Greta Gerwig e mondo “Barbie”: le sue piccole (grandi) donne

Dalla collaborazione alla sceneggiatura con Noah Baumbatch al suo debutto alla regia con Lady Bird: come Greta Gerwig sta raccontando il mondo femminile sullo schermo

Pensiamo a Greta Gerwig. Qual è la prima immagine che viene in mente? La sua corsa in mezzo alle strade di New York, con in sottofondo Modern Love di David Bowie nel capolavoro indie in bianco e nero Frances Ha. I suoi capelli spettinati, in qualsiasi momento, in qualsiasi occasione, in (quasi) qualsiasi pellicola. Il suo volto perplesso, sempre timoroso nei confronti della vita, che sceglie e risceglie però di affrontare ogni volta, incanalando l’ansia di una generazione che è stata quella dei trentenni proprio nel film del 2012 di Noah Baumbach. Quel regista che l’ha diretta, che ha poi affiancato nella sceneggiatura. E che infine lei ha sposato, mandando avanti una collaborazione intima e artistica che li ha portati a un numero svariato di film insieme e a un figlio nato nel 2019.

Greta Gerwig, da Lady Bird a Piccole donne

Stesso anno di un altro suo “bambino”, quel Piccole donne rivisitato, seppur perfettamente inserito nella propria classicità. Obiettivo raggiunto in una carriera da regista precoce, vista la maturità dei suoi lavori dietro la macchina da presa, aperta con Lady Bird nel 2017 e arrivata all’apoteosi con Barbie. Che è il film più atteso del 2023, in competizione con un’opera agli antipodi – Oppenheimer di Christopher Nolan – che è affidato all’investimento non solo di una superpotenza (la Warner Bros), ma che vede la partecipazione di Margot Robbie sia come protagonista che come produttrice attraverso la LuckyChap Entertainment. Figure, quelle di Gerwig e Robbie, che incorporano l’influenza e la rilevanza creativa e produttiva della nuova Hollywood. Fasi e temi della femminilità declinati ogni qualvolta in maniera all’apparenza differente dalle due collaboratrici, tutti portatori del medesimo fulcro: quello del voler descrivere donne – o bambole, nel caso di Barbie – assolutamente “vere”. Di metterle in mostra nella loro naturalezza, nella verità dei loro sentimenti e delle azioni. Un’alleanza forte, quella tra Greta e Margot, grazie alla quale Barbie intende travolgere il mondo.

“Non solo la bellezza!”

“Vedi, il fatto è che io sento… È che io sento, ecco… Che le donne, loro… Hanno una mente e hanno anche un’anima, così come un cuore!” faceva dire Gerwig alla sua Jo March interpretata da Saoirse Ronan in Piccole donne. “E hanno delle ambizioni, e hanno talento, non solo la bellezza!”. Nella complessità femminile e umana dei suoi ritratti, la regista e sceneggiatrice riversa nelle proprie personagge tutti quei lati che il cinema non sempre ha voluto far vedere, ma che sono presenti come tratti ancestrali nelle donne. La goffaggine, quella infantile anche da adulte che si cerca di mascherare, ma che a tratti non può che saltare fuori. La fragilità, quella che molti hanno creduto di poter utilizzare come un punto debole e che invece le ha rese inattaccabili, anche perché non hanno mai finto di essere nient’altro.

Donne che, nonostante una caduta, sanno tutte le volte rialzarsi. Come nello scegliere di Gerwig di interpretare Nancy Tuckerman nel film Jackie di Pablo Larraín del 2016. La ex segretaria sociale della Casa Bianca, colei che ha sostenuto Jackie Kennedy nei quattro giorni tra l’assassinio e la sepoltura del suo marito Presidente, dimostrandosi amica e confidente leale nei confronti della First Lady, cercando di sostenerla come nessun altro avrebbe saputo o potuto fare in quel momento critico della sua storia pubblica e personale. 

Il mondo interiore delle donne

Greta Gerwig è ed è stata il coraggio di esprimersi senza conformismi, di permettere alle parole di descrivere il mondo che aveva dentro, di cui era sicura facessero parte tantissime altre donne.Da piccola studiavo danza classica e mi impegnavo completamente. Poi il mio corpo cambiò a tredici anni e non era adatto per la carriera da ballerina. È allora che cominciai a scrivere”. Poi non ha mai smesso. Lo ha fatto per altri, lo ha fatto per se stessa. Lo ha fatto per quel genere a cui appartiene, per cui prova un immenso amore. Una parità per cui ha combattuto sia come interprete per altri, che come regista e sceneggiatrice: “Dovevo decidere se diventare filosofa, scrittrice o attrice” ha dichiarato. Ed è diventata tutto quanto.

È passata dalla California a New York, facendo riprendere le tracce della propria infanzia e adolescenza a Sacramento alla sua protagonista di Lady Bird, la quale anche lei sogna di partire. Ha studiato letteratura inglese e, per l’appunto, filosofia. È diventata la musa del futuro marito, passando da sua fonte di ispirazione a effettiva collaboratrice alle sceneggiature di Baumbach. E il suo tocco si nota in quel già citato Frances Ha, fino alla vita assurda, continuamente in cambiamento, all’apparenza quadrata e invece scombinatissima della protagonista di Mistress America (2015). Un tratto che è evidente che l’autore newyorkese ha cambiato nel momento dell’entrata in collisione con la donna. Anche quando non hanno più firmato insieme le sceneggiature, sentendo aleggiare la presenza l’uno nei lavori dell’altra, come punti fermi nei loro processi di invenzione.

“Mestruazioni”

È quindi all’urlo di “Mestruazioni” in 20th Century Women del 2016 che Gerwig reclama il suo ruolo nella società attraverso il personaggio di Abbie, in questo caso scritto e diretto da Mike Mills, ripetendolo per un’intera sequenza e facendolo fare a ogni membro della tavolata a cui è seduta, uomini compresi. Dalla Annette Bening capofamiglia del film, al giovane figlio Jamie interpretato da Lucas Jade Zumann, andando dalla sveglia Elle Fanning fino al mite William impersonato da Billy Crudup. Sequenza posta a ribadire il non doversi nascondere e nemmeno vergognare. Dire: sì, sono una donna, e una volta al mese le donne sanguinano. Mostrarle nella loro completezza, quella che non sempre è stata loro riservata e che rivendica il proprio posto nella collettività.

E forse è anche per questo che la sua prima protagonista, nel film da debutto come regista, è stata tanto antipatica. Ma Lady Bird, la Christine McPherson ancora una volta impersonata da Saoirse Ronan, non sta simpatica nemmeno a se stessa, tanto che si butta in maniera incosciente da una macchina in corsa. Anche se, probabilmente, era più per vincere una delle mille litigate con sua madre.

Greta Gerwig: vita da set

Abbracciando con calore le sue personagge e vivendo nei loro universi, che sono poi quelli degli immaginari femminili, Greta Gerwig si presenta sul set di Lady Bird col suo vestito ritirato fuori dagli anni del liceo quando deve girare la scena del ballo del film. Mette su un pesante cappotto in stile antico per le riprese di Piccole donne. Indossa una tuta rosa, con tanto di cuffie comprese, mentre Margot Robbie gira le sue scene vestita da cowgirl per Barbie.

Greta Gerwig è il suo cinema. E il suo cinema è un insieme delle correnti che l’hanno attraversata. Dal movimento americano Mumblecore degli inizi anni 2000, che ha dettato la direzione del genere indipendente al cinema, fino al suo giungere all’estremo opposto, allo scintillio di Hollywood. Quel consacramento mainstream dovuto alle candidature agli Oscar e ai Golden Globe e a un inevitabile popolarità che, però, non l’hanno cambiata. L’aver scritto l’immaginario femminile cercando di trarlo dalla realtà. A immagine e somiglianza di un mondo (femminile) che muta e con cui Greta Gerwig è rimasta sempre al passo.