Quando nel 2021 uscì Freaks Out, Aurora Giovinazzo aveva diciannove anni. Una ragazzina, ancora, ma considerando lo stop dovuto al covid e la necessità di Gabriele Mainetti di dare al blockbuster italiano più risonanza possibile aspettando di andare in anteprima ad un festival internazionale – che, in quel caso, fu Venezia78 – bisogna pensare che l’attrice romana, classe 2002, era ancora una ragazzina. Aveva circa sedici anni quando cominciò la produzione dell’opera ambientata nella seconda guerra mondiale, piena di circhi, nazisti e superpoteri.
Ed era proprio l’evidente distanza tra Matilde e Giovinazzo che, inizialmente, aveva portato Mainetti a scartarla. Ma la forza e la risolutezza dimostrate non le hanno impedito di scavare nelle fragilità della protagonista, facendole conquistare il ruolo. Da lì, il cinema le ha aperto le porte: dopo il debutto da bambina con Immaturi, è arrivato Fabio Mollo con Anni da cane, Ferzan Özpetek con Nuovo Olimpo e prossimamente sarà in Eterno visionario di Michele Placido.
Dal 22 febbraio, intanto, è nelle sale italiane con The Cage – Nella gabbia di Massimiliano Zanin, storia di una lottatrice di MMA tra relazioni tossiche, religione, tigri e famiglia.
Qualche tempo fa Gabriele Mainetti ha ricordato la titubanza nello sceglierla come protagonista per Freaks Out perché doveva rappresentare una delicatezza che poi esplodeva, mentre lei dà da subito l’idea di una gran forza. Alla fine, però, il ruolo è stato suo. Come ricorda il lavoro su questa fragilità?
È venuta da sé. Abbiamo cercato di toccare con mano gli atteggiamenti e le profondità di una ragazzina che era costretta in una natura che non riusciva ad accettare, che rinnegava il proprio potere, un’energia troppo grande da controllare. Interpretare Matilde ha finito per risuonare nella mia vita, mi ha permesso di scoperchiare parti di me più delicate, a tratti anche emotive, di cui non sapevo nemmeno l’esistenza.
Com’era Aurora prima? Agli inizi, nei primi ruoli, durante l’adolescenza?
Testarda. Con un portamento sicuro. In grado di vivere e parlare di qualsiasi situazione con serenità e forza. Matilde di Freaks Out è arrivata in questo momento della mia vita. Si sentiva persa, sola, una bambina che aveva seguito ciecamente suo padre e che si è sentita nulla quando l’ha perso. Sempre dipendente da qualcuno.
Lei lo è? Dipendente dagli altri?
Lo sono, ma nella maniera sana. Mostrando le fragilità che ho scoperto di avere, lascio un varco per le altre persone. Anche se so che la mia sicurezza può dare l’impressione contraria al primo impatto.
Abbiamo parlato dell’Aurora dei tempi di Freaks Out. Com’è quella di oggi?
Un po’ menefreghista, ma di quel menefreghismo sano, che tendo a riversare nel lavoro. In quanto attori il nostro compito è godere di emozioni, dalla felicità alla frustrazione, che incanaliamo per dare benzina ai ruoli. Qualche volta ci sono sentimenti che provo e che tengo per me. Ma so che ogni sensazione, stimolo, accadimento sono materiale da immagazzinare e poi restituire. Rischia di essere un procedimento un po’ cinico, il trucco è non farlo sistematicamente e essere certi che lì, in quel momento, l’emozione che si sta vivendo è pura. E, soprattutto, libera.
L’anno scorso ha presentato in anteprima due film che presto usciranno, ha girato Eterno visionario di Michele Placido e un mese fa ha vinto i mondiali di ballo caraibico. Come riesce a mantenere un equilibrio sano?
Audace da parte sua pensare che io sia sana.
Appunto, come fa a far tutto?
Tante volte ho sperato di avere un clone, soprattuto quando ero piccola. Mi piaceva l’idea che quando non riuscivo ad arrivare a completare tutto ciò che dovevo fare c’era un clone che prendeva il mio posto così che potessi fermarmi per riposare. Invece il clone non ce l’ho mai avuto, comportandomi invece come se fosse pronto ad uscire in qualsiasi secondo dall’armadio.
Si riesce a conciliare una disciplina a livello agonistico insieme a una carriera in ascesa?
È la passione che ti porta automaticamente a spingerti oltre e a sfruttare anche quelle poche ore di libertà che si hanno per andare e imparare i passi e provare. Di certo il tempo è diminuito gradualmente, i ruoli sono diventati sempre più intensi e qualche acciacco ha cominciato a presentarsi. Lo so che lo dico dall’alto dei miei ventidue anni, ma si sa che, purtroppo, uno sportivo interrompe la sua carriera a trent’anni. Quindi sì, sono quasi da buttare.
Eppure non si ferma mai. È riuscita a modellare su misura il suo corpo per The Cage, un fisico molto diverso da quello richiesto per i balli caraibici. Non aveva paura di cambiare troppo?
Sono un’amante degli sport. Mi piace lo sforzo fisico e fin dove il corpo umano può arrivare. Rispetto a qualsiasi sport scegli di intraprendere, il tuo corpo prende una direzione. Un calciatore svilupperà un determinato tipo di muscolo, un ballerino un altro, un campione di MMA un altro ancora. È sempre stato questo ad affascinarmi. Prima ancora delle danze caraibiche, quando ero piccola, ho provato tutti i tipi di sport possibili e immaginabili. L’ho fatto anche su consiglio del pediatra, che disse a mia madre che l’unico modo per rimediare alla mia iperattività era cercare di farmi stancare il più possibile così che alle nove di sera crollassi al letto. Sono arrivata a tre tipi di sport diversi contemporaneamente. Sapevo, perciò, che il mio corpo sarebbe cambiato. E avendone consapevolezza ho adeguato i miei allenamenti di conseguenza.
Ha seguito un programma molto rigido?
Ho chiesto alla produzione di potermi allenare sei ore al giorno su sette giorni alla settimana. Avevo bisogno di imprimermi il ruolo di Giulia nella capoccia. Sapevo sarebbe stato controproducente per il ballo. L’MMA tende a ingobbirti, ti incurva, e quando andavo a fare le prove di danza dopo il set di The Cage ballavo come se volessi picchiare qualcuno. Si è trattato di scomporre il proprio corpo, di non pensarmi più solo come una ballerina, ma accettando anche quei muscoli che, negli anni, avevo un po’ rinnegato.
La facevano sentire insicura? Non dovrebbe essere il contrario?
Purtroppo fin da piccola i miei muscoli, in un contesto come quello della danza, hanno sempre suscitato commenti e battuttine. A volte potevano essere anche divertenti, altre mi rendevo conto che non c’era necessariamente cattiveria, ma provavo disagio per come venivo percepita agli occhi degli altri. Ma per The Cage sapevo che non mi sarebbe importato. Sarei diventata muscolosa tanto quanto il ruolo lo avrebbe richiesto. E sarà sempre così per il mio mestiere. Devo prendere venti chili? Perderne dieci? Mettere massa grassa? Muscolare? Faccio tutto. L’importante è essere credibile.
Per Ferzan Özpetek in Nuovo Olimpo si è mostrata nuda, al naturale. Lì come si è sentita?
Sono cosciente che il nostro lavoro implica una certa dose di svelamento del corpo. E sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento. Quando cominciare, quindi, se non in un momento in cui sono certa di sentirmi a mio agio con il mio corpo? Sono una ragazza che si sente bene col proprio fisico e che ha accettato di spogliarsi quando si sentiva pronta. Poi, c’era Ferzan. Sapevo di poter stare sicura col suo sguardo sensuale e professionale. Mi ha fatto sentire tranquilla.
Tornando indietro, ha detto che è stato un pediatra a suggerire a sua madre un rimedio per la sua iperattività. Perché, cosa faceva?
Le solite cose. Chiacchieravo sempre, non stavo mai ferma, dovevo gareggiare a qualsiasi concorso, a ogni competizione, saltavo in continuazione, sia dentro casa che fuori. Non mi è stata mai diagnosticata una vera sindrome ADHD, ma sta di fatto che se non mi muovevo o non mi tenevo impegnata con qualcosa diventavo matta, così come adesso. Al momento sono a casa mia, teoricamente questo periodo mi starei rilassando, ma la verità è che sto scoppiando ad addormentarmi senza senso alle cinque e a svegliarmi alle undici di mattina senza avere un obiettivo giornaliero. Anche perché, quando sono sul set, non mi sentirai lamentare di quanto sto lavorando. E mentre gli altri soffrono il rientrare tardi o il pick up alle sette di mattina, la mia reazione è solo: accidenti, che bello!
Così non rischia di non uscire mai? Di non dedicarsi abbastanza all’Aurora fuori dal set?
Ci sono momenti in cui so che posso ritagliarmi del tempo e altri, semplicemente, no. Per fortuna i miei amici capiscono il mio lavoro, il mio modo di vivere, e se magari dovessi sparire per un paio di mesi perché sono impegnata, so che arriverà sempre un messaggio per vedersi e organizzare una domenica insieme. Magari per la settimana prossima, o quella dopo ancora, ma che loro passino da casa mia o io vada da loro sanno che uno spazio c’è sempre. E, comunque, mi sono resa conto che sto bene anche così. So stare da sola, quasi mi piace.
Non le hanno mai rinfacciato nulla? Né amici, né famiglia?
No, è per questo che posso concentrarmi al cento per centro sui miei progetti, perché ho la sicurezza che, nonostante sentiamo reciprocamente una mancanza, siamo sempre vicini. Sanno cosa sto facendo. L’unica cosa che a volte posso recriminare alla mia famiglia è che non è facile percepire l’impatto che una scena può avere sulla propria mente o sul cuore, incidendo quindi sull’umore. Magari torni a casa, sono tutti pronti a stappare una bottiglia e non si rendono conto che è stata una giornata difficile. Ma sono piccole incomprensioni, facili da superare.
Nessuna relazione tossica, come la protagonista Giulia in The Cage.
Non c’è stata mai una situazione in cui mi sentissi rinchiusa, manipolata, costretta a un rapporto in cui mi sono accorta troppo tardi di essere soggiogata dall’altra persona. E che bravo Brando Pacitto nel ruolo di Alessandro.
Al momento abita ancora con i suoi?
Siamo tutti nella stessa struttura in campagna, ma in appartamenti diversi. La ritualità del mangiare insieme, però, è rimasta. Inoltre mia sorella ha avuto dei figli e giocare con i miei nipoti mi aiuta a scaricare. A tratti ho pensato di allontanarmi, cercare la mia strada, come tutti i ventenni. Ma alla fine anche qui riesco a ritagliarmi la mia indipendenza, mi piace stare all’aperto e non so come reagirei al chiasso della città. Deve esserci quiete nella mia casa.
Vedendo i suoi lavori, le sue gare e sentendola parlare, l’impressione è di avere davanti una persona che se si mette in testa qualcosa lo fa per vincere.
Dipende dalle situazioni. È vero, se mi metto in testa di conquistare un obbiettivo allora mi alleno per vincere. A una competizione non si può mai andare con l’ipotesi di perdere, ma di raggiungere il primo posto. Così trovi la carica, anche quando sai che non si può vincere sempre. Nessuno dovrebbe mettersi a fare una cosa per finire a farla male. Con i ruoli è la stessa cosa. Non ho aspettative, ma sono cosciente che se vado per un provino lo scopo è di prendere la parte. È la mentalità degli atleti che non ti porta per forza alla vittoria, ma di sicuro a essere predisposto a tutto pur di acciuffarla.
In questa predisposizione, cos’è che la frena di più o rischia di spaventarla? Anche se, se lo lasci dire, credo che dopo questa chiacchierata le crederei se mi rispondesse: niente.
Purtroppo credo abbia ragione. Non c’è qualcosa che davvero mi spaventa, men che meno nel mio lavoro. Voglio solo essere reale quando interpreto i miei personaggi.
Invece le sfide che vuole continuare a intraprendere?
Ritorna al centro il corpo. Ho capito che provo grande soddisfazione quando il fisico risponde alle esigenze di scena. Per L’uomo sulla strada mi sono allenata per due mesi per le scene di nuoto, così che alla fine non servisse nessuna controfigura. Anche per The Cage ho fatto di tutto per essere solo io, senza stunt, nelle sequenze di lotta. Anche nei momenti con le tigri ero io. Forse direi proprio questo: non avere più controfigure.
Vuole diventare la nostra Tom Cruise? Pronta a buttarsi da un aereo?
Magari. Subito. Non tanto per il buttarsi da un aereo, è un tipo di adrenalina che mi riservo ancora di provare, ma diventare come Tom Cruise.
Quest’anno è in uscita anche Una madre, sempre presentato in anteprima alla scorsa Festa del Cinema di Roma. Interpreta una protagonista costretta a badare a una neonata. Lei è ancora molto giovane, ma vede una famiglia nei suoi piani?
Penso di avere un istinto materno. Me ne accorgo quando sono con i bambini di mia sorella, che hanno due e tre anni. Manca la materia prima, mi dirà. Purtroppo, poi, essendo donne dobbiamo calcolare bene ogni aspetto di questa scelta, soprattutto il periodo. E non parlo solamente di questioni fisiche o biologiche, ma anche sociali e lavorative. Non mi spaventa diventare madre troppo giovane o troppo grande, ma che quando sarà dovrò capire i risvolti per la mia carriera. Anche perché so che dedicherei tutta la mia vita a questo fagottino e mi piangerebbe il cuore a lasciarlo. A questo punto tocca trovare la maniera di portarlo sul set.
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