Gli anni d’oro di Glenda Jackson sono stati all’inizio degli anni ’70, e sono stati d’oro zecchino: non è capitato a molte attrici di vincere due Oscar in quattro anni. Nel ’71 si è imposta per Donne in amore, di Ken Russell; nel ’74 per Un tocco di classe di Melvin Frank. Il primo era un film inglese tratto da un famoso e controverso romanzo di David H.Lawrence, lo scrittore di L’amante di Lady Chatterley. Il secondo è una commedia con risvolti sexy girata a Londra da un regista americano. Nello stesso scorcio di decennio Glenda Jackson è stata candidata all’Oscar altre due volte, nel ’72 per Domenica maledetta domenica di John Schlesinger, nel ’76 per Il mistero della signora Gabler di Trevor Nunn, tratto da Hedda Gabler di Ibsen. Per cinque anni fu l’attrice più apprezzata del mondo. Ed era effettivamente una star.
Glenda Jackson, gli esordi
Era nata nella zona di Liverpool, da una famiglia modesta, nel 1936. Aveva cominciato a recitare in una delle millanta compagnie teatrali che fanno del Regno Unito il principale “paese produttore” di attori nel mondo. Il suo primo mentore fu il grande regista teatrale Peter Brook, che la volle nel ruolo di Charlotte Corday nel suo celebre Marat/Sade (testo di Peter Weiss) sia in teatro, sia al cinema.
Aveva una bellezza strana: magra, con un viso dai tratti vagamente orientali, un volto bello ma non canonico. Il primo regista cinematografico che si innamorò (artisticamente) di lei fu il ragazzo “maledetto” del cinema inglese di quegli anni, il citato Ken Russell. Prima in Donne in amore, poi come moglie di Piotr Caikovskij in L’altra faccia dell’amore, e successivamente anche per un piccolo ruolo nel musical The Boy Friend, dove la star era Twiggy. In quegli anni Russell era un regista pop e popolare – passateci il bisticcio –, anche lui quasi un divo: i suoi film davano scandalo, avevano successo, uscivano regolarmente e con grande risalto anche in Italia.
Il teatro da mattatrice
Glenda Jackson divenne un volto abituale anche per noi. Tanto che Damiano Damiani la volle come protagonista (in un ruolo da suora) in un film/apologo stranissimo e un po’ cerebrale, Il sorriso del grande tentatore (1974). Passato quel periodo di splendore, la carriera cinematografica di Glenda Jackson si dirada, e si potrebbe pensare – leggendo la sua filmografia – che si fosse ritirata, o che il cinema l’avesse dimenticata. Vera forse la seconda cosa, per niente la prima: è tornata a lavorare moltissimo in teatro, il suo vero amore, dove nel 2016 ha fatto addirittura un Re Lear all’Old Vic di Londra nei panni… del re, del protagonista. Un gesto che solo le vere mattatrici possono permettersi.
La carriera politica
Nel frattempo, vi sembrerà strano, ha fatto politica. Nel 1992 è stata eletta deputato laburista alla Camera dei Comuni, incarico che ha ricoperto per varie legislature, diventano anche ministra ombra dei trasporti (sì, i trasporti, non la cultura! A Roma forse avremmo potuto chiederle qualche consiglio) per il Labour dal 1997 al 1999. Decise di non ricandidarsi alle elezioni nel 2015, per motivi di età: aveva ormai quasi 79 anni. Doppia anomalia: candidarsi alle elezioni per un’attrice, ritirarsi in buon ordine per una politica.
Glenda Jackson ha avuto una vita piena. La Gran Bretagna, con lei, perde una grande attrice; il mondo perde una grande donna.
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