“Hbo aveva già acquistato i diritti mesi prima dell’uscita del libro. Tutti, io per primo, eravamo entusiasti che a dirigerla sarebbe stato Luca Guadagnino. Poi si è creato uno stallo per questioni legate al suo compenso. Speriamo di risolverlo: dovrebbero essere tre stagioni di trenta episodi. Speriamo che Guadagnino diriga almeno i primi tre”. E’ quanto racconta Bret Easton Ellis in un’intervista con il Quotidiano nazionale (Qn) a proposito del suo nuovo libro, Le schegge, edito in Italia da Einaudi, dove narra della Los Angeles fatta di dipendenze, denaro e ossessioni: quella della sua gioventù, quella dei primi anni Ottanta. Narra la storia di un gruppo di adolescenti, studenti dell’esclusiva Buckley School, intenti a vivere la loro giovinezza tra droga e musica new wave (prima tra tutte, la citata Vienna degli Ultravox). A sconvolgere gli apparenti equilibri arriva Robert Mallory, un nuovo studente del liceo dal passato ignoto.
Easton Ellis entra nelle pagine in flash forward, direttamente dal presente, e guarda con retrospezione la storia dei liceali, scritta “non per il mio agente, né per la mia casa editrice o per i lettori” ma per sé stesso. Hbo ha acquistato i diritti del libro già da prima dell’uscita, e Le schegge si prepara a diventare una serie diretta da Luca Guadagnino.
“Le schegge è in parte autobiografico e in parte no, c’è proprio un momento molto reale in cui mi rendo conto che per molti aspetti sono diventato un adulto ma per molti altri sono ancora un teenager”.
Lo scrittore americano, autore di American Psycho, a Firenze per un incontro con i lettori al Teatro della Pergola parla delle sue intenzioni come autore: “Io scrivo quando un romanzo mi arriva, quando sento del dolore, quando devo tirarlo fuori, liberarlo. Nel caso di Le schegge era liberare la frustrazione che mi attanagliò a 17 anni anni quando mi resi conto che essere gay mi avrebbe portato un’infelicità risparmiata agli eterosessuali; per loro il mondo era aperto, per me no: infelicità. E allo stesso tempo volevo dar voce alla nostalgia per un mondo che prometteva di essere libero”.
Verso la fine del libro, il Bret del presente scrive, citando vari brani anni ’80 tra cui appunto Vienna degli Ultravox (“It means nothing to me“) che “molte di quelle canzoni ormai suonavano come un desiderio disperato e un rifiuto e una fuga. Se quelle canzoni parlavano come un tempo avevo pensato, di un bambino che diventava uomo, ora parlavano anche, per il 56enne che ero diventato, di un uomo che era rimasto bambino”.
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