Linda, Cindy, Naomi, Christy. A fine anni Ottanta, mentre la piccola Ferragni pasticciava con l’omogeneizzato su Vogue, c’erano solo loro. Evangelista, Crawford, Campbell, Turlington: top model, supermodelle, icone. Monumenti viventi: del potere della moda nell’era pre-influencer, dell’influenza dei giornali nell’era pre-social, delle insidie nascoste nella professione prima del #metoo, del #nogender, della body positivity e della tonnellata di hashtag inclusivi che hanno cambiato – o almeno ci hanno provato – il volto dell’industria della moda. Oggi cinquantenni (la più giovane è Campbell, 53, la più grande Evangelista, 58) le quattro modelle si riprendono la scena da protagoniste e produttrici della docuserie The Super Models, dal 20 settembre su Apple tv+.
Quattro episodi per raccontare carriere straordinarie (emivita professionale della modella media: 3 anni. Loro sfilano da 35), farsi perdonare qualche imperdonabile errore, celebrare il tempo che fu. E mettere in chiaro, casomai non fosse evidente anche alle nuove generazioni – le stesse che cantano i Måneskin senza sapere a chi sia dedicata Supermodel – una incontrovertibile verità: nessuna sarà mai come loro.
Belle, bellissime, e sarebbe ipocrita negare lo zampone di Madre Natura. “PELLE, GAMBE E CAPELLI ECCELLENTI” è la nota in lettere maiuscole che compare in calce a una delle prime fotografie professionali di Crawford, catalogata con burocratica brutalità tra le modelle da tenere d’occhio. Somigliava a un’altra celebre indossatrice, Gia Carangi, piaceva a Hollywood (fu sposata per cinque anni con Richard Gere: “Gli dissi sempre di si, dissi pure che ero buddista”), si guadagnò il diritto a non camuffare il celebre neo solo dopo la prima copertina di Vogue. Bella testa: e non solo per gli “eccellenti” capelli.
Bellissima Campbell, notata a 16 anni da un fotografo, tra le poche modelle non bianche a comparire sulle copertine delle più grandi riviste di settore: trascorrerà tutta la vita a incazzarsi perché la pagano meno delle altre, perché la chiamano di meno alle sfilate, perché “le copertine alle nere le danno a febbraio, mica a settembre, quando i giornali vendono di più”. Passerà alla storia come la modella col peggior carattere di sempre: “Lo dicono perché ho avuto il coraggio di parlare”, si difende lei. Che però, nel 2007, finì ai servizi sociali per aver lanciato, in uno scatto d’ira, il telefonino in faccia alla sua assistente. La verità, come sempre, sta nel mezzo.
Bellissima Christy, la più consapevole, che se lo dice da sola anche oggi: “la più bella sono io”, commenta con ironia (è l’unica ad averne), ed è difficile non darle ragione. E fu bellissima anche Linda Evangelista, la più fragile di tutte, quella che da sempre si affaccia sull’abisso del “dopo”. “Cosa farà quando la bellezza sfiorirà?”, continuano a chiederle nelle interviste di trent’anni fa.
Oggi lei risponde con un’incredibile voce da bambina, il corpo segnato dalla malattia (un cancro al seno, una doppia mastectomia) e dalla scellerata decisione di ricorrere a un intervento estetico che, dice lei, l’ha “sfigurata”. Per 15 anni lontana dalle passerelle, è tornata a sfilare nel 2022. “Avrei tanto voluto vedermi allo specchio per come ero davvero”, ammette nell’ultima puntata di The Super Models. Per sette anni, dai 21 ai 27, fu sposata con l’agente Gérald Marie, ex direttore dell’agenzia Elite Model Management, indagato nel 2020 per abusi e molestie sulle clienti. Il suo non fu un esattamente un caso isolato: “Non so ancora come io ne sia uscita indenne”, confessa Christy, mentre Campbell ringrazia il designer franco-tunisino Azzedine Alaïa (che lei chiama “papà”) per averla protetta da chi le voleva tastare il seno “per verificarne la consistenza”.
Ciascuna per conto suo, e poi insieme come una sorta di Avengers della moda, le quattro modelle riuscirono a compiere il salto di specie: da mannequin (“manichini”, appunto) a top model parlanti, da ragazze copertina a modelle in passerella, da fotografie bidimensionali a tridimensionalissime star, ospiti di talk show, spot televisivi, film. Crawford, nel picco di carriera, guadagnava 4 milioni di dollari per cento giorni di lavoro. Evangelista – cui la stampa non perdonò mai la famosa battuta: “Non mi alzo dal letto per meno di 10.000 dollari” – ne chiedeva 20.000 per sfilare una sola volta in passerella (con le debite proporzioni, oggi Ferragni secondo stime non ufficiali guadagnerebbe circa 50.000 euro a post sponsorizzato. E senza nemmeno alzarsi dal letto). “Per avervi tutte e quattro insieme – scherzava nel 1990 il conduttore di un talk, commentando l’apparizione delle quattro nel videoclip Freedom! ’90 – George Michael ha speso così tanti soldi che gli sarebbe convenuto assumere Frank Sinatra”. “Gli faremo uno sconto comitiva, non si preoccupi”, gli rispose Crawford, sempre la più attenta agli affari.
L’era delle supermodel ha una data di “scadenza” simbolica, il 15 luglio del 1997, con l’assassinio dello stilista Gianni Versace. Ma i segnali che l’aria stava cambiando erano già tanti: il grunge che avanzava nella musica e non solo, la moda “urban” dell’hip hop che richiedeva fisicità diverse e diverse attitudini. Saliva nelle quotazioni la “difettosa” Kate Moss (“amica” dicono loro: gli si crede poco), scendevano le “inarrivabili” supermodel mentre il mercato si popolava di un esercito di modelle dall’Est Europa, magrissime e “sotto costo”. Sono gli anni in cui Campbell entra in rehab dopo che la dipendenza da cocaina è diventata di pubblico dominio e Christy lascia la passerella, dopo aver preso peso e aver smesso di fumare, per laurearsi e darsi allo yoga. Crawford lancia prima una sua linea cosmetica, poi si dà ai mobili. Evangelista si perde.
Pur con qualche colpevole omissione – per esempio: poco o niente si dice dei disordini non solo alimentari che minacciano la vita delle modelle – il documentario restituisce una fotografia credibile di un incredibile decennio e delle sue indiscusse protagoniste. “Abbiamo capito che il mondo era cambiato quando hanno cominciato a chiederci quanti follower avessimo – conclude Crawford, la cui figlia Kaia Gerber, 22 anni, è oggi una delle modelle più richieste – Se volessi lavorare, su Facebook non dovrei scrivere Cindy Crawford, ma “mamma di Kaia”. Farei sicuramente più contatti”.
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