“Il cinema mi migliora come scrittore molto più di quanto il mio lavoro di scrittore apporti qualcosa al mio fare cinema”, racconta Emmanuel Carrère. Siamo a un incontro dedicato alla traduzione all’interno della rassegna “i ferri del mestiere” curata da Ilide Carmignani: “Il mestiere del traduttore è il sistema circolatorio della letteratura del mondo”, dice in apertura Ena Marchi, traduttrice dal francese e editor della casa editrice Adelphi, citando Susan Sontag.
Si parla di lingua e di fedeltà o infedeltà della traduzione, ma oltre alle parole si traducono i linguaggi e Carrère – che ieri sera con V13 ha vinto il Premio Strega Europeo del 2023, battendo la tedesca Esther Kinsky, l’ucraino Andrej Kurkov, la svedese Johanne Lykke Holm e il turco Burhan Sönmez – parla soprattutto di cinema, “traducendo” la grammatica della letteratura con la grammatica dello schermo e viceversa. Da vent’anni si occupa anche di cinema, come critico, come sceneggiatore e anche come regista.
Due mondi
Indagatore dei recessi più oscure delle menti e dell’origine dei pensieri (vedi alle voci Limonov e La vita come un romanzo russo), Carrère ha girato due documentari e un bellissimo film, Tra due mondi, uscito nel 2021, nel quale ha fatto lavorare Juliette Binoche con attrici non professioniste, in particolare donne della Normandia che svolgevano la professione di addette alle pulizie come le protagoniste del film. La scelta di far incontrare questi due mondi, nella realtà oltre che nella finzione, è un’idea che gli è venuta in qualche modo “grazie” alla sua mentalità di scrittore.
In generale però, spiega Carrère, sa bene che il cinema non è il suo mestiere: non si può permettere gli stessi virtuosismi che ha nella scrittura, è necessariamente più scolastico, si limita a fare un buon lavoro senza errori. Ma la pratica del cinema lo ha cambiato come scrittore: “Il montaggio, che per me è la parte più bella del lavoro cinematografico, è molto simile al lavoro di scrittura e mi ha insegnato moltissimo. Vedo la frase come unità più piccola del testo, proprio come il piano è l’unità più piccola di un film”.
Ci possono essere piani sequenza brevi o lunghissimi e Proust, per esempio, è certamente il maestro delle “frasi-sequenza”, del resto a lui servono frasi lunghe perché “ha tantissime cose da dire e non fermarsi è il modo più rapido per dirle tutte”. Le frasi si integrano nelle sequenze e le sequenze nelle scene. Così ha scoperto che gli piace divedere il libro in paragrafi, che gli servono a “trasferire nella scena quel ritmo che c’è all’interno della singola frase” e che per lui è dato in particolare dalla punteggiatura.
Il montaggio delle frasi e delle immagini
“Ci sono scrittori per cui conta soprattutto la lingua, come se la storia fosse il filo e lo stile le perle. Io invece sono uno scrittore soprattutto del racconto, uso una lingua semplice, che però spero non si limiti a essere funzionale. Non uso un vocabolario ricco e ricercato ed è una scelta. Invece mi preoccupo del fluire della frase, del ritmo: per questo mi appoggio molto sulla punteggiatura”. Quello che conta è il movimento della frase, la concatenazione fra una frase e l’altra, come ci fosse “una sorta di corrente elettrica” che le tiene insieme: tutto sta nel montaggio. Come nel cinema.
La lingua del cinema e la lingua della letteratura – dice il novello Strega europeo – si influenzano a vicenda, dandosi spessore e offrendo prospettive diverse per lavorare sulla scena, sui personaggi ma soprattutto sul ritmo, il montaggio. Poi c’è la vita reale: sull’Ucraina Carrére ha espresso la convinzione che “i russi vivano in un universo parallelo, se un giorno Vladimir Putin verrà processato vorrei entrare nella sua testa per conoscerne le ragioni”. Come fece con il nazional-bolscevico Limonov.
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