“Cursum Perficio”. Due parole in latino, dipinte su quattro mattonelle di ceramica all’ingresso della villa al numero 12305 di Fifth Helena Drive, un bel quartiere residenziale di Los Angeles. Significano “il mio viaggio finisce qui”, un riferimento alla lettera di San Paolo a Timoteo («Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede»), ma nel corso del tempo quella frase apostolica ha assunto un altro significato. Sinistramente profetico. La più famosa proprietaria di quella villa – oggi al centro di un’intricata vicenda con più di un colpo di scena – fu Marilyn Monroe, che qui si trasferì nel febbraio 1962, al termine di un viaggio in Messico, subito dopo il divorzio con il drammaturgo Arthur Miller.
Ad aiutarla a fare il trasloco, in fretta e furia per non farsi scoprire dai giornalisti, fu l’amico ed ex compagno Joe DiMaggio: quella fu la prima (e unica) casa di proprietà di Marilyn, una villa “tutta sua” da 240 metri quadrati, acquistata per 77.500 dollari e arredata in stile messicano. L’attrice la considerava “un rifugio” e “una fortezza”, per sé stessa – da tempo lottava contro l’ansia e l’insonnia – e “per tutti gli amici in difficoltà. Possono rimanere qui quanto vogliono – disse – finché non si saranno ripresi completamente”.
La villa e il mistero della morte di Monroe
Monroe tuttavia trascorse nella villa solo pochi mesi, prima di morire a 36 anni, nell’agosto del 1962, per un’overdose di barbiturici. La trovò la sua governante, Eunice Murray: senza vita, distesa sul letto, uccisa da una dose letale di Nembutal. A terra, una copia della rivista di giardinaggio cui si era da poco abbonata. In salotto, ancora impacchettato, il divano consegnatole pochi giorni prima dal corriere. Anche se il mistero sulla sua morte resta ancora oggi irrisolto – suicidio, omicidio, complotto – quel che è certo è che Monroe aveva lavorato all’arredamento della casa alacremente, con passione, dedicandole ogni momento libero dal set di Tutto può succedere. Quelle quattro mattonelle in ceramica, collocate all’ingresso della villa nel 1934 dal primo proprietario della casa, il contabile di uno studio cinematografico, furono un tragico presagio. Il viaggio di Marylin finì per davvero in quella casa.
Il viaggio della villa, invece, sarebbe continuato ancora. Almeno fino ad oggi.
Non c’è pace per Marilyn (e nemmeno per la casa)
Costruita nel 1929, l’abitazione in stile spagnolo – tegole di ardesia, stucchi bianchi, una piscina ovale, quattro camere, tre bagni e un agrumeto – suscitò fin dal giorno successivo alla morte della diva l’interesse di almeno sei acquirenti. Dopo un’accesa battaglia al rialzo ne uscirono vincitori nel 1963 il dottor Gilbert Nunez e la moglie Betty, che acquistarono anche una parte significativa del mobilio poi messo all’asta dai loro figli nel 1997. Per la cronaca: la famiglia ristrutturò la casa, rivoluzionando in particolare bagni, cucina e – va da sé – la fatale camera da letto, conservando le mattonelle di ceramica all’ingresso. Anche Gilbert Nunez morì nella villa, che dalla fine degli anni Novanta passò più volte di mano: la acquistò il regista Michael Ritchie (Oscar per Il candidato), poi i coniugi Henry e Cynthia Rust, e nel 2010 tornò sul mercato con un prezzo di 3,6 milioni di dollari.
Il primo colpo di scena nel 2017, quando la struttura – ormai fortemente deteriorata – venne ricomprata per più di 7 milioni da una società a responsabilità limitata, la Glory of the Snow LLC del manager Dan Lukas. Sei anni dopo, nel luglio 2023, Lukas la rivende per 8 milioni di dollari a un fondo con lo stesso nome della sua società, Glory of the Snow, ma proprietari diversi: i loro nomi e la loro identità restano ancora sconosciuti. Un mistero nel mistero.
Tre mesi dopo l’acquisto – è ormai storia recente – l’enigmatico fondo chiede alla contea di Los Angeles il permesso di demolire la villa. La contea, sorprendentemente, glielo concede: lo scorso 5 settembre il dipartimento cittadino per la sicurezza degli immobili di Los Angeles ha dato il via libera a una prima ricognizione per avviare l’abbattimento della struttura. La villa di Marilyn attende l’arrivo delle ruspe.
La rivolta dei cittadini
Ma la storia non finisce qui. I proprietari del fondo non avevano preso infatti in considerazione un dettaglio: la reazione degli abitanti del quartiere alla notizia della demolizione. Il giorno successivo alla ricognizione dei periti, gli uffici del dipartimento sono stati travolti da migliaia di telefonate di cittadini inferociti per la “scellerata” decisione.
“Tutti i telefoni del comune hanno squillato ininterrottamente per 48 ore – ha raccontato pochi giorni fa la consigliera Traci Park, responsabile del quartiere di Brentwood – i nuovi proprietari della villa non ci hanno contattati e non siamo riusciti a impedire che gli venisse concesso il permesso. Sono certa che sappiano benissimo che Monroe è vissuta e morta là dentro”. Venerdì scorso l’ultima svolta (per adesso): una mozione last minute del consiglio municipale è riuscita a bloccare momentaneamente l’abbattimento della struttura. La richiesta, avanzata da alcuni consiglieri con l’appoggio dei cittadini, è quella di revocare lo smantellamento e trasformare la residenza di Monroe in un “monumento storico e culturale” della città.
Nei prossimi 75 giorni l’ufficio delle risorse storiche di Los Angeles effettuerà una serie di valutazioni tecniche per decidere se la dimora in stile spagnolo di Monroe debba essere vincolata, se possa essere designata come “sito storico” e se – finalmente – anche l’ultima parte del viaggio della diva più amata possa davvero considerarsi concluso.
Marilyn ha combattuto la sua battaglia, ha terminato la sua corsa: sarebbe ora di lasciarla andare.
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