Bel Powley e Billie Boullet sono le protagoniste di A Small Light. Powley è una scelta intelligente ed efficace per interpretare la protagonista della miniserie di NatGeo in otto puntate incentrata sulla storia di Anna Frank. Nel ruolo di una donna apparentemente ordinaria che risponde a una sfida straordinaria trovando l’eroina dentro di sé, Powley stabilisce il tono, o meglio la varietà di toni, della miniserie. L’attrice porta con sé più umorismo e speranza di quanto ci si potrebbe aspettare in base all’argomento trattato.
Sottolinea tutti i colpi di scena e le svolte emotive che ci si aspetterebbe da una serie collegata a una delle storie più amate e devastanti mai raccontate. Si tratta di una grande performance, che fa da traino a una serie che fa qualche passo falso, ma che per lo più tratta una questione delicata in modo dignitoso e coinvolgente.
A Small Light, creata da Tony Phelan e Joan Rater, racconta il tentativo di nascondere Anna Frank, la sua famiglia e molte altre persone, dall’altra parte delle mura, concentrandosi soprattutto su Miep Gies, interpretata da Powley.
A Small Light: Bel Powley è Miep Gies
Quando incontriamo Miep, di origine austriaca, si trova in una posizione che sembra precaria (ne arriveranno di molto più precarie). La sua famiglia adottiva è preoccupata per la sua mancanza di direzione e ha due soluzioni: trovare un lavoro o sposare suo fratello Cas (Laurie Kynaston). Anche se Cas, che solo Miep sa essere gay, non è suo fratello biologico, sceglie comunque di cercare lavoro alla Opekta, l’avamposto di Amsterdam di un’azienda tedesca di spezie.
Otto Frank (Live Schreiber) la assume e diventa presto la figura paterna di cui Miep aveva disperatamente bisogno. Mentre i nazisti entrano in Olanda e i Frank non riescono a ottenere un visto per andare negli Stati Uniti, Otto chiede a Miep il suo aiuto per nascondere e aiutare la sua famiglia che comprende la moglie Edith (Amira Casar) e le figlie adolescenti Margot (Ashley Brooke) e Anna (Billie Boullet). La donna accetta senza esitazione, assistita dal marito Jan (Joe Cole), ma non ha modo di prevedere le responsabilità che questa azione comporterà o come la cambierà.
Otto ore sembrano tante, soprattutto se si considera che molti dei personaggi secondari della storia sono appena accennati – Victor Kugler, Johannes Kleiman e Bep Voskuijl, i tre colleghi e collaboratori di Miep all’Okepta – ma il valore della sua durata è stabilito fin dall’inizio. Non si tratta di un vuoto tentativo di idealizzare eccessivamente l’Amsterdam prebellica, ma piuttosto di trasmettere le complicate sfumature della vita quotidiana prima che tutto vada a rotoli.
Miep e Joe hanno un breve, ma significativo, inizio di storia d’amore che è parte integrante per empatizzare con il loro matrimonio che poi entra in crisi. Anna Frank viene presentata non come una martire, ma come un’adolescente con gioie e insicurezze del tutto comprensibili.
La premessa della serie
È una scrittura intelligente e approfondita, all’altezza della premessa della serie di ampliare una storia nota che ha sempre avuto una portata emotiva enorme. Phelan e Rater sono in grado di rispondere a molte domande su ciò che si è visto ad Amsterdam dopo la non immediata propagazione degli orrori nazisti. C’è spazio per entrare nella testa dei cittadini che non pensavano di essere in pericolo fino a quando lo smantellamento delle libertà civili non li ha costretti a fare una scelta su come vivere, tra resistenza e collusione. Con i Frank un po’ fuori dal centro della storia, la specificità ebraica della loro esperienza è forse attenuata.
I primi tre episodi di A Small Light sono diretti da Susanna Fogel (L’assistente di volo), eccezionalmente brava a trovare sprazzi di leggerezza in mondi che in altre mani sarebbero esclusivamente tetri. La macchina da presa cattura in primo piano le notti di festa in città, le interazioni socievoli sul posto di lavoro e la frenesia generale della vita quotidiana ad Amsterdam. Fogel trova modi sottili e meno sottili – il riflesso di una svastica in un paio di occhiali da sole, i graffiti antisemiti sui muri o il suono di marce con gli stivali – per sviluppare una tensione crescente. La produzione è molto solida e l’opportunità di girare ad Amsterdam (e a Praga) aggiunge autenticità.
Le criticità
Man mano che la serie va avanti, diventa invariabilmente più cupa e, sebbene risulti sempre emotivamente coinvolgente, iniziano a sorgere dei dubbi. La maggior parte dei problemi era inevitabile. Se si costruiscono trame alternate in cui una riguarda il genocidio e l’altra spazia per moltissimi argomenti, ci sarà sempre uno squilibrio di attenzione. Sapendo dove va a parare la storia di Frank, non è possibile sentirsi coinvolti allo stesso modo da quella del nuovo fidanzato della migliore amica di Miep e delle sue simpatie naziste.
La serie cerca di aumentare la posta in gioco di Miep trasformando Jan in qualcosa di simile al Forrest Gump del movimento di Resistenza olandese, il che richiede alcuni salti che mettono a dura prova la credulità, anche se l’intreccio di figure reali come Willem Arondeus (Sean Hart) nella serie dà alla gente qualcosa in più da cercare su Google.
È invece meno accettabile la necessità di inserire dei colpi di scena in una serie in cui i destini dei personaggi principali sono così noti, anche se il fatto di potersi abbuffare di episodi rende questi finali meno gravi del tentativo di costringerci ad aspettare una settimana per sapere se i nazisti scopriranno o meno il nascondiglio! A prescindere dalle riserve sulla seconda metà della stagione, A Small Light si conclude in modo potente.
Le capacità della Powley di cogliere sia gli aspetti strazianti che quelli stimolanti è ciò che tiene insieme lo spettacolo, così come la dolce e naturale intesa che condivide con Joe Cole. L’ensemble che li circonda è in generale eccellente. Schreiber è piacevolmente sobrio e paterno, smorzando la sua naturale sontuosità e offrendo un sostegno premuroso a Powley, Brooke e alla notevolissima – precoce ma non troppo – Boullet. Anche i ruoli più piccoli e poco significativi sono ben interpretati, anche se si può passare una settimana a cercare di capire chi fa i diversi tipi di accenti e perché. È un guazzabuglio.
Ma soprattutto, iniziatela per ricordare che l’eroismo ha molte forme e che si misura in quello che è giusto e in quello che si può fare. Possiamo discutere dell’efficacia della recente ondata – si veda anche Transatlantic di Netflix – di drammi sull’Olocausto che riescono a essere sorprendentemente leggeri, mettendo in secondo piano l’ebraismo vero e proprio in qualche momento futuro.
Traduzione di Pietro Cecioni
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma