“Cerco di arrivare con la mente vuota e il cuore aperto”, dice Harrison Ford quando gli viene chiesto che cosa pensa quando si siede per un’intervista. E poi aggiunge con tono di sfida: “Distruggi le mie illusioni”. L’iconico attore non ama molto chiacchierare con la stampa, soprattutto quando i giornalisti cercano di curiosare altrove, non solo nella sua carriera. Anzi, Ford afferma che preferirebbe stare in piedi su una gelida collina del Montana per le riprese del prequel di Yellowstone, 1923, o essere pestato da stuntman in Indiana Jones Il quadrante del destino, o fare qualsiasi altra cosa piuttosto che rivelare qualcosa di personale.
È per questo che l’altro ruolo di Harrison Ford quest’anno – sì, è molto impegnato – è piuttosto ironico: interpreta un terapeuta nella nuova serie comica Shrinking di Apple Tv+, guadagnandosi gli applausi per un’interpretazione che si rifà al personaggio pubblico e bisbetico di Ford (che, stando a diverse testimonianze, non rispecchia per intero la sua vera natura).
A guardarlo, occorre ricordarsi che ha 80 anni, perché i calcoli sembrano sbagliati. La sua postura è un po’ incurvata, anche per le ferite subite sui set cinematografici e a causa dell’incidente aereo quasi mortale del 2015, oltre che per l’età. Quando sorride, si intravedono tutti gli eroi che ha interpretato: Han Solo, Rick Deckard, Jack Ryan… Ci sono tutti, stratificati nel tempo.
“Harrison non è diverso da Indy, nel senso che porta con sé le cicatrici di tutti i film che ha fatto, oltre alle sue calamità private”, dice il regista di Indiana Jones – Il quadrante del destino James Mangold. “È l’incarnazione di tutti i lividi, le ossa rotte, i rimbalzi sui muri e le botte subite in tanti anni”.
A un certo punto, mi permetto di chiedere a Ford se si è mai sottoposto a botox, laser o filler. Inseguire il santo graal della spa medica sarebbe un po’ fuori luogo ma non è certo un’idea folle quando il tuo viso viene proiettato su schermi di 15 metri. “Sarebbe un “no”, dice Ford, poi aggiunge con una risata: “Dovrei andare?”.
Nel 2002 hai detto: “Lavoro solo una volta all’anno, e mi basta”. Ma la tua produttività è aumentata molto. Che cosa è cambiato?
La risposta più semplice è anche la più vera: dopo due anni in cui sono stato fermo durante il Covid, e dopo aver aspettato l’inizio di Indiana Jones, mi sono accorto che non avevo fatto tutto il lavoro che avrei voluto fare e che volevo fare cose diverse. Così è arrivato Shrinking, e poi 1923 . Ho accettato senza una sceneggiatura in entrambi i casi, confidando che me ne avrebbero consegnata una buona. Non mi sono davvero reso conto quindi di quanto lavoro ci sarebbe stato in 1923, e penso che ne sia valsa la pena. Sono entusiasta di fare un’altra stagione di entrambi.
Avere per la prima volta un ruolo in una commedia televisiva, Shrinking, ti ha fatto sentire come se avessi usato nuovi muscoli o hai imparato cose nuove?
È arrogante dire che non ho imparato niente?
No, se è vero.
Beh, guarda, davvero non ho imparato niente. (Ride). Si tratta di essere appropriati alle circostanze e cogliere l’opportunità di generare qualcosa con un po’ di spontaneità e una dose di verità.
Il co-creatore dello show, Brett Goldstein, ha riferito che quando ti ha presentato la sceneggiatura tu ci hai trovato qualcosa di legato alla tua vita. Che cosa?
Non sono sicuro di volerne parlare. Ci sono problemi familiari in cui mi sono riconosciuto. Ho cinque figli. Questo ragazzo nella serie ha una figlia che non vede molto spesso e un’ex moglie. Ha problemi con la sua famiglia, che non sono gli stessi problemi che ho con la mia famiglia. Ma ci sono cose che ho affrontato, quindi ho trovato una realtà emotiva con cui misurarmi.
Il tuo personaggio di Shrinking, Paul, – immagino – è più vicino a come sei nella vita reale rispetto agli altri tuoi ruoli. Discreto, intelligente, affabile, a volte scontroso. Giusto?
Non ho il Parkinson, (come Paul – ndr) o una profonda conoscenza della terapia, e non sono in affari con dei fottuti maniaci. Ma riconosco che forse è come me. O forse no, e questo significa recitare.
Quindi se lo è o non lo, non vuoi farmelo sapere.
Hai scoperto la prima regola del Club di Recitazione: non parlare di recitazione.
Nel 2002 hai detto di essere andato per un po’ dallo psicologo una volta. Qual è la tua opinione su questa professione?
La mia opinione non è della professione ma del professionista. Ci sono tutti i tipi di terapia. Sono sicuro che molti sono utili a molte persone. Non sono anti-terapia per nessuno, tranne per me stesso. So chi cazzo sono a questo punto.
In rete, i tuoi fan hanno fatto alcune ipotetiche diagnosi, tenendo a mente che cosa hai detto sull’essere timido nelle situazioni di socialità e commentando alcune tue apparizioni nei talk show. Alcuni presumono che tu abbia lottato con il disturbo d’ansia. Sono sulla buona strada?
Merda. Sono cose che direbbe uno psichiatra, non un osservatore comune. No. Non soffro di ansia sociale. Ma ho orrore delle situazioni noiose. Ero timido quando sono salito sul palco per la prima volta – non ero timido, ero fottutamente terrorizzato. Le mie ginocchia tremavano così tanto che si potevano sentire dal retro del teatro. Ma questa non è ansia sociale. Questo è non conoscere un territorio. Sono stato in grado di parlarne e poi godermi l’esperienza di essere sul palco e raccontare una storia.
Quando stai attraversando un momento in cui non vuoi fare qualcosa, come motivi te stesso?
Mi metto all’opera e lo faccio. Ci sono cose che non amo fare, ma voglio essere gentile e non voglio sbattere in faccia a qualcuno che non mi piacciono. Sono qui solo per fare il mio lavoro, e il mio lavoro, al momento, è aiutare a vendere un prodotto. Questo è ciò per cui mi pagano veramente. La recitazione la farei gratis.
Al tuo livello, se volevi essere un attore che si limita a recitare e poi si rifiuta di parlare con la stampa, potresti anche cavartela.
Sarebbe da coglione. È sbagliato.
Il co-protagonista di Harrison Ford in Shrinking, Jason Segel, dice a THR che Ford è “un artigiano”, osservando: “Mi ha detto: ‘Sono stato assunto per costruire una casa, tutto quello che voglio è che quando abbiamo finito chi mi ha assunto sia contento della casa’. Ford era un falegname e molti dei suoi colleghi usano la sua precedente occupazione come metafora di come affronta il suo lavoro. Anche se non fa il falegname da decenni, il mito persiste perché, come disse una volta lui stesso, “sembra un’idea così carina che questo operaio diventi un principe delle fiabe”.
Quando gli viene chiesto che cosa vorrebbe scrivere sulla sua lapide, Ford risponde: “Non vorrei che fosse ‘Harrison Ford, bla-bla-bla, attore’. Mi accontenterei di ‘Era utile’”. Sottolineo che è un modo particolarmente riduttivo per riassumere una vita, e Ford risponde: “Beh, non c’è molto spazio su una lapide”.
Questo non vuol dire che Ford svolge il suo lavoro in modo passivo, è più uno strumento da utilizzare. Spingerà per i cambiamenti se pensa che siano necessari. “Sono uno che dice: ‘Se le parole non si adattano alla mia bocca, dobbiamo cambiarle’”. Questo ha reso 1923 un po’ complicato quando si è scontrato con il prolifico showrunner Taylor Sheridan, che non fa riscritture. “Una volta ogni tanto, abbiamo avuto un problema per questo”, dice Ford. “Ma la vita non si riscrive. Hai una possibilità e va così. Mi sono davvero impegnato a pronunciare le parole di Taylor”.
Come i patriarchi Dutton nell’universo di Yellowstone, anche tu possiedi un ranch nella regione di Mountain West e sei un ambientalista. È uno dei motivi per cui hai firmato per 1923 senza una sceneggiatura? Perché ti identifichi con quel tipo di personaggio?
Quando io e Taylor ci siamo incontrati per la prima volta, non c’era una sceneggiatura perché lui non voleva scriverne una con la certezza che fosse rifiutata. Ma ci sono cose nelle sceneggiature che non avevo previsto e che sono emotivamente coerenti con le cose che sono accadute nella mia vita. Piccole cose. Non sto a dirti quali. Ma parla della trasformazione di un luogo naturale in una città e delle conseguenze per la natura e per le persone che vi abitano. Ne parla con reale comprensione e reale complessità. Sono colpito da quanto sia coerente con quello che penso – o quello che avrei potuto pensare se fossi stato un allevatore con la stessa personalità nel 1923.
Molte persone del settore stanno lasciando New York e Los Angeles. Tu sei stato un pioniere in questo senso, ti sei trasferito negli anni Ottanta in un ranch di 800 acri nel Wyoming (dove vive con sua moglie, Calista Flockhart – ndr). Cosa ne pensi?
Una volta che le persone si sono affermate a un certo livello, non hanno bisogno di fare l’appello a Hollywood, che è comunque un luogo immaginario. Questa è Los Angeles. Noi chiamiamo il business del cinema “Hollywood”. Ma il mondo del cinema ormai è ovunque. È ad Atlanta. È a New Orleans. Nel Montana si costruiscono studios con grandi investimenti. La domanda è: come vuoi trascorrere la tua vita? Quanta libertà hai rispetto a quanta ne vuoi? Ti interessa se perdi un ruolo? Vuoi essere presente per tutto? Ho vissuto a Los Angeles per molto tempo prima di partire. Lo volevo per i miei figli.
Dopo il trasferimento, hai ripreso a volare. Hai avuto almeno un’esperienza di pre-morte (quando l’aereo d’epoca di Harrison Ford, risalente alla Seconda Guerra Mondiale, si è schiantato su un campo da golf di Los Angeles, frantumandogli il bacino, tra le altre ferite – ndr). Aver sfiorato la morte ti ha cambiato?
Ho cambiato molte cose nella mia vita. Mia moglie non vola più con me su aerei d’epoca, ma su altri. Non voglio certo dovermi riprendere di nuovo da un incidente del genere. È stato davvero difficile per la mia famiglia e per me. So cosa è successo. Questo è uno dei motivi per cui sono tornato a volare. C’è stato un problema meccanico con l’aereo di cui non potevo sapere nulla o di cui non potevo occuparmi in alcun modo. Quindi, per dirla con le parole del grande filosofo Jimmy Buffett: Le stronzate capitano.
Ma non è forse ancora più spaventoso? Quando si tratta di qualcosa che sfugge al tuo controllo, quando anche se fai tutto alla perfezione…
Beh, non si fa mai nulla di perfetto. È un concetto pericoloso. Quindi si cerca sempre di capire che cosa si è fatto. Il volo è molto simile a questo concetto. Dopo ogni volo, puoi analizzarlo e dire: “Ricordi quando l’hai fatto? È stato un errore da principiante”.
Lei ha anche salvato diverse persone con il suo elicottero. Come reagiscono gli escursionisti bloccati quando vengono salvati da Harrison Ford?
Una volta abbiamo recuperato una donna in ipotermia in montagna. Ha vomitato nel mio cappello da cowboy, ma non ha capito chi fossi fino al giorno dopo. Ho smesso di farlo perché quando eravamo fortunati da trovare qualcuno, andavano in onda su Good Morning America parlando di “un pilota eroe”. Non è così, cazzo. È un lavoro di squadra. È da sfigati pensarla in questo modo.
C’è un altro attore, i cui ruoli spaziano dal dramma all’intensa fisicità, anche pilota di elicotteri. Conosci Tom Cruise?
Mi piace Tom. Parliamo di voli. Ma lui è molto più addentro alla recitazione fisica di quanto lo sia mai stato io. Non mi dispiace correre, saltare, cadere, rotolare sul pavimento con ragazzi sudati. Ma Tom lo porta a un livello sorprendente”.
Un’altra caratteristica unica di Harrison Ford è che non ha mai espresso un’ambizione hollywoodiana al di là dell’essere un attore in carriera. È uno dei talenti più potenti del settore (i suoi film hanno incassato quasi 10 miliardi di dollari in tutto il mondo e lui ha guadagnato più di 20 milioni di dollari per film), eppure non ha mai diretto un film, né ha mai voluto farlo. Non ha una società di produzione di lusso. Ha ottenuto solo tre crediti come produttore in oltre 45 film. “Non so nemmeno più cosa faccia un fottuto produttore”, si lamenta Ford. “O perché ce ne vogliano 36 in giro”.
Sei sorpreso di fare ancora questo, recitare?
Penso che sia il luogo in cui mi sento più utile. È quello che conosco meglio. Ho perso il mio talento come falegname. Non ho mai suonato il violino. Ma mi sento a mio agio nel lottare per creare un comportamento con le parole e raccontare una storia, e sono ancora eccitato dalla prospettiva di raccontare una storia. Credo che questa sia un’occupazione di servizio: raccontare storie. Ne abbiamo bisogno. Che si tratti di disegnare sulle caverne o sui principi religiosi, amiamo raccontare storie.
Ha intenzione di continuare a farlo finché il fisico regge?
Mi piace interpretare un vecchio. Se non mi divertissi, smetterei di farlo.
Pensa che riceverà mai un Oscar e le interessa?
(Ford scuote la testa).
Neanche un po’? Perché è chiaro che lei tiene alla sua interpretazione e al successo del film. L’Oscar è una celebrazione di entrambe le cose.
Se facessi un film che ha ambizioni da Oscar, che è un film da Oscar, allora sì, vorrei che il film fosse riconosciuto. Se mi venisse assegnato un Oscar, ne sarei grato. Sto cercando di evitare questo problema, non voglio fare una campagna per ottenerlo.
Una delle tue specializzazioni al college era filosofia. Qualcosa di questa materia è rimasto con te?
Sì. C’è un teologo protestante di nome Paul Tillich che ha scritto che se hai problemi con la parola “Dio”, prendi tutto ciò che è centrale e più significativo per la tua vita e chiamalo Dio. Mia madre era ebrea, mio padre era cattolico e io sono cresciuto democratico: il mio scopo morale era essere un democratico con la D maiuscola. Ma non si applicava tanto a un punto di vista politico quanto alla natura. Non avevo alcun costrutto religioso, ma penso che la natura e Dio fossero la stessa cosa. La misteriosa origine della vita – la scienza ci dice come è avvenuta, la profezia ci racconta un’altra storia. Ho scoperto che tutto in natura – la complessità, la biodiversità, le relazioni simbiotiche – è la stessa cosa che altre persone attribuiscono a Dio. Sei contento di aver fatto questa domanda? Vuoi tornare alle cose divertenti?
Sono contento. Non te l’ho mai sentito dire prima.
L’ho conservato solo per te, amico.
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