Nel film Moneyball, diretto da Bennet Miller e, soprattutto, scritto da quel genio loquace di Aaron Sorkin e dal premio Oscar Steven Zailian, il personaggio interpretato da Brad Pitt (il realmente esistente Billy Beane, illuminato general manager capace di far trionfare un mucchio di squadre di baseball), esprime un concetto sullo sport più amato dagli americani che è diventato quasi un mantra per me e che vi riassumo: nel baseball, a causa della straordinaria quantità di partite di cui si compone un campionato, qualsiasi squadra, anche la più blasonata, dovrà mettere in conto un buon numero di sconfitte. È inevitabilmente statistico. Nello sport del diamante, il team che a fine anno vince il titolo non è solamente quello più forte sul campo ma quello che, fuori dal campo, ha gestito meglio gli inevitabili alti e bassi dei risultati. E voi direte: ma che c’entra il baseball con te? E io vi rispondo che se per dieci anni hai gestito la famiglia editoriale di testate legate a Dylan Dog, uno dei fumetti più venduti di tutti i tempi, e ogni dodici mesi hai prodotto, supervisionato e mandato in stampa oltre duemila pagine di storie, il concetto espresso da Sorkin e Zailian per bocca di Brad Pitt, assume una certa rilevanza.
Perché in Italia, quando si parla di fumetto seriale, si parla di una mole di lavoro che non ha eguali nel mondo. Per capirsi, Mauro Boselli, il curatore editoriale delle testate di Tex, ogni anno supervisiona quasi quattromila pagine del ranger, mentre qualcuno al suo stesso livello ma statunitense (l’editor in chief delle testate dedicate a Spider-Man, per esempio) alcune centinaia. Vi dovrebbe essere chiaro quindi che fare fumetti popolari in Italia non è solo questione di qualità ma anche di quantità.
Prima di andare avanti però, facciamo un passo indietro, visto che sto dando per scontato che sappiate chi sono e in cosa consiste il mio lavoro.
Mi chiamo Roberto Recchioni, ho quarantanove anni e ho passato tutta la vita raccontando storie. Nel 2013 sono diventato curatore di Dylan Dog, il personaggio creato da Tiziano Sclavi nel 1986, questo significa che tutta la galassia di pubblicazioni legate all’autoproclamatosi indagatore dell’incubo, è diventata una mia responsabilità. Il motivi per cui abbiano scelto proprio me sono molteplici ma possiamo riassumerli nella fiducia e nelle stima che Tiziano Sclavi e Mauro Marcheselli (direttore della Sergio Bonelli Editore all’epoca dei fatti) avevano in me e nel fatto che Dylan in quegli anni, pur essendo ancora popolarissimo nelle vendite, stava passando un periodo di stanca e c’era bisogno di qualcuno che gli desse una scossa e gli facesse un poco di rumore attorno.
E io sono una persona rumorosa.
Quindi, ho iniziato a sbattere piatti e pentole, mettendomi a urlare contro l’indifferente cielo dell’editoria, per attrarre l’attenzione dei lettori e degli organi d’informazione, in maniera da ricordare a tutti che al civico numero sette di Craven Road abitava ancora un personaggio vivo e in buona salute, con tante cose da dire e pienamente calato nel tempo presente.
Dylan Dog è tornato sulla bocca di tutti
Per qualche tempo le cose sono andate molto bene e grazie al pieno sostegno della casa editrice e di tutto lo staff di redattori, sceneggiatori e disegnatori, abbiamo piazzato qualche palla curva non disprezzabile. Grazie a buone storie (alcune anche ottime, mi permetto di dire) e a qualche azzeccata iniziativa editoriale e di comunicazione, Dylan Dog è tornato sulla bocca di tutti e ci è rimasto per parecchio, come ai bei tempi. Significa che abbiamo fatto tutto bene? Assolutamente, no. Come detto, a fronte di una produzione così massiccia, è stato inevitabile che tra tanti albi pubblicati, oltre a quelli buoni ce siano stati anche di più deboli, così come è del tutto normale che non tutte le iniziative editoriali siano sempre state del tutto centrate o pienamente a fuoco. Fallimenti inevitabilmente statistici.
Quello che conta è che, alla fine di ogni stagione, le vittorie fossero significativamente più delle sconfitte, in modo da poter indossare l’anello (che, per chi non è pratico di metafore a base di sport americani, significa vincere il campionato). Per qualche tempo le cose sono andate così e, inutile negarlo, è stato un buon periodo. E un periodo lungo, che mi ha cambiato la vita sotto tutti i punti di vista, permettendomi di lavorare con persone straordinarie e realizzare molti sogni.
Ma nessuna squadra vince per sempre, vero? Così, dopo un arco di storie che che mi ha particolarmente soddisfatto (il cosiddetto Dylan Dog 666) ho iniziato a rendermi conto che la spinta iniziale che mi aveva animato si era affievolita e che le cose si stavano sin troppo normalizzando per un personaggio come Dylan, che ha nel suo DNA il fatto di non essere normale.
Aggiungeteci nel mezzo una pandemia, una guerra, una crisi delle risorse, della carta e del settore editoriale, oltre a tutta una serie di distrazioni e difficoltà personali (nel cui merito non entrerò), e non è difficile capire perché Dylan abbia iniziato a lasciare sul campo qualche punto di troppo.
Il saluto di Roberto Recchioni
Del resto, così come i cicli iniziano, presto o tardi finiscono. Anche questo è statistico, purtroppo. Ma non irreversibile, fortunatamente. Perché se hai la lucidità di capire quando una storia, anche una bella storia, è finita, si fa sempre in tempo a sistemare le cose, prima che sia troppo tardi. Cosa che la casa editrice, Tiziano Sclavi e il sottoscritto abbiamo fatto. E se per me il percorso come curatore di Dylan Dog è ormai, saggiamente, finito, questo non significa che non possa iniziarne uno nuovo per qualcuno che ha ancora la voglia, l’entusiasmo, l’energia e le idee per scendere in campo e vincere ancora.
E veniamo a Barbara Baraldi, che è la nuova “coach” di Dylan Dog e che, d’ora in poi, si siederà in panchina al posto mio (sì, lo so: la metafora sportiva mi ha preso la mano). Barbara è una bravissima autrice di romanzi gialli e thriller, una grande appassionata di horror e la fan numero uno di Dylan Dog. In lei ho fortemente creduto come autrice e sono felice che le sia stata data questa grande occasione.
Sono sicuro che saprà portare quella ventata di freschezza che serve al personaggio e a farlo vincere di nuovo. Quanto a me, la sosterrò con nuove storie da sceneggiatore, a cui potrò dedicarmi con la massima attenzione, alleggerito da ogni altra responsabilità.
Sarà un buon periodo, me lo sento. E un periodo lungo.
Ci vediamo in campo.
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