Non pensiate che Eugenio Mastandrea possa interpretare solo il bravo ragazzo. È vero, in The Equalizer 3 è un carabiniere, e presto lo sarà anche nella quattordicesima stagione di Don Matteo accanto al protagonista Raul Bova, ma prima ancora è stato un naziskin e il truffaldino Ulisse. Nonché cuoco accanto a Zoe Saldana nella serie From Scratch – La forza di un amore su Netflix.
Una carriera poliedrica per l’attore romano, classe ’93, che ricorda cosa ha imparato da una personalità come Denzel Washington e, soprattutto, cosa significa soccorrere il “capocannoniere” della pellicola di Antoine Fuqua, in sala dal 30 agosto.
Come ci si sente a salvare Denzel Washington, seppur in un film?
È più corretto dire che lo soccorro. Sarà poi lui, nel corso della pellicola, a salvare me in contesti ben più pericolosi. È stata un’esperienza divertente. Quando ti trovi insieme a un cast di attori così bravi sei continuamente stimolato a dare il meglio.
Cercando di primeggiare su un due volte premio Oscar?
Tra attori funziona sempre un sano agonismo. Ovviamente non posso permettermi di paragonarmi a interpreti di simile esperienza e caratura. Ma il mestiere della recitazione è un continuo lanciarsi la palla: se tu sei così bravo da prenderla, allora io cerco di passartela ancora meglio. In questa equazione Denzel Washington era il nostro capocannoniere, noi cercavamo di tirargli la palla così che potesse metterla in rete.
E come è stato con lei il “capocannoniere”?
Molto professionale. Sempre dritto, concentrato su ciò che bisognava fare sul set. È questo che ho ammirato e appreso di più da Denzel Washington. Ed è anche ciò che ho cercato di rubargli.
Ha rivisto nell’attore qualcosa del metodo di un’altra sua collega internazionale, la Zoe Saldana con cui ha recitato nella serie From Scratch – La forza di un amore su Netflix?
Sì, l’applicazione costante e continua al lavoro, con i denti e con le unghie. È ciò che paga sempre. Si capisce che Denzel e Zoe, ma mi ci metto in mezzo anche io, sappiamo di “esistere” grazie al lavoro che facciamo. È qualcosa che ho potuto notare toccando con mano Hollywood, ma per capirlo la prima volta mi è bastato lavorare con Vittoria Puccini nella serie La fuggitiva. È stato un onore starle accanto e vedere la dedizione che metteva.
Quali parallelismi rivede nei cliché che, da italiani, si possono riscontrare in From Scratch – La forza di un amore o in The Equalizer 3?
Il dover fare i conti con una sensibilità che non è né italiana, né europea. È ovvio che alcuni stereotipi possano ricadere sui modi della rappresentazione, ma perché ci si confronta con lo sguardo di chi ci osserva da oltreoceano. Credo sia un qualcosa con cui debbano scendere a patti tutti i paesi. Ognuno dipinge ciò che vede negli altri, in questo caso nell’Italia e i suoi abitanti, ragionando per cultura e luoghi iconici.
Antoine Fuqua, il regista di The Equalizer 3, era pronto ad accettare consigli su come parlare del Bel paese?
Ho trovato in Antoine una grandissima sensibilità e una propensione all’ascolto. Ha preso nota di tutte le obiezioni e i suggerimenti fatti sia dai collaboratori italiani, che americani. Ha la capacità di mettere le persone a proprio agio, per permettere loro di dare il meglio. Ha lasciato che dicessimo la nostra sulla cultura italiana, non perdendo mai di vista il copione che doveva rispettare.
Certamente tutta la parte action è quella meno frequente nella nostra cultura cinematografica italiana.
Ed è divertente da attore poterla mettere in scena. Sia che si tratti di essere un interprete italiano o meno. È adrenalinico girare le sequenze di un film d’azione e The Equalizer 3 ha alcuni espedienti narrativi avventurosi e eccitanti.
Nella nostra intervista a Andrea Scarduzio, interprete del cattivo Vincent, l’attore si è mostrato risentito nei confronti dell’industria italiana, ritenuta non meritocratica come quella statunitense. Si trova d’accordo?
Credo che ogni carriera abbia il suo percorso personale e insindacabile. Andrea ha riportato la sua esperienza, io posso parlare per ciò che conosco e ho sperimentato. Il mestiere della recitazione è particolare, è qualcosa che ha a che fare col trovarsi in un determinato luogo, in quel preciso momento. Noi attori dobbiamo dare voce e corpo a personaggi che non esistono, per questo ci muoviamo per andare dove c’è bisogno di noi e raccontare così una storia.
Non importa da dove provenga, se dall’Italia o dagli Stati Uniti. Non ho una conoscenza approfondita del mercato americano, quindi non so se sia più o meno meritocratico di quello italiano. Posso dire che ciò che fa la differenza è lo studio costante e l’applicazione indefessa, che paga giorno per giorno.
Al momento i suoi colleghi americani sono impegnati in un importante sciopero sindacale, quello della SAG-AFTRA. Che opinione ha al riguardo?
Mentirei se dicessi di essere splendidamente informato sullo sciopero degli attori in America. Sono però stupito e contento della compattezza che stanno mettendo in questa causa, che riguarda l’intero mondo dell’audiovisivo. Per noi lavoratori è fondamentale essere tutelati, c’è bisogno di fare squadra e fronte comune. Il mio augurio è che anche in Italia possa svilupparsi una sensibilità collettiva.
Nel futuro, invece, la aspetta uno dei programmi più patriottici di sempre. Sarà infatti il nuovo capitano dei Carabinieri di Don Matteo. Come mai un altro uomo di giustizia, dopo il suo Gio in The Equalizer 3?
Ho esordito nel 2012 con A.C.A.B. in cui interpreto un naziskin che odia il padre che fa la guardia. Poi sono stato l’Ulisse mitologico di omerica memoria, il più grande malandrino e principe dei mentitori che sia mai esistito, figlio di truffatori di professione. Ora, da The Equalizer 3 a Don Matteo, interpreto per due volte un carabiniere. Come sul dirsi: un colpo al cerchio e uno alla botte.
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