Terry Gilliam cammina – anzi, trotta – per i vicoli bianchi di Monopoli. E canticchia: “I’ve got two legs from my hips to the ground, and when they move they walk around, and when I lift them they climb the stairs, and when I shave them they ain’t got hairs”. “E’ la canzone più rilevante che ho mai scritto – scherza – e lo capisco più che mai oggi che sono un vecchietto di quasi 83 anni. Ogni giorno ringrazio le mie gambe, che continuano a non tradirmi! Almeno quelle”.
Altro che “vecchietto”: Gilliam è una forza della natura. In inglese una personalità come la sua si racchiude nell’espressione “larger than life”, che in italiano non trova una traduzione altrettanto puntuale. Ma lui è così: è “tanto”, è quasi troppo: sensibilità, spregiudicatezza, intelligenza sopraffina e irrefrenabile fantasia. Il maestro visionario, l’unico membro americano dei leggendari Monty Python, che ha regalato alla storia del cinema perle come Brazil e “La leggenda del re pescatore”, solo per menzionarne alcuni, si trova nella cittadina pugliese per Ora! Fest, di cui è ospite d’onore, dove ha tenuto una masterclass per il pubblico prima della proiezione de Le avventure del Barone di Munchausen.
“Per me è l’occasione di rivedere Munchausen – racconta – il mio film “italiano”. Non lo vedo da quando è uscito [il 1988, ndr] e devo dire che sono emozionato”.
Davvero non l’ha mai più rivisto?
“Non ho mai rivisto nessuno dei miei film: se li rivedessi mi accorgerei che non sono belli quanto gli altri credono. Preferisco rimanere attaccato alle idee e agli ideali, non mi restano che questi! Ma ad essere sincero sono fiero di Munchausen, non so nemmeno come ho fatto a finirlo, ancora oggi non conosco il budget reale del film. I 23,5 milioni stanziati inizialmente sono finiti dopo 6 settimane di riprese, con mesi ancora davanti. Inizialmente la scena sulla luna prevedeva 2000 comparse! Ho dovuto tagliare tre zeri, e alla fine usare solo 2 personaggi. Le scene con i palazzi che si muovono sono un’animazione rudimentale dei bozzetti delle scenografie di Dante Ferretti, in pratica ho preso i cartonati alti un metro e li ho agitati davanti alla telecamera! Ma l’effetto finale era ottimo, unico”.
La sua è un’ode alle soluzioni creative…
“Mai farsi frenare dalla paura. Ogni volta che mi dicono ‘questa cosa non si può fare’, m’infurio. Ed è quello il momento che riesco a fare le cose migliori. Ecco, oggi percepisco troppa paura, troppo timore di esporsi, e questo mi preoccupa. Se penso che quando abbiamo iniziato con i Monthy Python, nel ’69, la Bbc, la tv di stato inglese, mostrava il nostro show, che prendeva in giro tutto e tutti… oggi invece siamo dominati dal politicamente corretto, dalla censura e dai ‘disclaimers’ davanti ai libri, ai vecchi film, persino ai cartoni animati! Abbiamo cinque sensi, più il sesto che è l’intuito, ma il settimo è il senso dell’umorismo, che è il più importante, ed è quello più in pericolo oggi. E’ folle e deprimente. Mi dispiace per i giovani di oggi, non cresceranno mai”.
In che senso?
“Vogliamo far sentire i nostri giovani al sicuro, rifiutando le nuove idee e tenendoli chiusi nella loro zona di comfort, ma questo vuol dire non farli crescere. Siamo dominati dalle fobie e dalla retorica della vittima. Ormai conta solo la realtà individualistica di tante piccole comunità, sempre più frazionate e sempre più estremiste. Non c’è più il gusto del dibattito e il piacere di avere opinioni diverse. Paradossalmente, si è perso il senso di comunità, e quello dell’essere genuinamente eccentrico, diverso dagli altri, queer nel senso originario del termine: bizzarro. E chi ha un’opinione diversa viene subito etichettato come “qualcosa -fobico”, come una minaccia. Ecco io sono un “fobo-fobico”, odio l’odio! Dietro c’è tanta ignoranza, perché se conta solo la visione di uno, non c’è evoluzione”.
Torniamo ai sui film e al suo lavoro, ha un progetto nel cassetto?
“C’è un film che ho scritto, si chiama Carnival at the End of Days, il sottotitolo è “fun for all of those who enjoy to take offense” [La traduzione in italiano concordata con Gilliam è: La fiera dell’apocalisse: divertimento per tutti quelli che amano offendersi, ndr]. Parla proprio dei temi che ho appena sollevato: Dio, disgustato da come è diventata l’umanità, decide di eliminare definitivamente le sue creature, e paradossalmente Satana è l’unico a frapporsi. La storia è l’occasione per deridere tutto ciò che non sopporto, tanto che chi ha visionato la sceneggiatura mi ha detto: “se a Hollywood la leggono non farai mai più un film”. Ma ormai sono un vecchio, un vecchio uomo bianco e se questo mondo fa schifo è colpa della mia categoria. A questo punto della mia vita me ne frego delle conseguenze”.
Durante l’intervista video che ha realizzato in questi giorni con THR.it, ci ha parlato di una sceneggiatura scritta in passato che non ha mai visto la luce, The Defective Detective, chiusa dal 1995 nei cassetti della Paramount. Di che parla?
La storia parla di un poliziotto newyorkese di mezza età, in piena crisi esistenziale, che si ritrova nel mondo di fantasia di un bambino, dove le regole che conosce, quelle dure della strada di New York non si applicano. E’ un tipo divenuto cinico, violento, ma i suoi metodi e la sua pistola non la spuntano contro i draghi, i cavalieri neri, non salvano le donzelle in pericolo. Per riuscire a muoversi e ad avere successo, il poliziotto deve scendere a compromessi con il lato che ha tenuto sopito per tanti anni, il mondo della fantasia, il suo mondo interiore. Perché alla fine scopriamo che il bambino che ha dato vita al mondo in cui è imprigionato altri che non è lui. Una storia semplice, ma bella.
Ci ha anche parlato di Orson Welles, che legame ha con lui?
“Provo un senso di venerazione per Orson Welles. Aveva 24 anni quando ha girato Quarto Potere, penso sia quasi una sciagura fare un tale capolavoro così da giovani, si raggiunge subito il picco! L’ho così tanto ammirato che mi sono detto: “un giorno lo batterò in qualcosa”. Non ho mai raggiunto il suo livello ma una cosa sono riuscito a fare che lui non ha fatto: finire il Don Chisciotte. Ci ho messo 30 anni, ma che dire… anche se non sembra, sono un uomo paziente”.
L’ha conosciuto?
“Mai! Non ho mai voluto conoscere i miei eroi, ho paura che mi deludano, preferisco che i miei miti siano delle idee astratte. Di tutti i Beatles l’unico che non ho mai conosciuto è John Lennon, un altro dei miei eroi.
Al contrario George Harrison, con la Handmade Films è stato uno dei personaggi chiave per i Monty Python.
“Esatto. L’unico tra i miei eroi che ho conosciuto è stato Clint Eastwood, ho pranzato con lui e ne è valsa la pena. Non parlo delle sue visioni politiche, che sono distanti dalle mie, ma lo considero un grande artista, molto intelligente. Apprezzo il suo modo di saper giocare con il sistema del cinema, realizzando un film per loro – ovvero un film commerciale – e uno per lui. E va detto che i film che ha fatto per se stesso hanno sempre avuto successo.
Che rapporto ha avuto, negli anni, con Hollywood e la film industry?
“Un rapporto molto conflittuale. Sono stato considerato “un terrorista”. Non ho mai accettato compromessi, ho difeso le mie storie strenuamente. Ma ho capito che c’è un trucco: gli Studios cercheranno sempre di mettere bocca sulle storie. I produttori sono persone generalmente pavide, che non vogliono prendersi rischi, quindi l’unico modo per batterli è tenere sempre dalla propria parte gli attori. I registi non hanno potere, ma gli attori sì. E’ cosi che sono riuscito a fare i miei film. Inoltre bisogna sempre far credere a chi mette i soldi che sai benissimo ciò che fai, anche quando non ne hai la più pallida idea. E’ tutta una questione di “make believe”, di finzione. E le dirò un’ultima cosa.
Dica.
Tutto quello che sembro, il mio essere gioviale e un po’ buffone, è frutto di un “make believe”. La verità è che nella vita reale sono un grande stronzo. Mi dispiace più di tutti per mia moglie, so quanto ha sofferto a stare appresso a uno come me.
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