Roman Polanski è nato a Parigi il 18 agosto del 1933, ed è quasi incredibile – considerate le mille vite che ha vissuto, e le millanta vicissitudini che ha attraversato – che sia arrivato a questa età venerabile. Non solo: ci è arrivato lavorando, tanto che il suo nuovo film The Palace sarà fuori concorso a Venezia 80 fra qualche giorno.
È un film che racconta una notte di Capodanno, quella del 31 dicembre 1999: si svolge in un lussuoso hotel svizzero, ovvero nel paese dove Polanski fu arrestato il 26 settembre del 2009. Chissà se nel film ci sarà qualche sassolino che il regista avrebbe tutto il diritto di levarsi dalle scarpe, nei confronti di un paese – la Svizzera, appunto – dove ha sempre trascorso le vacanze in quel di Gstaad…
The Palace è la 41esima regia di Polanski e, stando a quel che si può leggere in rete, è un film corale, con molti personaggi e un ricco cast nel quale spiccano i nomi di Fanny Ardant, John Cleese e Mickey Rourke. Sarà uno dei due grandi novantenni che onoreranno con i loro film la Mostra: l’altra è Liliana Cavani, Leone alla carriera, che ha festeggiato il compleanno all’inizio di questo 2023.
Cominciando da quell’arresto del 2009, ennesimo capitolo della vicenda giudiziaria partita da Los Angeles nel 1977, potremmo dedicare pagine e pagine alla rievocazione dei momenti dolorosi (per lui e per altri, sia chiaro) della sua vita. Ma preferiamo fare un’altra cosa. Preferiamo partire da quel fatidico 1933 per ripercorrere i suoi primi anni, meno noti anche se ampiamente raccontati nell’autobiografia Roman by Polanski pubblicata in Italia da Bompiani nel 1984.
Sono fatti noti, per carità, ma molto meno “mediatici” di tutto ciò che è successo dal 1969 in poi, dalla strage di Bel Air che è tornata alla ribalta anche grazie al film di Tarantino C’era una volta a… Hollywood. Nelle prime righe avrete letto una parola che magari vi avrà stupito: “Parigi”.
Sì, nel lontano 1933 Polanski è nato a Parigi. Suo padre era uno scultore e pittore di nome Mojżesz Liebling, polacco di nascita (nel 1903), ebreo ashkenazita di religione. Sua madre si chiamava Bella Katz-Przedborska, era nata nel 1900 da madre cattolica e da padre ebreo russo.
Tra Parigi e Cracovia, il passato di Roman Polanski
I due si sposarono nel 1932, dopo che lei ebbe divorziato dal primo marito. Il vero nome del futuro regista è Raymond, ma pare che fin da piccolo in famiglia lo chiamassero Roman, o Romek. Il padre prenderà il nome di Ryszard Polanski solo nel 1946, a guerra finita.
Questa già complessa genealogia fa capire perché Polanski non sia “tecnicamente” ebreo: la madre si dichiarava cattolica (in Polonia poteva essere più opportuno…) e la nonna materna lo era a sua volta. La discendenza ebraica riguardava il padre e il nonno materno, e sappiamo come l’ebraismo sia matrilineare.
Per altro, dopo la guerra sia lui, sia il padre – nella Polonia comunista – si dichiararono ufficialmente atei, rinunciando a ogni identità religiosa. Da questa storia derivano due aspetti. Il primo, è che non sono mancati coloro che – in occasione dei premi vinti da Il pianista, storia di un ebreo che sopravvive al ghetto di Varsavia – hanno accusato Polanski di essersi fabbricato un’identità ebrea fittizia.
L’altro è strettamente fattuale, e contraddice i saputelli: tutta la famiglia fu rinchiusa dai nazisti nel ghetto di Cracovia, e solo Roman e il padre sopravvissero, tutti gli altri – a cominciare dalla madre – morirono nei lager. Ma qui occorre fare un passo indietro per rispondere a una domanda: perché Roman, nato a Parigi, si trovava a Cracovia durante l’occupazione nazista?
La risposta sta in uno di quegli scherzi che la grande Storia, con “s” maiuscola, gioca a volte agli uomini. I Liebling vivevano tranquilli a Parigi, ma papà Mojżesz non aveva successo come artista e la società francese stava diventando sempre più antisemita: insomma, in Francia non si trovavano bene. Così, all’inizio del 1937, tutta la famiglia tornò in Polonia, a Cracovia appunto. Mai tempismo fu più sbagliato.
Quando la Polonia fu invasa dai nazisti, i dettagli burocratici sulla “matrilinearità” andarono a farsi benedire: per le SS erano tutti ebrei, punto. Finirono nel ghetto di Cracovia, dentro uno dei drammi più atroci della seconda guerra mondiale. Qui, il racconto di Roman nella sua autobiografia diventa un film carico di suspense (Il pianista lo ricostruisce, pur cambiando città – Varsavia – e circostanze).
Appreso che il giorno dopo ci sarebbe stato un rastrellamento, Mojżesz portò di notte il piccolo Roman in un vicolo del ghetto dove c’era un buco nella recinzione, dal quale erano già scappate altre persone. Lo fece uscire e gli intimò di andarsene senza girarsi indietro.
Roman sapeva di doversi recare presso una famiglia cattolica di loro conoscenti, i Putek, che l’avrebbero nascosto. Racconta però, nel libro, di aver visto la mattina dopo il padre in una lunga fila di ebrei che si avviavano verso i treni che li avrebbero portati nei lager; istintivamente si avvicinò, ma il padre riuscì a fargli un gesto disperato che significava “vattene!”.
Grande attore, mancato teppista
Roman fu nascosto dai Putek e, successivamente, da una famiglia di contadini a una trentina di chilometri da Cracovia. Il 19 gennaio 1945 Cracovia fu liberata dall’Armata Rossa. Roman ritrovò il padre, sopravvissuto a Mauthausen, solo alla fine dell’anno.
Nel frattempo fu ospitato da alcuni zii che se l’erano cavata. È solo in questo momento, forse subodorando che anche i sovietici non amavano particolarmente gli ebrei, che Mojżesz Liebling prese il nome – squisitamente polacco – di Ryszard Polanski e che anche Roman, quindi, cambiò cognome. Fino a quel momento era un Liebling, e vallo a raccontare ai nazisti che tua mamma “si sente” cattolica.
Questa fu la vita di Polanski fino al 13esimo anno di età. Poi, e la cosa può far ridere a posteriori, fu salvato dai boy-scout. Andava malissimo a scuola, pareva destinato a diventare un teppista, ma fra gli scout scoprì una vocazione per gli scherzi e… per la recitazione.
Cominciò a fare teatro, divenne noto in tutta la Polonia grazie a un paio di spettacoli di successo e nel 1953 incontrò un regista poco più grande di lui, Andrzej Wajda, che lo volle come attore nel suo primo film, Generazione. Il resto è storia.
E poiché la storia fa strani giri, è bello scoprire che The Palace, il nuovo film, è scritto insieme con Jerzy Skolimowski, altro grande regista di quella stupenda covata che negli anni ’50 si fece le ossa nella famosa scuola di cinema di Lodz.
Entrambi potenziali teppisti, entrambi avventurieri del cinema (Skolimowski fu anche pugile), entrambi transfughi in Occidente, entrambi geniali e pronti a tutto per sopravvivere, Skolimowski e Polanski sono la prova provata che a volte il grande cinema è forgiato dalla vita. E quando hai vissuto vite come le loro, non hai più paura di nulla. Auguri, Romek!
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