Siamo in piazza Beccaria, a due passi dal Duomo, in un piccolo teatro, il Gerolamo, che da qualche anno è stato restaurato e da poco tempo vive stagioni tracciate dal nuovo direttore artistico Piero Colaprico. Venerdì 10 e sabato 11 ottobre è andato in scena Divine: tratto da Notre Dame des Fleurs di Jean Genet, di e con Danio Manfredini.
Divine è uno spettacolo fatto di parole e disegni. C’è anche un terzo personaggio che a volte entra in scena ed è la musica.
I disegni, alcuni, assomigliano a quelli di Jean Cocteau. Soprattutto certi corpi, nudi, appena schizzati, si indovinano gambe allacciate, una sensualità accennata e potentissima. Poi invece ci sono i volti che a volte paiono lontani, astratti, come alludessero a tutto ciò che dei personaggi, o in fondo ai personaggi, non si vede. E altre volte in pochi tratti stilizzati sembra di aver davanti una figura in carne e ossa. Funzionano come una sorta di storyboard, seguono e completano il racconto.
Poi c’è la voce cavernosa e magica di Danio Manfredini. Legge, rivolto verso le immagini proiettate, da un angolo del proscenio, quasi dando le spalle agli spettatori. Racconta una storia. A volte è voce narrante, più spesso prendono la parola i personaggi stessi ed è il dialogo a far procedere il racconto. Gli occhi nostri sono fissi sulle immagini, le orecchie avvolte dalla narrazione, le luci sono bassissime e il mondo fuori per un’ora non esiste.
Divine, Nostra Signora dei Fiori, Minion, Gorgui sono i protagonisti di questa storia di bassifondi parigini, tovaglie mangiate dagli insetti, bottiglie di vino vuote sul tavolo e forse macchie violacee sulla tovaglia. Quello che non ci viene detto o mostrato lo immaginiamo, come quando si legge un libro illustrato. I posaceneri pieni zeppi, i dadi o le carte, un letto traballante, i muri spogli, probabilmente la muffa. Un mondo della notte, popolato di prostitute, ladri, magnaccia, assassini.
Un mondo puro, privo di ipocrisie, crudele e generosissimo, dove si dà rifugio a chi trema per avere appena ucciso, si ruba per sopravvivere, ci si ama, in due o in tre in un letto, uomini, donne e tutte le sfumature fra queste povere definizioni, non ci sono regole e quindi nemmeno tradimento. Sono i quartieri dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi, direbbe De André. Persino le guardie che ti sbattono in galera fino al mattino o ti riaccompagnano a casa sbronzo, qui, sono più umani: sanno parlare con gli ubriachi, conoscono gli odori gonfi della notte, non c’è giudizio nelle loro manette.
È la Montmartre degli anni Trenta, raccontata da Jean Genet, scrittore dei margini e dei vagabondi nel suo primo romanzo, Notre Dame des Fleurs. Di quel libro Danio Manfredini si concentra sulla storia di Divine, sceglie il suo sguardo, da lì racconta la storia di un adolescente che fugge dal suo villaggio, dalla madre e dall’infelicità della morale, per raggiungere questa malavita disperata in cui essere al sicuro. Non dal freddo, né dalla fame. Non dai balordi, né dalla tisi o dalla ghigliottina, ma da una morte un po’ peggiore (direbbe invece Guccini).
La musica interviene quando deve, a volte quasi copre la voce di Manfredini. Forever Young di Bob Dylan enfatizza la vitalità intensa di chi “avrà per sempre vent’anni” se a vent’anni muore con la testa tagliata e la bellezza intonsa. Le sonorità strazianti e gelate di Comfortably Numb dei Pink Floyd accompagnano verso la fine, le fini laceranti – e i sogni svaniti, i bimbi cresciuti, la piacevole insensibilità del dopo.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma