“L’intellettuale è chi dice sì quando tutti dicono di no”. Tagliente e sintetico Javier Cercas nel definire non tanto chi è l’intellettuale, ma chi si comporta come tale. “E viceversa. Ho creduto per molti anni di voler essere considerato solo uno scrittore: pensavo che un intellettuale fosse un autore che invece di prendere sul serio il proprio lavoro, prende sul serio se stesso e invece di parlare di cose che sa parla di cose che non sa. Oggi ho cambiato idea: la politica è troppo importante per lasciarla ai politici”. Il romanziere, invece? “Non dice mai sì e no: dice sì e no”.
Sono le parole di Javier Cercas, che ha da poco concluso la trilogia dal titolo Terra alta (Guanda). Con lo scrittore di capolavori come Soldati di Salamina e Anatomia di un’istante ci sono il suo traduttore Bruno Arpaia, la responsabile delle pagine culturali dell’Espresso Sabina Minardi, e Flavio Gregori, direttore del Festival Incroci di Civiltà. Siamo al Salone di Torino dove ogni anno più di centomila persone vengono non solo a comparare libri ma soprattutto ad ascoltare scrittori e intellettuali parlare di letteratura, attualità, politica, storia, crisi ambientale e immaginari. Proprio per questo si è scelto di trattare questo tema: chi è l’intellettuale? Che ruolo ha e che differenza c’è fra un intellettuale e uno scrittore?
Cos’è un intellettuale, cosa uno scrittore
Racconta Cercas che intellettuale, come sostantivo, è una parola recente: è nata per indicare quegli scrittori e altri personaggi di spicco che alla fine dell’Ottocento hanno preso pubblicamente posizione nel corso dell’affare Dreyfus.
Secondo la sua definizione, un intellettuale può essere uno scrittore “ma anche un architetto, un giornalista, un cantante”: una persona che ha raggiunto una certa notorietà per il suo lavoro ma che, oltre a dedicarsi alla propria professione, prende parte al dibattito pubblico, interviene, partecipa a manifestazioni.
È un ruolo che ha avuto la sua maggior fortuna nel dopoguerra, quando era facile farsi ascoltare perché si era in pochi, molto preparati e la cassa di risonanza faceva risuonare nitidamente le voci più lucide. Poi quella parola si è sporcata, quel ruolo è stato screditato.
Ironia e contraddizione
Cercas rivela: “Fino a qualche anno fa non avrei mai voluto farmi chiamare così”. Il fatto è che intellettuale e romanziere non vanno d’accordo. Il romanziere deve essere ironico, portare in sé il comico e malinconico: “Il romanziere non dice mai sì o no, ma sì e no”, il romanzo è fatto di ironia e contraddizione. “Al contrario, un intellettuale invece deve dire sì o no, deve prendere posizione, stare da una parte e non dall’altra”. Il romanziere non giudica, mentre è sul giudizio rigoroso che si fonda l’impegno civile dell’intellettuale. Ma come fa notare anche Arpaia, ognuno è moltissime identità, e un essere umano può contenere in sé l’intellettuale, lo scrittore e molto altro.
E’ qui che nasce il paradosso. Solo, ci sarà una battaglia interna, costante ma sana, fra le due parti: “Perché se vince la parte di intellettuale i romanzi diventano propaganda o pedagogia e smette di essere buona letteratura. Se invece vince il romanziere, l’intellettuale diventa complice del potere proprio perché non si esprime”, dice l’autore spagnolo.
Andare controcorrente
Così Javier Cercas racconta che pur avendo evitato a lungo quel ruolo, a un certo punto si è trovato a parlare di politica, a intervenire, ad avere delle opinioni e a sentire l’esigenza di dirle. Si è reso conto che ogni scrittore è anche cittadino e dunque deve intervenire. “La polis, cioè la città, è di tutti, e tutti ci dobbiamo occupare della polis. Ma in particolare l’intellettuale ha il dovere fondamentale di andare controcorrente e dire no quando tutti dicono sì. Proprio per questo, capita spesso l’intellettuale venga additato come nemico del popolo”. Ne abbiamo avuti, di esempi, anche recenti.
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