Un piatto di supplì apparecchiato tra evidenziatori e penne Bic, i fogli degli appunti sotto al bicchiere di spritz. La sessione estiva degli esami è alle porte – “Se so’ ricordati tutti de studià adesso”, pontifica il barista al piano di sotto – e dunque, quando sulla terrazza del Cinema Troisi arrivano le star, in pochi alzano la testa dai libri.
E dire che il gruppetto è quanto meno eccentrico. Intorno al trentaseienne Ari Aster, il più intellettuale dei registi horror americani, definito da Martin Scorsese “una delle voci più straordinarie del cinema mondiale”, si raccolgono interessanti sinergie. Gli spumeggianti fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, chiamati a moderare in serata il suo ultimo film, Beau ha paura. L’attrice di Ragazze elettriche Toni Colette, di passaggio a Roma dopo due settimane in Sicilia ,“rimorchiata” da Aster – per cui ha recitato in Hereditary – Le radici del male – a Villa Borghese. E Matteo Garrone, vecchio amico dei D’Innocenzo, che si imbucherà di lì a poco col gruppetto a cena.
Punta di diamante della A24, lo studio indie che piace alla Hollywood che piace, Aster si tratterrà ancora qualche giorno a Roma, per inaugurare domani alle 21:15 le proiezioni de Il Cinema in Piazza al Parco della Cervelletta.
Aster, ha avuto modo di ringraziare Scorsese per le belle parole?
Sì, certo. Tutte le volte che l’ho incontrato, con me è sempre stato generoso. Credo che sapesse benissimo quanto le sue parole fossero importanti per me. Non c’è nessun regista vivente di cui mi importi di più. Gli sono molto grato.
Tre film con A24, lo studio più ambito di Hollywood. Come ha fatto?
Sono stato fortunato a incontrarli all’inizio della mia carriera. Quando è arrivato il momento di fare Beau ha paura potevo già contare sulla loro fiducia. Avevo un certo credito, diciamo (il suo esordio, Hereditary – Le radici del male, è stato fino al 2023 il maggior incasso dello studio, ndr).
Oggi c’è qualcuno che le dice di no, in A24, o le fanno fare tutto?
No, hanno sempre argomenti costruttivi. Hanno le loro opinioni ed è utilissimo, per un artista, parlare con gente che ha idee precise. Ma la loro filosofia consiste nell’essere aperti. Se non si fidano dell’artista, il film non lo fanno. Se invece decidono di accettare la scommessa, non intervengono nel processo creativo. Ti mettono nelle condizioni migliori per lavorare. Ti danno supporto, libertà e spazio. Ovviamente entro certi limiti e all’interno di certi budget.
A lei per esempio hanno dato 35 milioni per Beau ha paura: se l’aspettava?
Si è speculato tanto sul budget di questo film. Certo, per un film non esplicitamente commerciale è alto. Beau ha paura è un esperimento, è epico, spettacolare e a suo modo divertente: non avevo realizzato quanto fosse alienante fino al momento in cui l’ho finito. Ma ricordiamoci che c’è stata un’epoca in cui quello era il budget di un film medio di Hollywood. Un’era in cui gli studios producevano decine di film con budget milionari all’anno. Ora non succede quasi più, ed è triste.
Si sentiva a suo agio con un set di quelle dimensioni?
Una volta che ti fanno fare un film, hai un programma fitto, poco tempo, devi girare un tot di materiale al giorno. I nervi te li fai venire prima. Dopo non hai tempo.
La gente qui l’accoglie come una rockstar, che effetto le fa?
Mi sto deliberatamente sforzando di non notarlo.
Hereditary – Le radici del male, Midsommar – Il villaggio dei dannati e Beau ha paura sono una trilogia?
Una trilogia non ufficiale. Sono tutti sulla famiglia. Sul dolore, sul lutto. E c’è qualcuno che perde la testa in ogni film.
È vero che con Beau ha paura ha chiuso con l’horror?
No. Ci tornerò di sicuro. Ma non subito. Il mio prossimo film probabilmente sarà un western.
Non aveva smentito la notizia?
Sì, perché erano state annunciate cose quando non era il momento di farlo. Ma le dico subito che non è il momento nemmeno adesso. Si farà. In futuro.
L’horror è l’ultimo spazio rimasto per dire cose politicamente scorrette?
Nonostante io veda Beau ha paura più come una dark comedy che come un horror, concordo con l’idea che stiamo vivendo un periodo di particolare ipersensibilità.
Maestri dell’horror italiani: Argento, Bava…
…E Fulci. Sì li conosco. Riconosco il debito con la lunga tradizione che mi ha preceduto. D’altra parte devo ammettere di non essere il tipo di persona che guarda gli horror. Non mentre li giro, almeno.
Prequel e sequel dei suoi film: a favore o contrario?
Se avessi un’idea, uno spunto che viene da me, qualcosa che potrebbe funzionare bene, non avrei niente in contrario. Sono aperto, il che non significa che stia pianificando chissà quali sequel. Se la storia lo richiede, non mi oppongo.
Serie TV? Anche David Lynch ha fatto Twin Peaks.
Sì, ma l’ha chiamata “il mio film da 18 ore”. Meraviglioso. Anche qui: non ho resistenze, ma preferisco il cinema. Finché ci sarà, e francamente non ho idea di quanto possa ancora durare, preferirò il grande schermo. Sono diventato regista perché volevo vedere i miei film al cinema.
Perché?
Per la grandezza dello schermo, per il suono. Per l’idea di essere immerso in ciò che sto guardando, qualsiasi cosa sia. Per la condivisone con gli altri, nel bene e nel male. Per il senso dell’essere preso in ostaggio da un film, di non poter mettere in pausa e alzarmi dal divano. Io voglio essere catturato, sprofondato, venire avvolto da un film. Ogni volta che esce qualcosa, cerco di guardarlo al cinema. Non cerco mai i grandi classici in tv: li voglio vedere su grande schermo, là dove sono stati pensati.
Come produttore finanzia un film sugli alieni (Save the Green Planet), una commedia (Lonely Hearts Club) e un film con Nicolas Cage (Dream Scenario). Scusi, come sceglie?
Semplice, sostengo le persone che ammiro. Ma non sono da solo, lavoro con altre quattro persone. Seguo il mio gusto, vado a istinto, non punto a un progetto specifico.
Userebbe le intelligenze artificiali?
Sono spaventose e penso che sia necessario mettere con un urgenza dei paletti. Non ci vedo niente di positivo: secondo la legge della crescita esponenziale, diventeranno sempre più potenti e veloci. Non è che solo perché possiamo fare una cosa, vuol dire che dobbiamo farla.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma