“La politica per me è un buco nero kafkiano. Il mio atteggiamento è quello di un alieno che arriva per caso sul nostro pianeta, si guarda intorno e dice: ma che cazzo fate?”. Vivrà anche in un mondo tutto suo, il genio gotico Tim Burton, ma le inquietudini della politica internazionale non lo lasciano indifferente.
E così, nel giorno dell’inaugurazione della “sua” grande mostra al Museo Nazionale del Cinema di Torino, il dramma del conflitto in Medio Oriente – e della guerra in generale – trova posto anche nelle sue riflessioni. “La guerra in Ucraina e in Israele? Non sono insensibile a quello che succede. A volte nel mondo accadono cose così orribili che è impossibile comprenderle del tutto. Credo che una persona normale non possa capire pienamente cosa significhi uccidere delle persone in guerra. Le storie fantastiche, da sempre, hanno questa funzione: prendere temi e sentimenti che sono reali, ed esplorarli in modo non letterale”.
Di passaggio a Torino, dove riceverà domani il premio Stella della Mole in un incontro aperto al pubblico, Burton ha visitato la grande esposizione allestita nella Mole Antonelliana, presentata per la prima volta al MOMA di New York nel 2009 e aperta al pubblico in Italia fino al 7 aprile 2024. Nove in tutto le sezioni della mostra “Il mondo di Tim Burton” – 900.000 euro il budget dell’operazione – ciascuna dedicata a un aspetto dell’immaginario del regista: le polaroid scattate a fine anni Novanta nel deserto di Mars Attacks!, gli esordi (i disegni per la Disney, i videoclip per i The Killers), i personaggi dei suoi film, i “reietti incompresi”, le sculture dei pirati, i progetti incompiuti (un alieno con la testa di lampadina e il corpo da vespa; un bambino che si trasforma in bruco; un manichino-cavia).
Insomma: tutto l’universo burtoniano possibile, con i suoi teschi e le sue spirali, i bambini cuciti, i mostri simpatici, i teschi, le boccette di veleno, i corpi deformati e i cactus-ragni che sorvegliano coi loro monocoli languidi l’accesso alla rampa elicoidale della Mole. In tutto circa 550 creature fissate – nel corso di quasi quarant’anni anni di carriera – su disegni, schizzi e storyboard, o trasformate dal geniale regista de La sposa cadavere in sculture e pupazzi di ferro, plastica e cartapesta.
Personaggi e idee un tempo considerate “alternative”, che negli anni Ottanta e Novanta resero il regista di Beetlejuice – Spiritello porcello e Edward mani di forbice l’idolo della sottocultura geek e goth. Un ventennio dopo, la cultura mainstream ha inglobato le stranezze burtoniane (Mercoledì, la serie da lui prodotta, è uno dei maggiori successi di Netflix), la cultura nerd è uscita dalla nicchia e lo stesso Burton non è più un outsider, ma un autore amato trasversalmente dal pubblico di ogni età.
“Io non mi sento diverso da com’ero all’inizio della mia carriera – ha detto lui– ora, è vero, funzionicchio nella società e nella vita. Ma certe cose ti rimangono addosso. Il successo ti permette di andare avanti, ma mi sento ancora outsider. È un modo di essere che non ti abbandona mai”. Fieramente contro l’omologazione, anche e soprattutto quella “raccomandata” da Hollywood: “Il politicamente corretto? Spero si torni presto a ragionare. Si sta perdendo il senso delle cose. Soprattutto per chi, come me, politicamente corretto non lo è mai stato”.
Della miniserie in quattro puntate sulla sua vita, girata da Tara Wood e annunciata a maggio al mercato del Festival Cannes, non vuol sentir parlare: “Odio guardarmi. Per questo a casa mia copro gli specchi. Non ho nessun coinvolgimento in quel prodotto, che facciano loro. Molto meglio”. Mentre è più generoso nel parlare dei prossimi lavori, entrambi momentaneamente bloccati dallo sciopero: la seconda stagione di Mercoledì (“Adoro quel personaggio, mi ha parlato, è stato scritto per me”) e il sequel del suo film Beetlejuice, girato a 35 anni di distanza dall’originale. “Non l’ho visto per anni, poi ho desiderato tornarci. Mi interessava riscoprire quei personaggi”: tra i nuovi personaggi di Beetlejuice anche quello della nuova compagna, l’attrice Monica Bellucci – argomento letteralmente bandito, dall’entourage di Burton, dall’incontro stampa.
A 65 anni compiuti il regista californiano – da anni residente a Londra – si tiene in bilico tra attaccamento al cinema tradizionale, che secondo lui “non morirà mai” nonostante “i grandi cambiamenti dell’industria”, e un cauto ottimismo nei confronti della modernità: “inquietato” dalla capacità delle Intelligenze artificiali di manipolare le immagini, ma “incuriosito” dalla “potenza espressiva” della realtà virtuale, con cui ammette di aver “provato a giocare”.
Eredi, al momento, non ne vede: “Il mio viaggio nel cinema è stato complesso. Ho seguito una via tortuosa e non ho mai immaginato di avere un erede. Io mi penso così: come uno qualsiasi, che fa qualsiasi cosa”.
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