E’ Emiliano Morreale, con il romanzo L’ultima innocenza (Sellerio), il vincitore del Premio Campiello Opera prima.
Questa la motivazione del riconoscimento al critico cinematografico e docente: “Dalla Palermo degli anni ’80 alla Polonia della seconda guerra mondiale; dai bassifondi romani all’America hollywoodiana: attraverso sei inquadrature accomunate dalla presenza dell’io narrante, L’ultima innocenza costruisce un percorso attraverso due arti: la letteratura e cinema. Mescolando realtà storica e invenzione o pretesto autobiografico, emiliano Morreale indaga la linea di confine tra finzione cinematografica e realtà. Il cinema, anche nelle sue manifestazioni deteriori, si rivela un punto d’osservazione privilegiato per comprendere la storia del Novecento e il nostro paradossale presente”.
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Emiliano Morreale scrive la sua prima opera di narrativa. Dopo anni trascorsi su libri di testo, in corridoi di cineteche, a raccogliere i saggi più adatti a delineare il melò degli anni Cinquanta o il cinema della nostalgia, il docente, critico e studioso trasmigra da osservatore esterno a protagonista di finzione per condurre il lettore nella sua L’ultima innocenza. Quella di un immaginario che si trasforma in pagina stampata, in percorso tra le memorie di personaggi mai stati così reali nella loro descrizione romanzata. Comete passeggere, icone dimenticate. Stelle di una notte che tornano alla ribalta grazie al loro scrittore. Anche solo per il tempo di un saluto. Per il tempo di un ricordo.
Tutto in L’ultima innocenza trasuda di passato, di rimembranza, di qualcosa che si sa esserci stato e che si cerca di trattenere ancora per un poco nello spazio immateriale della letteratura. Di una parola che passa prima dall’investigazione degli aneddoti del libro, che vengono stesi come il protagonista sembra riviverli nella sua mente. Che diventa per l’occasione diario di ciò che ha vissuto e che ha voluto imprimere per assicurarsi lui in primis essere stato autentico. Dal figlio del mafioso che sognava di fare il regista a W., l’opposto sfortunato di Orson Welles.
Mai perdere L’ultima innocenza
Nel tratteggiare le vie attraversate come da un Virgilio ne L’ultima innocenza, il protagonista ci conduce all’interno dei suoi tormenti, che sono poi i medesimi di cui verrà alimentato il lettore. Le stesse domande, le curiosità su miti che sono reali proprio poiché impensabili e che creano un cortocircuito anche nella percezione del contenuto del libro. Quello che si sta leggendo è accaduto? Non c’è mai stato? Quanto in là si sta spingendo l’autore per portarci nella sua mania, che è poi anche la nostra? Quel cinema abitato da personaggi spesso ritratti più grandi di quanto siano forse stati. Ma su cui è bello poter ricamare, per aggiungere noi stessi una fantasia, una menzogna. Far parte della loro storia. Mentre Emiliano Morreale ci permette di far parte della propria.
Partendo dalla sua Sicilia e tornandoci fin dall’apertura dell’opera, lo scrittore riesce a evocare Nuovo Cinema Paradiso facendosi doppio del Salvatore di Giuseppe Tornatore, amalgamando insieme un mondo in cui si incontrano testimonianze e architetture, che vanno avanti e indietro nel tempo tra la ruralità pre-industriale e gli scorci d’asfalto moderni. “A settembre avevo cominciato a guardare film a qualunque ora e scoperto che la mia città, ridotta da tempo a un labirinto di mostruosi edifici abusivi, condensava vie segrete che legavano uomini posseduti dalla stessa inspiegabile ossessione”. Un passaggio, come tanti nel libro, che fa saltare agli occhi il ritorno di Jacques Perrin nella sua Giancaldo, vedendola così cambiata eppure ancora piena della sua passione giovanile. Un flâneur che ci conduce nei racconti della sua L’ultima innocenza. Ancora intatta, ancora tutta da reinventare.
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