Parlando con Diane Keaton si ha l’impressione che si senta più a suo agio a chiacchierare di qualsiasi argomento- la sua amata madre, le star con cui ha lavorato, una foto spuntata da un libro trovato in un mercatino delle pulci – che non di se stessa.
Se dovesse farlo, ci sarebbe molto da dire. A partire da una carriera iniziata con il teatro di New York, i film della saga de Il Padrino, una prolifica collaborazione con Woody Allen. Da allora Diane Keaton ha ottenuto quattro nomination all’Oscar (ha vinto per Io e Annie nel 1977). I film Reds e In cerca di Mr. Goodbar ne hanno messo in luce la forza drammatica, titoli come Il club delle prime mogli del 1996 e Tutto può succedere l’hanno consacrata come una delle maggiori attrici comiche di Hollywood. Più di recente è stata protagonista di film come Book Club (che ha incassato 104 milioni di dollari in tutto il mondo), affiancata da veterani di Hollywood altrettanto blasonati, come la collega Jane Fonda.
Lontana dal set, Diane Keaton ha scritto e scattato una quantità impressionante di libri fotografici sull’architettura californiana che sono diventati best-seller (è anche un’appassionata ambientalista). E e poi c’è il suo stile, amatissimo da sempre: pantaloni, dolcevita, ampie cinture e cappelli ancora più grandi.
Avere a che fare con l’attrice per telefono non è un’esperienza poi così diversa dall’assistere a un suo spettacolo. Tormentoni, nonsense e autoironia, il tutto inframmezzato da commenti sinceri sulla vita, la famiglia e la carriera. In vista dell’uscita del sequel di Book Club (in sala il 12 maggio), Diane Keaton ha parlato della sua carriera e di ciò che la trattiene a Hollywood.
Come sta?
Sono molto contenta del tempo che c’è in questo momento perché è molto luminoso. Non vedo il sole, ma il cielo è così azzurro. È bellissimo. So che lei è cresciuta nel sud della California. Non me ne andrò mai da qui, sa. Ho vissuto a New York per diversi anni e a volte immagino di poter fare entrambe le cose. Capisce? Nell’ultimo anno ho cercato di comprare una casa a Laguna Beach, perché mia madre e mio padre la adoravano, ma non è stato possibile. Ci ho provato per tutto l’anno a comprarla, se lo immagina?
La California e New York: questi luoghi le servono da ispirazione?
Oh, sì. Credo di sì, entrambi. Mia madre è stata Miss Los Angeles, l’ho vista sul palco da bambina. La California è tutto per me. Non me ne andrò mai e poi mai da qui. Adoro New York, ci ho vissuto a lungo quando facevo il corso di recitazione, e cose del genere, con il nostro insegnante Sandy Meisner. Credo che più andiamo avanti, e più ci aggrappiamo al nostro passato. Anche essere su Instagram mi dà gioia. Sì. È una scusa per andare avanti, sperimentare, giocare. Ecco perché mi piace.
Ha un grande senso dello stile. Per la gente è un modello.
Beh, non lo so. (Ride, ndr)
Per lei, cosa rende grande un personaggio? Cosa le fa desiderare di interpretarlo?
Un personaggio è grande quando i suoi problemi gli risuonano dentro. Ma la sua grandezza dipende anche dagli attori e dai registi. Dipende da tanti fattori. Certi personaggi ti fanno sentire a tuo agio qualsiasi cosa tu stia facendo, con altri hai l’ansia di come andrà a finire. Faccio questo lavoro da molto tempo e mi piace ancora. Voglio dire, è davvero divertente recitare con gente come Andy Garcia. Ti senti bene con te stesso.
Che cosa l’ha convinta a tornare nel sequel di Book Club?
Il primo film è stato molto divertente. E il secondo era ambientato in Europa. Ho pensato che la cosa potesse funzionare. Ovviamente le persone con cui ho lavorato sono fantastiche, e questo aiuta. E, sai, ci sono anche parti molto soddisfacenti, come quella in cui devo piacere agli uomini. Quei piccoli, minuscoli momenti in cui devo piacere agli uomini. Non solo piacergli, ma farmi proprio amare, far si che si preoccupino di me, che mi trovino affascinante e meravigliosa. E bellissima, ovviamente (Ride, ndr) Sto scherzando. Sogna quanto vuoi, scemo.
Com’è stato tornare sul set con le altre colleghe?
Abbiamo fatto due film insieme, sono persone uniche e straordinarie. Mary Steenburgen è la madre più gentile di tutte. È davvero una grande attrice, sempre presente per tutti. Basta guardarla per sentirsi confortati. E poi ovviamente c’è Jane Fonda, che è sempre Jane. Che vita è la sua? È brillante, ha avuto una vita fantastica e continua a godersela. Poi c’è Candice Bergen, che è di gran lunga la più divertente di tutte. Un personaggio, simpaticissima e senza filtri.
Nel film, nel bel mezzo dell’avventura, c’è una scena in cui lei e Jane Fonda parlate di rimpianti e di occasioni mancate. Com’è stato girarla?
È stato commovente. È andata bene, mettiamola così. Perché a volte sei così preoccupato di girare una certa cosa, specialmente se riguarda le emozioni, i sentimenti, il dolore. La verità è che se ti lasci andare, e sei con qualcuno di cui hai stima, allora funziona tutto.
Come definirebbe questa fase della sua carriera?
Mi sento come mi sono sempre sentita. Se va bene, bene. Altrimenti mi adeguerò.
Pensa che l’industria offra opportunità agli interpreti più anziani?
Non necessariamente. Dipende dalle persone. Ma non ci faccio caso. La mia risposta è: io sono stata fortunata. Se non si recita, ci sono altre cose che si possono fare. Sono appassionata di fotografie e libri di fotografia. Ho un’enorme parete in casa con tutti i miei scatti, cose che ho raccolto in giro. Adesso, in questo momento, sto sfogliando un libro fotografico. C’è la foto di un uomo che deve aver passato un brutto quarto d’ora dal dentista, ha la bocca spalancata e i denti orrendi. Mi sta guardando proprio ora. (Ride, ndr). Peccato che lei se lo stia perdendo. Ho visto un’altra fotografia, la schiena di un uomo nudo con una mano incollata dietro. Una cosa un po’strana, diciamo. E poi ho qui anche una foto delle mie sorelle, Dorrie e Robin. E, naturalmente, ho fotografato mille volte il mio cane. Sono circondata dalle immagini.
Torniamo sulla foto dell’uomo dal dentista.
Beh, è un po’la storia della mia vita. Ho avuto esperienze interessanti dal dentista. Non buone, ma ora va tutto bene. Ho i miei denti. Dovresti essere orgogliosi di me. (Ride, ndr). Immagino che lei adesso vorrebbe liberarsi il più velocemente possibile di questa intervista.
Ha fatto anche la regista: i video musicali di Belinda Carlisle, alcuni episodi delle serie anni ’90 Twin Peaks, il film del 2000 Hanging Up. Dal punto di vista creativo, che cosa le ha dato la regia che non le ha permesso la recitazione?
Pensavo di potercela fare, ma è stato difficile. Non voglio dire che la gente fosse troppo critica con me, ero io. A volte era un po’ più semplice, altre volte mi veniva l’ansia. Devi essere estremamente attento e lucido quando maneggi il soggetto di un altro. Lo capisco e lo accetto molto più come attrice. So di essere solo uno dei personaggi.
Nota differenze sul set quando ha a che fare con talenti navigati come i suoi colleghi in Book Club?
Certo che sì. Dipende anche dalla giornata e da come ti senti in quel momento. Quando sei nel pieno del lavoro, soprattutto con attrici o attori di grande calibro, sei spaventato e preoccupato, poi le cose iniziano a migliorare. La lucidità sul lavoro non dipende solo da te stessa. Lavoro che adoro, visto che lo faccio dal momento in cui ho potuto. Frequentai una scuola di recitazione, partecipai a Hair. Ho avuto il grande piacere di cantare una canzone, di cui però adesso mi vergogno. Sa di cosa parlo?
Credo di sì. Ho letto qualcosa in un articolo sull’anniversario di Hair, ma non sono riuscita a trovare una sua dichiarazione in merito.
Ho avuto paura di cantare quella canzone. Sì. Perché c’è qualcosa in quella canzone. Qualcosa che non va bene. Sa cosa voglio dire? Ho ancora delle brutte sensazioni per via del testo (canta): “I ragazzi neri sono deliziosi / Amore al gusto di cioccolato / Labbra di liquirizia come caramelle”. Dico: ma sul serio? Non mi pare una buona idea.
Probabilmente non lo è.
Qualcuno guarda ancora Hair? Va ancora in scena o è finito? Non lo so.
Nemmeno io ne sono sicura.
Interessante. Spero che si siano liberati di quella canzonetta lì.
Probabilmente non ci sono molte produzioni di Hair per le scuole medie in giro.
(Ride, ndr) È altamente improbabile.
Recentemente è stato celebrato l’importante anniversario per uno dei suoi film, Il Padrino. In passato, ha detto di aver avuto l’impressione di non essere all’altezza del ruolo di Kay Corleone.
Oh, sta scherzando? Ma certo. Ero terrorizzata. Non capivo perché proprio io. Voglio dire, sono andata al provino. Non l’avevo nemmeno letto, il copione. Ecco, questa è una cosa brutta, ma avevo bisogno di lavorare e quindi ci andai. Avevo fatto provini per circa un anno e poi è arrivato questo. E continuavo a pensare: “Perché io? Perché mi ha scritturato?”. Non lo capivo. In realtà non lo capisco ancora.
Hai mai chiesto al regista?
Non l’ho chiesto perché non ho mai avuto un rapporto di amicizia con il nostro Francis Ford Coppola. Era gentile. Quando lavorava, se non gli piaceva qualcosa, mi diceva: “Prova questo”. E funzionava. Ma non ci credevo. Pensavo: “Oh mio Dio, sono un problema. Non dovrei essere qui. Sono un’attrice da commedia”.
Quindi è sempre stata più a suo agio con la commedia?
Sì, certo. Ma ripeto, conta soprattutto la persona con cui reciti e chi ti dirige.
Cosa rende grande un regista?
Una grande sceneggiatura. Credo che un grande regista abbia bisogno di una grande sceneggiatura.
Ha collaborato a lungo con registi e attori come Nancy Meyers, Woody Allen e Goldie Hawn. Come fa a sapere se ha trovato uno spirito affine in un artista? È un amore a prima vista?
No, è ansia. Sei preoccupato. Se il regista o il tuo partner è fantastico, preoccupi. “Andremo d’accordo? Posso fare…? Cosa sono…? Oh, cielo”. Ti preoccupi finché non diventa tutto improvvisamente facile. Sono sicura che chiunque si sente così. Con Goldie e Bette Midler, in quel film in particolare, Il club delle prime mogli, è stato bello. Ero sempre un po’ ansiosa e preoccupata.
Perché?
Perché sono attrici davvero straordinarie. Sa, non le conoscevo bene. Ma col tempo le cose sono cambiate, come succede nella vita. Sono stata molto fortunata ed è stato bello vederle lavorare perché entrambe operano in modo diverso l’una dall’altra, mentre io facevo le cose a modo mio. Non che sia strano il loro, ma il mio sì. Il mio è strano (ride, ndr).
Oltre a “strano”, come descriverebbe il suo processo?
Fortunato. Sono fortunata. Ricordo che quando ottenni quel lavoro per un deodorante (Diane Keaton recitò in una pubblicità del 1970 per il deodorante Hour After Hour), fu il più importante lavoro che avessi mai avuto all’epoca. Quello fu il colpo di grazia. Ero nervosa, ansiosa.
Quando si senti più a suo agio sul set?
Dopo averci “giocato” un po’. In alcuni casi, mai.
Da dove proviene il suo benessere?
Direi da mia madre. Lei era tutto. Lei stessa sarebbe stata un’attrice. Avrebbe potuto esserlo. Era anche Mrs. Highland Park. Avevo 6 anni e guardavo mia madre nel teatro di Highland Park, che è ancora lì, e l’ho vista vincere. Ci trasferimmo perché papà aveva un lavoro a Santa Ana e per lei fu la fine. Quello che so sul matrimonio, l’ho capito quella sera, quando ha dovuto abbandonare tutto. Per lei era finita. Me lo ricordo e ha avuto un grande impatto su di me. Era generosa con noi. Se avevi un’idea, lei era lì. Ho avuto una carriera grazie a mia madre. E anche mio padre, a modo suo.
Ripensando alla sua carriera, c’è un’interpretazione che le è rimasta impressa?
Il primo film di Woody Allen Suonala ancora Sam del 1972. Ne fui totalmente sorpresa.
Ritiene che le accuse rivolte a Woody Allen o le altre controversie mettano in ombra il lavoro che avete fatto insieme?
No, per niente. No. Sono orgogliosa. Ne sono orgogliosa oltre ogni misura.
Cosa la ispira a continuare a lavorare a Hollywood?
Una buona parte. Una fantastica sceneggiatura. Non va bene, ma ne vale la pena.
La mia ultima domanda per lei…
Che fortuna. Sta per liberarsi (Ride, ndr).
Mi è piaciuto molto intervistarla. C’è qualcosa che le piacerebbe davvero fare adesso?
Sì. Continuare ad andare avanti.
L’intervista è stata modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.
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