Kyle Eastwood: “Se mio padre mi chiedesse di comporre la colonna sonora del suo prossimo film accetterei volentieri”

Amante del jazz e primogenito di un'icona (attualmente al lavoro su Juror No. 2), il musicista ha tenuto una masterclass al Torino Film Festival 2023 e scambiato quattro chiacchiere su recitazione, cinema e genitori ingombranti per l'intervista su THR Roma

Kyle Eastwood nasce a Los Angeles nel 1968. È il primogenito della dinastia dell’attore Clint, il cowboy per antonomasia, o il poliziotto dallo stile all’ispettore Callaghan, “anche sé, in verità, il personaggio più vicino alla sua personalità è il protagonista de I ponti di Madison County”. A rivelare l’animo “più melò che da duro” del padre è il musicista stesso, che ha debuttato nella recitazione nel 1982 quando aveva soli quattordici anni, ma che dopo Honkytonk Man e qualche altra particina in giro per il cinema del padre (e non solo) ha deciso che per la settima arte avrebbe contribuito soltanto con le colonne sonore. Per poi smettere anche con quelle.

È la musica che ha assorbito tutto il suo mondo. Il jazz in particolare. Anche a Torino, dopo il salto alla masterclass per la 41esima edizione del festival cinematografico, ha intrattenuto il pubblico con uno dei suoi concerti. Un amore prevedibile visto che fin da piccolo papà Clint Eastwood e mamma Maggie Johnson gli facevano ascoltare Thelonious Monk e Miles Davis. Una tradizione cinematografica e musicale che ha trasmesso alla figlia Graylen, anche lei attrice e musicista, per una conoscenza artistica che si tramanda di generazioni in generazioni: “Ancora oggi, quando trascorro del tempo con mio padre, tira fuori il suo nastro Betamax e mi fa vedere vecchi film degli anni trenta, quaranta o cinquanta”.

Sono circa nove le collaborazioni alle colonne sonore per l’Eastwood regista. Gran Torino (2008) è quella di cui è più fiero, insieme a Lettere da Iwo Jima (2006). Ma è stata Changeling la vera sfida: “Il film ha richiesto un nuovo montaggio e, così, abbiamo dovuto ripensare a come inserire la musica”. E sì, Kyle Eastwood e Ennio Morricone, che di colonne sonore per film con protagonista il padre ne ha composte (e che colonne sonore!), hanno avuto modo di incontrarsi: “Ci siamo visti solo una volta, anche relativamente recente. Se mi chiedessero quale colonna sonora avrei mai voluto comporre, non avrei dubbi: Nuovo Cinema Paradiso”.

In che momento si trova della sua vita da musicista?

Continuo a divertirmi quando suono. Cerco di crescere ogni giorno e per farlo devo confrontarmi con progetti sempre nuovi. Mi esibisco con il mio solito quintetto, ma sto anche portando avanti la tournée dedicata ai film di mio padre musicati da una vera orchestra sinfonica. È un omaggio al suo cinema, che quest’estate ho portato in Italia in occasione dell’Umbria Jazz.

Come mai ha smesso di lavorare alle colonne sonore?

Mi sono concentrato sui miei progetti, sulla mia band, il che mi ha portato via molto tempo. Di sicuro non mi dispiacerebbe fare un altro film. Mio padre sta girando il suo prossimo progetto, Juror No. 2. Se mi chiedesse di fare la colonna sonora accetterei sicuramente (le riprese erano cominciate a giugno 2023 e sono state interrotte a causa dello sciopero degli attori, per riprendere a novembre ad Atlanta. Il film ha come protagonisti Nicholas Hoult e Toni Collette, nrd.).

Nessun altro regista le ha mai chiesto di realizzare dei brani per un suo film?

No, ma il mio amico Olivier Assayas mi ha chiesto di recitare in una piccola parte nel suo film Ore d’estate (2008, ndr.). Ci sarebbero però dei registi per cui mi piacerebbe comporre. Martin Scorsese, Ridley Scott. Anche David Fincher fa un uso interessante della musica abbinata alle sue immagini, così come Paul Thomas Anderson.

A parte una particina in un film con William Holden negli anni settanta, ha debuttato come attore nel 1982 con Honkytonk Man, diretto da suo padre. Non le è mai venuta voglia di continuare?

Devo essere sincero, non ci ho mai pensato.

Però da piccolo voleva fare lo stuntman.

Sì, è vero, quando ero ragazzino. Crescendo mi sono reso conto di quanto fosse pericoloso e che si rischiava davvero di farsi male, allora quella fantasia è volata. Quando ero al liceo, invece, pensavo di voler diventare regista. Ma verso i diciassette anni la musica ha preso il sopravvento e ho cominciato a lavorare professionalmente a diciannove. Anche suonare per un pubblico può richiedere coraggio, ma non c’è niente che mi diverte di più che suonare dal vivo.

Ha visto Whiplash? Quello è un film con una colonna sonora jazz e con protagonista un musicista.

Sì, l’ho trovato molto bello.

Come funziona quando lavora insieme a suo padre?

Abbiamo trovato un equilibrio. A volte le idee partono da lui, altre volte mi lascia operare più liberamente. Ci sono casi in cui si siede al piano, accenna una melodia, allora poi la registro e mi metto a sperimentare. Dopo il primo montaggio selezioniamo le sequenze centrali dal punto di vista visivo e da lì mi metto a lavorare al pianoforte.

Come è stato crescere sapendo che suo padre è un’icona?

Il primo ricordo che ho di mio padre è che…è mio padre. Ovviamente ho imparato quando ero molto giovane che il mio, di padre, faceva un lavoro diverso da quello dei padri dei miei amici. Capisco che la gente può essere curiosa, lo sarà sempre, e la cosa non mi disturba affatto. Ha avuto una carriera e una vita meravigliosa. Sono fiero dei suoi successi e non mi darà mai fastidio rispondere quando qualcuno mi chiede di lui.

Per la sua musica ha scelto Parigi come città d’adozione. Non sente di aver tradito i tanti grandissimi artisti jazz americani?

Sono cresciuto in California e ho vissuto circa sei o sette anni a New York. Gran parte della mia formazione musicale arriva dalla Grande Mela, soprattutto dalla sua scena jazz. Venendo però a suonare spesso in Europa è stato naturale spostarmi a Parigi. Mi sembrava un bel posto dove vivere. La verità è che non mi ero reso conto che sarei rimasto così a lungo. Ma viaggiando molto, e facendo la spola tra gli Stati Uniti e l’Europa, era prevedibile che sarei rimasto.

Ha tratto ispirazione dalla città?

In Europa ci sono grandi festival jazz, un ottimo pubblico musicale e molte opportunità per suonare. Parigi è un insieme di tutto questo.

Continuerà a concentrarsi solo sul jazz?

Ci sono cresciuto. I miei genitori ne sono fan. Ma negli anni settanta o ottanta, quando andavo al liceo, ascoltavo tantissimi tipi di musica: R&B, rock&roll, funk, pop. Perciò non si sa mai.