Incanteranno i vostri cellulari. Stregheranno Alexa, ammalieranno l’algoritmo e poi – volando via nel metaverso – danzeranno sfrenate nei sabba digitali. Streghe sì, ma con un certo stile. Col nome all’inglese, digital witches, e una passione per le questioni di genere “all’interno dei sistemi di potere: tecnologico, scientifico e medico”.
Sarà un caso (o una magia), ma nel giro di 48 ore a Roma si manifesteranno – in luoghi e tempi diversi – gruppi di autrici, autodefinitesi streghe digitali, accomunate dalle stesse passioni: la pratica femminista e quella artistica, che individua nella tecnologia il terreno più fertile per la sperimentazione.
E così, prima di accogliere le ribellioni delle “streghe digitali” romene del gruppo Giulivpen – il 7 ottobre sul palco del Roma Heroes – Festival Internazionale del Teatro Rom, con una personale interpretazione del femminile su TikTok – il Romaeuropa Festival ospita oggi – nella sezione Digitalive curata da Federica Patti – l’esoterismo cibernetico del collettivo romano Erinni, che accompagna negli spazi del Mattatoio la performance di “chiromanzia dello smartphone” dell’attrice Ginevra Petrozzi.
Un’esibizione “inevitabilmente elitaria, molto intima” – spiega la curatrice Arianna Forte, cofondatrice delle Erinni insieme a Cinzia Forte e Daniela Cotimbo – in cui Ginevra si impegna in una lettura divinatoria dello smartphone per un solo spettatore alla volta”. Come fosse una cartomante, l’attrice siede in attesa del cliente per leggerne presente, passato e futuro – non con le carte, ma interrogando lo smartphone di chi ha davanti. “Gli chiede di aprire una qualsiasi applicazione in cui si manifesti l’algoritmo che personalizza il nostro cellulare (le pubblicità nei feed dei social, per esempio ndr) e poi le ‘legge’ come fossero tarocchi”.
Lo spettacolo, in programma nel pomeriggio e prevedibilmente sold out, è la seconda parte di un progetto, “ProfetAI”, sviluppato da Petrozzi durante la “residenza artistica transfemminista” organizzata dal gruppo romano. “In quel caso si trattava di un incantesimo collettivo sui cellulari, lanciato per incantare l’algoritmo delle pubblicità. Il ‘rito’, aperto agli abitanti del quartiere multietnico di Torpignattara, a Roma, si componeva di due parti: per rendere vero l’incantesimo, i partecipanti dovevano visualizzare la loro idea di un futuro migliore. Solo allora, tutti insieme, potevano cantare la nenia ‘magica’ agli smartphone”.
Performance estremamente particolari, persino provocatorie, che riflettono sull’etica della tecnologia e sugli stereotipi di genere nascosti ad ogni swipe. E che non hanno, ovviamente, nulla a che fare con l’esoterismo comunemente inteso. “Oggi tante artiste, o performer dal genere non binario, scelgono di assumere su di sé l’archetipo della strega. Non un archetipo fantasy, ma politico. Non è uno scherzo di Halloween: riesumare il concetto della strega, e rievocarne la caccia, significa anche chiedersi perché tutte queste donne siano stare sterminate. E da chi”.
Proprio oggi una tavola rotonda del RomaEuropa sarà dedicata al cosiddetto Cyber Witchcraft, ovvero “le pratiche artistiche iper-contemporanee – si legge nella presentazione dell’incontro – che mettono in evidenza le strutture di dominanza dei saperi scientifici e tecnologici, recuperando la figura della strega, per secoli soggetta a discriminazioni e oggi riletta come emblema dell’emancipazione”. Intorno allo stesso tavolo siederanno dunque la scienziata e scrittrice Laura Tripaldi, la canadese WhiteFeather, “che assume la maschera della strega nel contesto del bioacting”, e naturalmente le Erinni. Tema dell’incontro, gli archetipi di genere e la tecnologia.
“Il nostro presente tecnologico è maschilista: i device che usiamo hanno incorporato i pregiudizi di chi li ha costruiti. Un esempio? Le IA, in particolare le assistenti vocali (Alexa, Cortana, Siri, ndr). Hanno una voce femminile e vengono sistematicamente trattate dagli utenti come fossero segretarie. Alexa la puoi pure insultare e lei dice: sì, grazie. È assertiva, al servizio. Sempre. Oggi c’è chi sta lavorando a estensioni che ne producano delle versioni femministe, persino queer. Ma è solo l’esempio di un atteggiamento che viene da lontano. La stessa parola ‘computer’ nasce a fine Ottocento per indicare quelle donne impiegate da università e centri di ricerca per fare calcoli velocemente: sottopagate, e trattate letteralmente come macchine”.
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