcune categorie di lavoratori e professionisti del cinema stanno scioperando per vedersi riconosciuti diritti elementari. In questo caso la magia svanisce, la rabbia prende il sopravvento sull’emozione. “È una crisi di società. La vedo come una posizione dogmatica del socialismo contro il capitalismo. Il socialismo dei sindacati e il capitalismo degli Stati Uniti. I redattori e gli sceneggiatori stanno giustamente chiedendo il riconoscimento del loro lavoro: prima lo ricevevano attraverso i network ma con il passaggio alle piattaforme streaming, che non forniscono i dati di ascolto, hanno perso tutto”.

Suggerisce una soluzione Ben Ammar, che evidentemente un po’ si sente parzialmente chiamato in causa: costringere gli streamers alla trasparenza sui propri numeri e in base a quello pagare la gente che lavora.

È un fiume in piena Ben Ammar quando si parla del settore a lui più caro, quello per cui ha costruito un impero che comprende la produzione e da qualche anno anche la distribuzione. Tutto successe per “colpa” di Mel Gibson e dei suoi film difficili da piazzare sul mercato.

“Io sono nato produttore e morirò produttore, è quello che amo fare, ogni film è un prototipo, ogni film è una storia d’amore con nuovi registi, nuovi attori, nuove avventure. Ho comprato Eagle nel 2007 perché era disponibile e mi sono detto: impariamo anche il mestiere di distributore. Oggi siamo il primo gruppo indipendente in Italia”.

Tarak ben Ammar

Tarak Ben Ammar

L’affare Weinstein Company

Ha l’acquisto facile l’imprenditore tunisino che nel 2017, nonostante tutto il clamore suscitato dalla vicenda da consigliere delegato prova a salvare Weinstein Company e la salva dalla bancarotta, ma non dalla chiusura. “Come sempre nella vita devi mettere in fila le stelle. A ottobre 2017 mi chiama il New York Times e mi dice: “Sappiamo che lei nel board della Weinstein company si è sempre opposto a Harvey Weinstein, noi domani pubblicheremo un articolo perché abbiamo due impiegati che hanno mandato dei documenti e vogliamo che voi li proteggiate dalla NDA che hanno firmato”.

E ancora: “Io ero felicissimo perché erano dieci anni che volevo assolutamente cacciare Harvey, non per gli scandali sessuali, non ne ero a conoscenza, ma perché era un cattivissimo gestore di soldi altrui. Io nel board rappresentavo Bernard Arnold, WPP, TF1, Softbank. Mi sono trovato solo a Los Angeles a gestire la Weinstein company, a fare in modo di pagare la gente, di pagare Quentin Tarantino, di fare in modo che i film non bruciassero al macero, di trovare i fondi, di metterla in bancarotta, di ristrutturarla”.

Il tycoon che rimette in piedi una società che sta implodendo, che interagisce con i lupi di Wall Street senza colpo ferire, nel tempo libero si distrae scorrazzando in lungo e in largo con il suo yacht nel Mediterraneo nutrendosi di romantiche leggende legate al cinema. “Quest’estate col mio yacht insieme a mio figlio sono andato in giro per le Eolie. Roberto Rossellini mi raccontò la storia d’amore con Ingrid Bergman sul set di Stromboli, isola dove c’è addirittura la targa sulla casa dove ha vissuto. Poi sono andato a Vulcano a vedere la casa di Anna Magnani. Sembrava un pellegrinaggio! Pensate a questi due ex amanti, lei per odio, perché Roberto l’ha lasciata per Ingrid, gira nello stesso periodo su un’altra isola vicina a Stromboli un film che si chiama Vulcano”. 

Anna Magnani sul set di Mamma Roma, diretto da Pier Paolo Pasolini (1962)

Anna Magnani sul set di Mamma Roma, diretto da Pier Paolo Pasolini (1962)

Fantastichiamo sulle tante possibilità che l’Italia ha di organizzare tour nei luoghi dei set cinematografici dei grandi film e delle attuali serie. È successo con The White Lotus che ha rilanciato nel mondo Taormina, presa d’assalto questa estate dagli americani, potrebbe succedere con la costiera amalfitana grazie ad uno dei blockbuster prodotti dalla società di Ben Ammar. “Speriamo che con Equalizer 3, che è stato campione di incassi e che mostra una costiera amalfitana spettacolare, possa indurre molti a cercare il villaggio dove Denzel Washington ha fatto fuori la camorra, nella realtà il set era in due paesi, Atrani e Minori.”

I nuovi Studios a Roma

Un tour che sul modello degli Universal Studios di Hollywood potrebbero richiamare visitatori da tutto il mondo, proprio come negli Studios che Ben Ammar sta progettando nella capitale che faranno concorrenza alla storica Cinecittà. Peccato che ancora intorno a questo nuovo progetto, al luogo dove nascerà e a come saranno ci sia ancora un alone di mistero che abbiamo provato in tutti i modi a togliere.

“Nei nuovi Studios romani che saranno pronti entro la fine dei 2024 porterò grandi film americani che ho già in programma. Sarà una fabbrica di sogni. I set delle grandi produzioni rimarranno per essere visitati. Quando ho fatto la battuta che vorrei chiamarli Cinecittà 2, era semplicemente per affetto, per riconoscenza. Avevo 13 anni quando dal pensionato dai preti sulla via Aurelia andavo al cinema di via Archimede dove c’erano i film in lingua originale e ogni weekend riuscivo a vederne anche quattro. Un giorno una grande attrice, amica dei miei genitori, Shirley MacLaine, venne a prendermi con la Rolls-Royce di Vittorio De Sica per portarmi a Cinecittà. Immaginate la scena: lei che entra in questo cortile, alle finestre ci sono tutti questi ragazzini che guardano questa donna stupenda. Shirley aveva delle gambe meravigliose e io la Dolce Vita l’ho assaggiata grazie a lei e ad Elsa Martinelli.”

Ha già pensato a tutti gli aspetti l’imprenditore di cinema che ha ben presente che il problema più grande della sua nuova impresa sul territorio capitolino non saranno gli spazi ma reperire personale, tecnici e maestranze che possano lavorare contemporaneamente a tutte le produzioni hollywoodiane e non che arriveranno nei nuovi studi cinematografici.

“Lorenza Lei, che lavora per il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, è venuta a trovarmi dopo che ho annunciato che avrei aperto nuovi Studios chiedendomi aiuto per aprire una nuova scuola di cinema. Siccome l’ho fatto in Tunisia e gli studenti poi li faccio lavorare su tutti i film in produzione, ho accolto la proposta con gioia. In Francia, dove ho comprato gli studi di Luc Besson, vengono gli studenti dell’Institut Lumière, la più vecchia scuola di cinema di Francia. Questa idea della Regione Lazio va in quella direzione e mi permetterà  di dedicare il mio tempo ai giovani. Spero di attirare i grandi registi americani, attori, a venire a Roma per fare masterclass. La scuola sarà pubblica. Sicuramente un grande incoraggiamento ai giovani di belle speranze che vogliono entrare nel favoloso mondo del cinema a cui oggi tanto difficilmente si accede. Chi riesce ad entrare nel Centro Sperimentale di Roma ha già vinto la sua battaglia contro i tanti gradi di separazione tra palco e realtà.”

Tarak Ben Ammar con il premio Marateale

Tarak Ben Ammar con il premio Marateale

Ben Ammar e la politica

Ha attraversato anche decenni di politica italiana: Giulio Andreotti, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, per cui è diventato un amico fraterno di cui sente la mancanza. “Di Berlusconi mi manca il suo affetto, mi baciava e lo baciavo. Un giorno mi ha fatto una vera e propria dichiarazione d’amore. Ci sono due tipi di amore, quella della famiglia e quello degli amici. Con lui a 40 anni siamo diventati fratelli. Lui è morto a 86 anni, io ne ho 74, 12 anni di differenza tra uomini non è niente. Un giorno mi ha abbracciato davanti a uno dei miei figli e gli ha detto: ‘Amo talmente tanto tuo il tuo papà’ che lo ha commosso. Era vero, lo amavo anche io! Abbiamo fatto un percorso di strada insieme. Parlo di Silvio come dei miei genitori che sono scomparsi, con sorriso, perché i morti devono vivere con noi, perché anche domani i nostri eredi affettivi parleranno di noi. È stato un uomo fantastico con me, l’ho aiutato, ho visto quanto ha sofferto a causa della politica e credo che la sua malattia alla fine venga anche da lì”.

Continua a viaggiare con la memoria. “Ho avuto la fortuna di conoscere Silvio Berlusconi, Rupert Murdoch, Leo Kirch. Cosa ho imparato da questi giganti che hanno creato degli imperi da soli? Sapere ascoltare. Silvio e Murdoch non ti interrompevano mai. Anche se uno dice delle cazzate forse, bisogna ascoltarlo. Da loro ho imparato a fare la stessa cosa. Quando ero giovane avevo l’ansia di interrompere il mio interlocutore perché avevo la passione, l’irruenza, la voglia di mostrarmi capace. Piano piano ho imparato che la vera forza è l’ascolto, l’accoglienza. Aspetta, calma, lo dico sempre ai giovani che mi vengono a trovare. Siediti e impara ad ascoltare. Chi sa ascoltare tanto impara, poi avrà il tempo di parlare. E dire le cose giuste”.

Adesso ha un rapporto privilegiato con la premier Giorgia Meloni. “È riuscita ad arrivare dov’è essendo una donna, in un paese e in un mondo maschilisti. La sua storia personale è molto coraggiosa, senza padre, socialmente si è fatta da sé, ha nel suo background un’esperienza personale forte. Parla l’inglese, parla il francese, ha un coraggio raro per un presidente del consiglio. Ho visto come è stata brava quando gli ho portato Tom Cruise, lui ha legato con lei, lei con lui. Lei parlava di cinema, lui di cultura e cinema. Infatti siamo arrivati in ritardo di un’ora alla prima del film talmente sono andati d’accordo. François Mitterrand diceva sempre una bellissima frase: ‘Il faut donner du temps au temps’. Dobbiamo dare tempo al tempo. È appena arrivata, gli vogliamo dare un paio di anni per poi giudicarla?”.

Non ha mai avuto il desiderio di scendere in campo, di fare politica attiva. Gli basta dare consigli a chi deve prendere decisioni. “In politica prendi dei rischi. Con il mio lavoro invece al peggio faccio un brutto film, perdo dei soldi, deludo qualcuno, al massimo gli spettatori, ma non un popolo che mi ha eletto. Magari agli amministratori pubblici che me lo chiedono parlo di qualcosa che conosco, l’Africa e l’immigrazione. Non capisco come sia possibile che la Libia e l’Algeria, con tutta quella ricchezza che Dio ha dato loro, costringano i giovani tunisini, algerini, libici, marocchini a scegliere la morte nel mare Mediterraneo pur di non stare a casa loro. È un fallimento dell’Africa e dell’Occidente che non ha saputo accompagnare questi paesi alla democrazia”.