L’Isola, opera prima di Costanza Quatriglio, torna, a vent’anni dall’anteprima mondiale al Festival di Cannes e dall’uscita al cinema, alla 21a edizione di Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, dedicata ai giovani, al talento e agli esordi, grazie al restauro realizzato da Cinecittà. Il film, in questa versione, uscirà in home video il prossimo 14 dicembre con Mustang Entertainment.
Quanti anni aveva quando l’ha girato?
Non ero più una ragazzina. Ne avevo già 28, 29. Avevo alle spalle già qualche lavoro per me importante. Ècosaimale era stato al festival di Torino. Il primo in assoluto è stato Anna (anch’esso a Torino, nel concorso cortometraggi del 1999), un corto che avevo fatto da studentessa del Centro Sperimentale di Cinematografia.
Quando ha deciso che sarebbe stata quella la sua strada?
Studiavo giurisprudenza, a Palermo. Mi piaceva fare foto. Avevo cominciato al liceo: coi soldi vinti per un tema sulla mafia ho comprato una Yashika. Passavo le ore in un laboratorio. Ero abbonata al cinema Aurora. Andavo tutti i lunedì e martedì. Otello di Orson Welles, il campo e il controcampo. L’onesto Jago. Avrei anche voluto imparare a sviluppare le foto in camera oscura ma mi sono sentita a disagio, la persona che avrebbe dovuto insegnarmi era molto invadente, diciamo così. Mi sentivo le mani addosso e non era un’impressione. Ho deciso di partire per Roma. Ho fatto domanda per essere ammessa al Centro con un lavoro su Essaouira, il luogo in Marocco dove Welles ha ambientato l’Otello. Ho anche portato una storia su Federico II bambino nelle strade di Palermo. Mi hanno ammessa.
I suoi genitori?
Mia madre mi ha detto: guarda che vuoi fare un mestiere che puoi fare solo se hai le spalle parate. Ma era contenta. Mia madre era un’avvocata. Era di Trapani. Aveva vissuto in America fra il ‘58 e il ‘63. Immagini: da Trapani a New York e ritorno. Era una donna molto speciale. È diventata avvocata quando era già sposata. Mi ricordo da bambina quando chiedeva alle altre signore: lei lavora? Mi ricordo come la guardavano.
E suo padre?
Eh, mio padre. Di lui racconta il mio prossimo film, Il cassetto segreto. In quel cassetto c’erano le sue foto. È stato un grande giornalista e reporter. Alla morte dei miei ho trovato un archivio immenso. Sono partita da lì, per raccontare la storia.
Quando L’isola è andato a Cannes i suoi sono venuti?
No, non ho pensato a chiederglielo, che scriteriata. Da ragazzi succede. Ma quando poi è uscito negli Stati Uniti abbiamo fatto il viaggio insieme, con mia madre.
Come nasce L’isola?
Come spesso accade per i film d’esordio racconta la mia infanzia. Favignana, l’isola delle mie estati di bambina. La casa dei nonni. L’anno era uno spazio fra un’estate e un’altra. È la storia di due bambini, Teresa e Turi, liberi, che non vogliono il destino che la vita ha stabilito per loro. Lui non vuole fare il pescatore, come suo padre, ma il marinaio. Lei vuole fare la pescatrice, invece. Prega suo nonno, che quando era piccola l’aveva salvata dalle onde. Ma sta crescendo, è costretta a togliersi i pantaloni e mettersi il vestito. Mentre Turi non si identifica nell’isola, nella violenza della pesca delle tonnare, vuole andare fuori, lei vuole essere l’isola. È un film d’amore. Per il mare, per l’isola, per questi ragazzi.
Anche suo nonno l’ha salvata dalle onde?
Non l’ho mai conosciuto. È morto quando mia madre aveva 15 anni. Stavamo nella sua casa, l’estate, la grande casa accanto alla chiesa. Qualcosa di lui è arrivato a me. E poi c’era mia nonna. Così dolce, grande, accogliente.
Lei ha fatto fatica a togliersi i pantaloni e mettersi la gonna?
Io non mi sono mai messa una gonna. È anche un limite, questo, per carità. So bene di essere una donna, ma non mi percepisco “donna”. Solo persona, se si può dire solo.
Dopo L’isola, che ha avuto un incredibile successo internazionale, dopo la Quinzaine a Cannes, premi e recensioni entusiaste (ne ricordo una che la paragonava a Stromboli di Rossellini, con la precisazione che il suo però è un film “laico”) è stato difficile affrontare il lavoro successivo?
Un po’. Mi ricordo che mi dicevano tutti batti il ferro finché è caldo ma io volevo andare altrove, avevo la testa in altre cose, ho fatto un lavoro in tre parti su una famiglia di Capoverde. Ero e sono una capa tosta. Ma è anche vero che quando sei giovane ti può succedere di essere mal consigliata: di non capire quel che sta accadendo e di non avere nessuno che te lo faccia capire. Io comunque volevo fare documentari. In quel momento erano al margine dell’industria ma come tutta una generazione, la mia, pensavo che fosse indispensabile raccontare la realtà. Poi i film documentari hanno molti rivitalizzato la cinematografia, ma questo è successo dopo.
Dopo tutti i film che ha fatto, il percorso, la coerenza, la direzione della scuola di Palermo del CSC destinata al documentario: non pensa ogni tanto di essere ancora “quella dell’Isola”?
Io sono, mi sento sempre “quella dell’Isola”. Sono così contenta che Cinecittà lo abbia restaurato. Non fu molto visto in Italia, allora. Mi piacerebbe che lo vedessero i ragazzi. Ciascuno di noi conosce la storia di Turi e Teresa. Il desiderio la voglia le costrizioni le aspettative il destino. Sì, certo. Sono quella dell’Isola. Ma anche quella di 87 ore, anche quella di Con il fiato sospeso. Quella di Sembra mio figlio, che racconta la tragedia del popolo hazara. Quel film ha cambiato, oltre alla mia vita, molte vite. Grazie al cielo non siamo mai una cosa sola.
Direbbe che non ha mai fatto quello che le conveniva ma sempre quello che voleva?
Sarei contente se lo dicesse lei.
Direbbe che ha raccontato il cinema del mare?
È indiscutibile che esista, un cinema del mare, ma il mare è sempre un’esperienza individuale, intima. Solo apparentemente le opere che ne parlano possono essere accomunate. Solo perché c’è il mare. In realtà è sempre un fatto privato, una preghiera. Ricordo che quando giravo l’isola sentivo come se stessi pregando il mare. Non è un genere, ecco. In spagnolo si intitola La isla de la isla. Bello, no? Solo chi è nato in un’isola, in effetti, può raccontare un’isola. Solo chi è nato al mare può dire il mare. Quella luce sconfinata.
È molto interessante che da un’isola, appunto un luogo isolato, confinato, il luogo delle più celebri prigioni, possa scaturire l’idea di incommensurato. Di sconfinato, all’opposto dell’etimologia.
È per questo che Turi vuole viaggiare, fare il marinaio. La sconfinatezza, questo è il sentimento che ti cresce in un’isola. Sei bagnato da tutti i lati, sei ovunque. Sei come un pesce. Ho pensato a lungo di fare un film sui pesci.
Sui pesci?
Sì. A Favignana, un giorno, negli intervalli della mia cura di chemioterapia, avevo 34 anni quando ho avuto un cancro al seno, al ristorante mi hanno portato un pesce ancora da cuocere. Sul piatto. Era bellissimo. Era perfetto. Mi ha commossa fino alle lacrime. Non avevo mai visto niente di così bello. Non smetto di pensare ai pesci, da allora.
Ma come sarebbe un film sui pesci? Muto?
Al contrario, forse un musical. Non so. Un film che danza. La vita è questo, una strana danza. Fino a 34 anni mi sono sentita vecchia, ora a 50 mi sento piccola, giovane. È cominciata una vita nuova, imprevista.
Il cassetto segreto è in uscita, è pronto?
Quasi, non ancora. Sul punto di. Sono una perfezionista, ogni cosa ha il suo tempo. E poi questa è la storia delle storie per me.
L’isola restaurato uscirà nelle sale?
Lo spero tantissimo. Era in pellicola, naturalmente, l’abbiamo digitalizzato. Ho seguito il lavoro giorno per giorno. Sarebbe così bello che uscisse e che i ragazzi possano vederlo. Speriamo.
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