Carolina Cavalli, trent’anni e milanese di nascita, ha un film presentato alla 79esima edizione della Mostra del cinema di Venezia lo scorso anno e uno al Sundance Film Festival nel 2023. Il primo è Amanda, con cui esordisce al lungometraggio scrivendo e dirigendo la storia di una teenager divertente e divertita nel vivere in costante disagio.
Una famiglia borghese alle spalle, un’insoddisfazione cronica: la protagonista interpretata da Benedetta Porcaroli cerca l’amore e l’amicizia e li trova in personaggi ironici e bizzarri, esattamente come lei, per una pellicola che dopo essere uscita in Italia, debutta ora nelle sale americane. Con un opening al IFC Center di New York e al Laemmle Royal di Los Angeles che ha conquistato una media sala di 4.700 dollari, portando il film nella seconda settimana in circa quindici sale, aspettando – e augurandosi – che il numero salga.
Fremont, invece, è la pellicola in bianco e nero diretta da Babak Jalali, autore britannico di origine iraniana, che ha avuto il suo debutto al Sundance e che vede Cavalli co-firmare la sceneggiatura dell’opera. La protagonista, in questo caso, è Donya (Anaita Wali Zada), giovane afghana che ha lavorato come traduttrice per le truppe statunitensi, trasferitasi a Fremont, California: “Per me lavorare con Babak è una di quelle relazioni di scrittura che funzionano benissimo perché abbiamo stili agli antipodi. Io riconosco il suo, lui riconosce il mio. È emozionante vedere come prende la mia scrittura e riesce a trasformarla in qualcosa di inaspettato grazie alla regia”.
Ma il 2022 per Carolina Cavalli non è soltanto l’anno dell’arrivo al cinema, ma anche nel panorama letterario. Nelle librerie esce il suo primo libro Metropolitania, “flusso di coscienza”, definito dall’autrice, della sua protagonista Masami, chiusa in un universo perverso e grottesco, intasato da droga, junk food e sesso. Masami e Amanda potrebbero mai essere amiche? “Non lo so, non credo si somiglino molto. Ma vorrei scrivere un’opera corale, solo non so ancora come si fa”.
Amanda viene presentato in anteprima alla Mostra di Venezia nel 2022, ora è sui grandi schermi americani. Come è avvenuto il salto oltreoceano?
È bellissimo avere l’opportunità di essere qui (mentre parliamo lei si trova a New York, ndr). Sto facendo dei Q&A dopo il film, leggo le recensioni straniere, la distribuzione sta cominciando ad espandersi. Ogni proiezione la vivo in maniera molto personale, a prescindere dal luogo geografico. Ma ciò che mi sta piacendo sempre di più è parlare con ragazze e ragazzi più giovani che vengono da me dopo la visione per raccontarmi le loro impressioni. Mi piacerebbe seguire la proiezione insieme a loro, ma essendo una commedia ed essendo fondamentale che il pubblico rida, potrebbe uccidermi stare in una sala senza sentire le risate.
Pensa di parlare ai più giovani perché quest’ultimi vedono in Amanda un film generazionale?
Quando ho creato il personaggio di Amanda mi sono sentita completamente libera. Non ho pensato a un preciso tipo di pubblico, nemmeno a una generazione se è per questo, ma soltanto alla protagonista e alla sua storia. Perciò lo ammetto, anche per me è sempre una sorpresa vedere tanti spettatori così giovani venire a parlarmene.
Credo lo stesso possa accadere anche con le influenze del film. Amanda ha qualcosa di Wes Anderson, ma anche un tocco da cinema comico indipendente. Inoltre, sul finale, viene ringraziato Paolo Sorrentino. Qual è stata la sua bussola artistica e quali sono, invece, i riferimenti che ci trova il pubblico?
È sempre incredibile quando qualcuno paragona il tuo film a un altro, perché i riferimenti che vengono presi sono sempre molto alti. Spesso questo piccolo film viene messo accanto a autori e autrici ben migliori di me e ciò non può certo infastidirmi, anzi, aumenta solo la mia gioia. Ma la verità è che non ho mai frequentato una scuola di cinema, ho visto tantissimi film e sono sempre partita dalla sceneggiatura. La mia paura era quella di venire influenzata troppo da quello che vedevo, per questo motivo ho cercato di evitare dei riferimenti diretti ad altre opere o autori. Poi è ovvio che ci siano stili a cui mi sento più affine. Sono sicura che dalla scrittura di Amanda salti fuori una mia propensione per un’ironia molto nord europea. Mi piacciono Aki Kaurismaki e Roy Andersson. Mi piace la penna di Jim Jarmusch e l’ironia di Wong Kar-wai. E la filmografia di Sorrentino, ovviamente.
Risposta sincera: è più entusiasmante debuttare alla Mostra di Venezia o negli Stati Uniti?
Mi sono resa conto che tutto ciò che si costruisce nel tempo avviene piano piano. Ogni cosa è legata. La Mostra di Venezia è stato un trampolino importantissimo. Poi magari il film cresce, sono stata al Toronto Film Festival, e ora è nelle sale negli Stati Uniti. La storia della tua pellicola ha una strada indipendente dalla sua realizzazione fin dal momento che vede la luce la prima volta, ed è molto importante stargli appresso, seguirla, soprattutto quando si tratta del tuo primo film.
La protagonista di Amanda è Benedetta Porcaroli, ormai volto noto del panorama italiano, presto protagonista della serie Il Gattopardo su Netflix. Un’attrice che ha il potenziale per conquistare anche l’estero. Quanto è stato importante che Porcaroli e Amanda entrassero in simbiosi?
Ci sono poche scelte nella vita di cui si è al cento per cento sicuri, prendere Benedetta Porcaroli come protagonista di Amanda per me è una di quelle. È un volto difficile da decifrare, a volte ha mille emozioni dentro e le controlla tutte benissimo. Vedere come le recita una alla volta è davvero estasiante.
Il 2022 è stato un anno ricco. Non solo debutta con Amanda, ma anche con il suo Metropolitania, libro dai toni horror/splatter. Ha uno stile molto grafico, c’è l’intenzione di renderlo un film?
Quando mi sono trovata a scrivere il romanzo, sentivo la voglia di lasciarmi andare a un flusso di coscienza. Di perdermi dentro il personaggio. Raccontare una modalità di pensiero, a volte più lucido, a volte meno lucido, a volte ossessivo, altre analitico. Avevo il desiderio di creare una forma del pensiero, cosa che non è possibile fare al cinema, perché ne vedi solo la trasposizione in immagini. Che poi è proprio il bello del cinema: vedere al di fuori degli occhi dei personaggi. Quindi non stavo creando un linguaggio figurativo, però mi rendo conto che quando scrivo, immagino sempre quello che sto mettendo su carta.
Il 2023, oltre alla soddisfazione di Amanda sbarcato negli Usa, ha riservato anche l’uscita di Fremont, film diretto da Babak Jalali e che ha co-scritto col regista, presentato in anteprima al Sundance e poi al South by Southwest. Cosa si porta dietro da questa collaborazione?
Il Sundance Film Festival è stranissimo, è tipo la Las Vegas dei festival. Fremont nasce fin dall’inizio per la regia di Jalali. Anche per me è sorprendente vedere come la mia scrittura cambia al servizio dell’opera di qualcun altro. Soprattutto ora che ho diretto il mio primo film. Ad esempio, mi ha sorpreso la sua scelta di realizzare Fremont in bianco e nero. Il risultato è ovviamente meraviglioso, ho molto da imparare da Babak e dai registi e le registe con cui avrò la fortuna di lavorare.
E ora che si trova negli Usa e sta girando per le varie sale, percepisce nell’aria il clima di tensione a causa dello sciopero degli sceneggiatori, allargato anche agli attori?
Non si può ignorare quello che sta succedendo e che porta a riflettere sull’importanza della sostenibilità economica per chi lavora nell’ambito dell’audiovisivo. Non solo in America, anche in Italia le cose si stanno muovendo grazie a 100autori e WGI (Writers Guild Italia, ndr.). Uno sciopero così duraturo e rigido ha degli effetti collaterali sicuramente problematici, ma ha una missione fondamentale ovvero poter cambiare le cose, soprattutto se anche altre categorie decidessero di unirsi, proprio come gli attori. Ho come l’impressione che, in quel caso, si potrebbe avere davvero un miglioramento.
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