Oltre settanta film da attrice, due da regista, una decina di serie tv, il nuovo film di Paolo Virzì in arrivo, Un altro Ferragosto, e la serie di Gabriele Muccino su Sky. Considerata all’estero la “Catherine Deneuve d’Italia” (la definizione è del quotidiano britannico The Guardian) e in Italia una delle maggiori interpreti del nostro cinema, Laura Morante, 66 anni, riceverà domani sera all’Asolo Art Film Festival il Premio Duse per il teatro, assegnato dal 1973 a un’artista di altissimo profilo nel campo della recitazione.
Si tratta del primo premio ricevuto nel corso della sua carriera – iniziata al cinema nel 1980 con Oggetti smarriti di Giuseppe Bertolucci – per il lavoro sul palcoscenico. Lei stessa, nel realizzarlo, è leggermente sorpresa. “È un premio importante, anche simbolicamente, perché Eleonora Duse è stata la grande diva del teatro italiano – dice – e io di recente ho interpretato a teatro Sarah Bernhardt, che fu la sua più grande antagonista, di vent’anni più anziana. Avevano due stili opposti, con sostenitori diversi. Due grandissime attrici”.
Ha altri progetti a teatro?
Spero, appunto, di riprendere per la prossima stagione Io Sarah, Io Tosca, la cui tournée si interruppe a causa del Covid. Quest’anno tra l’altro sarebbe stato il centenario della morte di Sarah Bernhardt: peccato, arriverò in ritardo. E poi ho le mie letture, che faccio regolarmente. Per quest’estate ne ho in mente una serie dedicata alle eroine del teatro greco. Si chiamerà Notte di sfolgorante tenebra. Racconterò alcuni personaggi femminili legati alla guerra di Troia: Clitennestra, Elena, Ecuba, Andromaca. Testi di Eschilo, Euripide e Sofocle, rielaborati da me.
La sua eroina preferita?
A me piace Clitennestra, mi batto per la sua difesa. Viene vista come una femmina crudele perché fa fuori quel mostro di Agamennone, che le ha sacrificato la figlia, le ha ucciso il figlioletto e il marito, l’ha ingannata. A me pare faccia benissimo ad ammazzarlo. Mi è molto simpatica, ecco.
Quando e dove la vedremo?
Non ho ancora fissato la tournée, ma certamente andrò in Puglia e in Sardegna.
Cosa trova nella tragedia greca?
È il teatro che viene prima dello psicologismo. Ha qualcosa della nobiltà di un rito, un valore simbolico, sacro. Ha qualcosa di assoluto e atemporale. Sa cosa mi piacerebbe fare? Recitare una tragedia greca in un teatro greco. A Siracusa, magari, dove ho vissuto la mia più grande emozione teatrale: una bella Antigone con Galatea Renzi, regia di Irene Papas. Venivo dal festival di Taormina, dove avevo visto dei film diciamo non proprio belli, e alla prima battuta dal testo di Sofocle sono scoppiata a piangere.
Il cinema la ama, le serie tv la chiamano. Perché il teatro?
Per la sua vivezza. Sa cosa diceva Orson Welles? Che preferiva il teatro al cinema perché il cinema, paragonato al teatro, sembra un cadavere. E nemmeno troppo fresco. Certo, prima di salire sul palco sono terrorizzata. Mi chiedo sempre chi me l’abbia fatto fare. Ma il teatro è così: alti e bassi, conforto e gioia. Gli attori che non fanno teatro si perdono qualcosa. Detto ciò amo anche il cinema, mi piace la sua immediatezza.
Il cinema: come è andata con Virzì?
È stato molto bello. Ma le devo dire che purtroppo abbiamo sentito fortemente la mancanza delle persone che non ci sono più (Ennio Fantastichini e Piero Natoli, nel cast di Ferie d’agosto, ndr).
Francesca Archibugi ha girato la serie da La storia di Elsa Morante (sua zia, ndr). L’ha consultata?
Me ne ha parlato, sì. Ma non so nulla di più del progetto.
Che ne pensa delle dichiarazioni della sottosegretaria Borgonzoni (“Una regista deve girare anche commedie leggere e non solo film impegnati per dimostrare che è brava”, ndr)?
Mi pare una cosa sciocca da dire. Io, poi, le commedie le scrivo. E non ho mai pensato di dover dimostrare a qualcuno di essere intelligente. Che poi, tra l’altro, le commedie sono il genere più difficile in assoluto da fare. A meno che tu non voglia scrivere una commediaccia, naturalmente.
Ancora in cerca di finanziamenti per il suo terzo film da regista?
Non li trovo. Non ho ancora cercato fuori dall’Italia perché è un film molto italiano, vorrei farlo qui. Per adesso, niente.
A teatro si può far tutto: un ruolo al maschile, alla Glenda Jackson nel Re Lear, le piacerebbe?
Magari. Ho un’amica che sta portando a teatro in Germania una versione di Assassinio sull’Orient Express in cui interpreta Hercule Poirot. Meraviglia.
Anche al cinema si può far tutto: che ne pensa dei ringiovanimenti digitali?
Comincio a scocciarmi. Ho visto The Irishman di Martin Scorsese e i ringiovanimenti (di De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, ndr) non mi sono piaciuti per niente. Ovviamente mi incuriosisce: le innovazioni tecnologiche sono interessanti, non bisogna rifiutarle a priori. Ma a un certo punto il film diventa tecnologia senza arte. E finisce tutta la magia. L’arte non è simulazione della realtà, è altro. Non è che una cosa è più bella perché sembra vera. L’introduzione della simulazione in un lavoro artistico lo rende più finto. Čechov diceva: se prendo il ritratto di una persona e ci appiccico sopra un naso vero, non diventa più bello. Il quadro si rovina.
In America succede: lei cederebbe mai la sua immagine digitale a Deepfake?
Mi auguro che a nessuno venga mai in mente di chiedermelo. Ma per fortuna non sono una star e non avrò la tentazione di farlo. L’idea di un’immagine che reciti al posto mio mi pare assurda, la morte dell’arte, della recitazione.
E le intelligenze artificiali che scrivono i film?
Mi sembra impossibile pensare a una macchina che scriva al posto dell’uomo. Credo sia estremamente sbagliato considerare questo genere di invenzioni come un passaggio dell’evoluzione. Questa non è evoluzione. Mi rifiuto di crederlo.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma