Johnny Depp fa il divo: “Hollywood? Non mi serve. Quel che dicono di me è solo una fiction scritta male”

A Cannes la star di Jeanne du Barry incontra la stampa per la prima volta dopo il processo contro Amber Heard. E parte il flusso di coscienza: "Chi vuole essere messo in riga si accomodi. Io sto dall'altra parte della barricata"

Come da copione, Johnny Depp si è presentato in ritardo all’appuntamento con i giornalisti per Jeanne du Barry, il film che ha aperto il festival di Cannes, dopo che per tre quarti d’ora la sua sedia, accanto a quella della regista Maïwenn, era rimasta vuota. Un ritardo, verrebbe da pensare, più strategico che fisiologico: tempo indispensabile per concedere al resto del cast un minimo di visibilità, prima che la turbolenta star arrivasse da chissà dove a prendersi la scena. Per la prima volta davanti ai giornalisti, dalla fine del clamoroso processo contro l’ex moglie Amber Heard. 

E infatti, apparso Depp, il dialogo sul film si trasforma in un interrogatorio personale. Su Hollywood, che lo avrebbe boicottato (così disse lui, a suo tempo): “Certo, quando ti chiedono di lasciare un film che stai preparando (Animali fantastici 3, ndr), per una serie di voci che circolano in giro, potresti sentirti boicottato. Ma io non mi sento boicottato da Hollywood perché non ci penso, a Hollywood. Non mi serve Hollywood”, risponde articolando faticosamente la frase. Pare cercare le parole giuste, quelle più adatte e quelle più belle: “Pensavo lo facesse perché il francese non è la sua lingua madre – prova a sdrammatizzare Maïwenn, che ha chiesto a Depp di interpretare, nel suo film, nientemeno che il re di Francia Luigi XV – invece ho scoperto che lo fa anche in inglese”. 

Tra Brando e Morrison

Seguire il flusso dei suoi pensieri, in ogni caso, è faticoso. “La maggior parte delle cose che avete sentito dire su di me, negli ultimi cinque o sei anni, sono fiction. Fiction incredibilmente mal scritta. Ora per esempio siamo qui per parlare del film. Ma ogni volta che mi viene fatta una domanda, io leggo il sottotesto, ovvero: ‘dio quanto ti odio’. Così va il mondo”, argomenta Depp.

Ma i giornalisti incalzano e il divo non si sottrae. Schiocca la lingua, accenna qualche sorriso, fa lunghe pause. Inizia le frasi e le lascia a metà, il suo modo di parlare ha un andamento poetico: più che l’irregolarità di un Marlon Brando, il suo idolo, fa venire in mente la trance sciamanica di un Jim Morrison. Viviamo in un’epoca strana, in cui la gente vorrebbe essere se stessa ma si sente costretta a rimettersi in riga, a conformarsi – aggiunge, nel flusso di coscienza – Se vogliono vivere quel tipo di vita, si accomodino pure. Io li aspetto dall’altra parte della barricata”.

Il fuoco di fila però non si arresta: “Cosa penso delle persone che dicono che non dovrei essere a Cannes? È come se un giorno mi impedissero di andare da McDonald’s perché alla gente dà fastidio vedermi mangiare un Big Mac. Ma chi è questa gente? Cosa gli importa se sono a Cannes? Sono persone che vivono davanti allo schermo di un computer, e che evidentemente hanno molto tempo da perdere. E sarei io, quello di cui dovreste preoccuparvi?”.

La commozione di Johnny

Sul suo ritorno al cinema, a tre anni dall’ultimo film, Depp sembra avere le idee più chiare: “La parola ritorno è una trovata giornalistica. Io non me ne sono mai andato. A un certo punto la gente ha smesso di chiamarmi, forse perché aveva paura. Ma non è un ritorno: in questo film ho fatto, come sempre, i miei passi di danza. Spero vi sia piaciuto”.

Ieri, dopo un red carpet trionfale (nessuna traccia delle attiviste: alle transenne per lui solo fan indemoniate), e sette minuti di standing ovation in sala, Depp si è presentato alla cerimonia di apertura del festival con gli occhi lucidi, visibilmente commosso. “Cosa ho provato? Mi sentivo orgoglioso. Maïwenn è stata molto, molto paziente con me”.

Lo avrebbe potuto raccontare anche lei, certamente. Se solo fosse riuscita a parlare.