Caterina Guzzanti, romana classe 1976, aveva nove anni quando la Befana le portò il regalo più bello che potesse desiderare: la neve nella capitale. Anche quando i suoi fratelli più grandi le facevano vedere i film sci-fi o horror l’attrice e comica era ancora una bambina, tanto che doveva farsi accompagnare al letto dal fratello Corrado, altrimenti aveva paura.
Adesso, la stessa bambina secondo la quale Babbo Natale era un panzone che arriva dalla Lapponia, fa i regali al figlio Elio, anche se alcuni sembrano più adatti alla mamma (tutti quei Lego di Star Wars poco apprezzati…). Ma un dono speciale al bambino lo ha fatto: per i suoi nove anni lo ha portato all’anteprima di Elf me insieme ai compagni di classe, il nuovo film dal 24 novembre su Prime Video con protagonista Lillo e che “forse non dovrei dirlo, ma non è propriamente per bambini”.
Catapultato per sbaglio sulla Terra, l’elfo del comico Petrolo aiuterà il piccolo protagonista – interpretato da Federico Ielapi – ad affrontare i bulli e una cocente delusione familiare. Guzzanti, invece, è Brina. Elfa aiutante di Babbo Natale dagli stivali strepitosi (“Non li ho presi, ma la costumista mi ha lasciato la camicetta!”), nel film ha una vocetta acuta e un carattere peperino. Un tipico ruolo da caratterista, per cui è più che adatta. Ma lì fuori la star di Boris sta ancora cercando la parte giusta per sentirsi “un’attrice per davvero”. Forse per trovarla bisognerebbe scriversela da sola. E, sempre forse, Caterina Guzzanti lo ha già fatto.
Ha dichiarato che il film a cui le è piaciuto più lavorare è stato Ogni maledetto Natale. Un particolare amore per questa festa?
Mi piacerebbe dire di sì, ma la realtà è un’altra. Ogni maledetto Natale, poi, è differente rispetto ad ogni altro film natalizio, Elf me compreso. La storia di Ciarrapico, Torre e Vendruscolo (il trio dei creatori di Boris, ndr) è su due innamorati provenienti da famiglie molto diverse e che decidono di passare il 24 dicembre da lei e il 25 dicembre da lui. Da una parte i ragazzi si ritrovano catapultati in una famiglia di burini dell’alto Lazio che per festeggiare il Natale sparano, cacciano il cinghiale e fanno cose assurde, volgari e violentissime. L’altra famiglia invece ha origini nobili, sono aristocratici. Ed è lì che il film vuole portare, a mettere in contatto persone che preferiresti evitare tutto l’anno e che sotto Natale devono incontrarsi per aprire vecchie questioni e far incazzare tutti.
È quando si ha a che fare con i parenti. Ma anche Elf me è particolarmente brutale.
Ci sono un sacco di botte.
Il tipico spirito natalizio?
Esatto! Con una spruzzata di delusione nei confronti dei propri genitori, che non fa mai male.
Come vive, allora, il Natale?
Da Halloween a Natale vivo col terrore. Mi sembra un immenso ponte fatto di lucette, di soldi spesi male, di picchi glicemici, di celluliti, di sbronze da prosecchi e panettoni pieni di creme che non ci dovrebbero stare.
Cibo e alcol, non è ciò che serve proprio a superare le festività?
Ci sono tanti fattori a turbarmi. Tra tutte l’aspettativa economica folle che si crea attorno al Natale. È una grande occasione per truffarci tutti.
E se ne discute durante le cene e i pranzi?
No, no, no. Si vivono, ma se ne parla solo prima e dopo, mai durante.
Anche perché, da mamma, sarà diventata anche lei Babbo Natale?
Certamente, anche se a casa mia si è sempre festeggiata più la Befana. Babbo Natale era considerato un po’ un fregnone, un panzone che veniva, ma da dove poi? Dalla Lapponia? È una roba che non ci appartiene minimamente. La Befana, invece, è questa vecchina con le scarpe tutte rotte che parla con un dialetto un po’ romano, un po’ cicociaro, sicuramente incomprensibile. Per fortuna a casa nostra era di manica larga.
Qual è stata la Befana più bella che ha vissuto?
Quella del 1985, quando la Befana ha portato la neve. Ricordo una Roma silenziosa e la passeggiata che abbiamo fatto per andare a trovare gli zii e i cugini. Avevo nove anni, l’età di mio figlio adesso.
E quale regalo vorrebbe donargli, se fosse possibile?
Auguro anche a lui una bella imbiancata. Veloce però, senza stress. Che del traffico abbiamo già parlato.
Elf me è un film da guardare in famiglia?
È il tipico film da vedere tutti insieme, ma ha anche una tale quantità di cinema al suo interno che lo rende un titolo trasversale. Non lo dovrei dire, ma vedendolo in sala ho capito che, forse, non è veramente per bambini. Alcuni si sono spaventati. In alcuni punti sa essere inquietante, come i film degli anni Ottanta che vedevamo noi da ragazzini.
Il suo film di Natale del cuore?
I Gremlins. Ricordo benissimo la scena in cui la luminaria durante la notte di Natale si trasforma in un inferno. C’è anche Mamma, ho perso l’aereo, banalmente.
Cosa c’è di spaventoso in Elf me?
Il Ciocca di Claudio Santamaria e i suoi Buddy Buddy cattivissimi.
E di scorretto?
Un elfo che quando si ritrova davanti al piccolo protagonista Elia gli dà un pugno in faccia. È davvero una pellicola che può piacere tanto ai ragazzini che agli adulti.
È un film pieno di effetti speciali. Come ci si sente a girare come una trottola insieme a un’intera stanza, proprio come accade al Trip di Lillo e al suo personaggio, l’elfo Brina?
Abbiamo finito di girare Elf me un anno fa. Questo fa capire quanto tempo ha richiesto la post-produzione. Un parto. Ma è stato essenziale per il risultato finale. Mi sento veramente orgogliosa. Ricordo anche il giorno in cui abbiamo girato la scena della trottola. Che poi è vero, effetti speciali di qua, effetti speciali dillà, ma ci sono tante soluzioni artigianali, e quando nel film abbiamo il vento in faccia erano dei tecnici che ci sparavano dell’aria gelata con un tubo. Sai quelli che si usano per mandare via le foglie? Ecco, quelli. Mi ha fatto venire in mente quando da piccola mi dissero che dovevo togliermi quattro premolari, allora andai dal dentista convinta che avrebbe utilizzato una tecnologia sofisticatissima, invece alla fine ci mancava solo che mi mettesse un piede in faccia per strapparmeli via.
Pensa che un cinema spettacolare sia possibile in Italia?
Sai questo cosa richiederebbe? Un sacco di soldi. Ci vogliono un sacco di soldi e altrettanta fiducia da parte di chi li investe e nella risposta del pubblico. Ma sono convinta anche della validità dei film a marchio Gabriele Mainetti, una vera goduria per gli attori. Senza citare per forza Freaks Out, che sembrava davvero una produzione hollywoodiana, basta guardare al suo primo film, Lo chiamavano Jeeg Robot. Purtroppo non è che gli italiani non sono capaci di fare del cinema spettacolare, è che non sempre viene data l’opportunità di dimostrarlo, allora se ne vanno altrove. Bisognerebbe creare le giuste occasioni.
Solitamente è un problema che riguarda il genere, che richiede sempre un investimento importante. Qual è il suo rapporto col fantasy?
Non sono una grande appassionata. Ho visto tanti film di fantascienza da piccola perché li guardavano i miei fratelli (Corrado e Sabina, ndr.). Poi, siccome avevo paura di andare al letto da sola, aspettavo che finissero e mi facevo accompagnare in camera, specialmente da Corrado. Mi sono ritrovata a vedere Alien, Star Wars, Star Trek, ma anche film horror di varie nature e qualità. Però posso dire di aver amato moltissimo Il trono di spade. Ci sono puntate che ho imparato a memoria, come la battaglia dei bastardi. Lo rivedrei in loop, nonostante un paio di stagioni un po’ noisette e quel finale che, a parte a me, non è piaciuto a nessuno.
Di che team faceva parte?
Jon Snow, anche se a parte quel muro di ghiaccio, l’unica aspirazione che poteva avere era di diventare il re del nulla.
Quindi niente Il signore degli anelli? Lì ci sono anche gli elfi.
Certo, quello anche visto e stravisto. Ma è Star Wars la vera ossessione. Durante la pandemia l’ho inflitto a mio figlio, gli ho fatto vedere tutti gli episodi uno di seguito all’altro. Poverino, in quel periodo aveva cinque o sei anni e io ero lì che piangevo, ridevo, mi commuovevo, tifavo per i personaggi e lui, alla sedicesima ora di Resistenza di cui non ci aveva capito niente e di Repubblica che non sapeva più se era buona o cattiva, mi ha detto basta. Si era rotto le scatole.
Un po’ il problema del binge-watching, può dare la nausea.
Esattamente. Probabilmente avrei dovuto diluirlo. Magari ci riproverò, facendogli vedere un film alla settimana. Il punto è che sono una pazza fomentata, per la Befana gli ho regalato anche il Millennium Falcon e l’astronave di The Mandalorian, perché nel frattempo gli avevo fatto cominciare anche le serie. A un certo punto mi ha detto: no mamma, no, basta, voglio i Pokémon. E, lì, mi sono cadute le braccia.
Era la Befana di manica buona che continuava a portare dei regali a lei più che al bambino, proprio come quando era piccola.
Ma poi gli avevo comprato i Lego, li avevo montati durante la notte, praticamente gli ho impedito di giocarci.
Elf me, invece, gli è piaciuto?
Sì, è venuto alla prima con alcuni dei suoi migliori amici della scuola, visto che era il suo compleanno. Era felicissimo. Ed è stato molto orgoglioso della mamma.
Da quanti anni conosce Lillo?
Saranno una ventina ormai.
Com’è averlo come compagno d’avventura da tutto questo tempo?
Fantastico, soprattutto se, come in questo caso, mi chiedono di maltrattarlo. Lavorare insieme è sempre divertente. Lillo è di famiglia, lo è diventato da quando siamo stati insieme al festival di Venezia per Fascisti su Marte, la prima volta in cui siamo stati un po’ più a contatto. È una persona che ti riempie il cuore col suo entusiasmo. È l’amichetto con cui una volta a settimana vuoi uscire a cena, figurarsi sapere di poterlo vedere tutti i giorni mentre si prepara un film.
Stesso effetto di Star Wars? Non si stancherebbe mai?
Bhé, non lo so, dipende, forse dopo dieci kolossal…
Non diciamo arrivare a Elf me 10, ma almeno Elf me 2? Perché no?
Eh, sì.
Insieme siete stati anche tra i pionieri di Lol – Chi ride è fuori in Italia.
E lo abbiamo fatto nella maniera più incosciente possibile. Ma è andata bene così, perché se avessimo conosciuto il programma magari ci saremmo preparati diversamente e sarebbe stato tutto meno spontaneo.
Qualche tempo fa ha dichiarato che, nel futuro, le piacerebbe essere chiamata per fare “l’attrice per davvero”. Cosa intendeva?
Mi riferivo ad avere un ruolo completo. Mi offrono sempre parti molto specifiche. Per quanto qualcuno si propone sotto una veste differente, è come se si rimanesse in un raggio d’azione ristretto, mentre vorrei mi capitasse una storia con un ruolo più articolato.
Quest’anno ha interpretato la mamma della protagonista in Noi anni luce. È già qualcosa di diverso dal suo solito “raggio d’azione”, non trova?
Per questo quando mi hanno chiesto di fare la madre di una ragazza di diciassette anni malata ho detto subito di sì, forse addirittura prima ancora di leggere la sceneggiatura. Ho il desiderio di essere presa sul serio, di dimostrare di saper fare altro. Uno crede di essere in grado di intraprendere ruoli diversi, ma non capita di poterlo dimostrare e si rischia di rimanere sempre nello stesso registro. Alla fine anche la mamma di Noi anni luci ha qualcosa di ironico, perché il film stesso non è un dramma piagnone, ma viaggia su un livello in cui il teen movie e l’on the road si mischiano e i protagonisti sanno essere più forti degli adulti stessi.
Se nessuno le propone i ruoli che vorrebbe, forse è il caso di scriverseli?
In parte l’ho fatto adesso per uno spettacolo teatrale che farò il prossimo anno, quindi sì. La soluzione è cercare di cavalcare una certa rigidità di mercato. E quando qualcuno è scontento e vuole provare qualcosa di altro, la strada più diretta è scriverselo da sé.
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