Una delle abitudini che ho preso da quando vivo negli Stati Uniti è guardare i reality show americani nella convinzione che si capisce molto di una società guardando un certo tipo di televisione. Tra i programmi sociologicamente più istruttivi ce ne sono due che spiccano anche per il loro valore di intrattenimento in una fascia che definirei trash alto, non nel senso che sono molto trash, ma che al contrario si rivolgono a un pubblico più sofisticato e culturalmente avanzato, o almeno che si sente tale. Questi due programmi sono The Bachelorette e The Kardashians.
La gita milanese di Kim Kardashian
Il primo è una specie di Uomini e Donne ma che, appunto, raccoglie un pubblico trasversale fatto anche di celebrity, giornalisti, star del cinema, studenti, giovani professionisti insomma di tutto di più e che pur nella leggerezza di un dating show è riuscito a trattare (molto male, ma questo è un altro discorso) anche tempi come il razzismo e il privilegio bianco. L’altro non ha bisogno di spiegazioni: è il reality show che ha fatto delle sorelle Kardashian tra i personaggi pubblici più riconoscibili al mondo.
Ne parlo qui perché nell’ultima stagione (ora lo show va in onda su Hulu di proprietà Disney) l’Italia è in qualche modo protagonista di almeno quattro puntate, alcune delle quali girate in parte a Milano. La storia è questa: la sorella più grande Kourtney si è sposata a maggio dell’anno scorso a Portofino, con una cerimonia-evento di diversi giorni organizzata in tutto e per tutto – dagli abiti al catering, dalle location alle decorazioni – da Dolce e Gabbana (e che ha avuto il suo speciale sempre su Hulu).
In settembre, Kim – la più famosa delle sorelle, ma anche l’imprenditrice più sveglia e di successo di tutta la famiglia – ha fatto da direttore artistico alla sfilata del duo milanese che ha presentato una collezione fatta con i capi storici del brand, selezionati e rivisitati da loro e da Kim.
Chi ha rubato Milano?
Apriti cielo. Per almeno tre puntate della nuova stagione le due sorelle litigano su questa cosa o meglio Kourtney accusa Kim di non essere stata abbastanza sensibile da capire che una collaborazione con Dolce e Gabbana, per quanto lucrativa, così vicina nel tempo al suo matrimonio avrebbe in qualche modo offuscato il primo.
Kourtney si sente tradita, sente che la sorella ha scelto i soldi e la fama per sé invece di preservare dei ricordi intimi della famiglia (per quanto spiattellati nell’apposito speciale, vabbè). “Guardo le foto della sfilata e penso: ma è il mio matrimonio? Quel classico tocco romantico italiano Dolce vita style… quello era il mio matrimonio!”. Kim per un po’ fa la tonta fingendo di non capire il problema, poi passa al contrattacco: se vogliamo metterla su chi ha rubato cosa, allora faccio notare – dice, sostanzialmente – che io mi sono sposata per prima in Italia (con Kanye West, a Firenze, nel 2014).
Quindi Kourtney mi ha rubato l’Italia? E chi ha cantato al mio matrimonio? Andrea Bocelli! Che guarda caso ha cantato anche al matrimonio di Kourtney! Quindi lei mi ha rubato Andrea Bocelli! L’assurdità e la ridicolaggine dello scambio tra le due sorelle su chi avrebbe l’esclusiva di sposarsi in Italia non è passata inosservata neanche tra il pubblico americano: il video è diventato subito virale e i commenti hanno reso la situazione ancora più ridicola, se mai ce ne fosse bisogno.
L’account Instagram satirico Sainthoax ha pubblicato il tutto raccogliendo delle perle del tipo: “gli italiani che da oggi sul passaporto invece di “repubblica italiana” avranno scritto “il paese in cui Kim si è sposata”.
Stereotipo felliniano
Finite le risate qualche riflessione rimane: la narrazione che all’estero si continua a fare dell’Italia (e spesso con la complicità dei nostri connazionali, vedi appunto alla voce Dolce e Gabbana e alle recenti polemiche sul loro mega evento in una Puglia indistinguibile dalla Sicilia, come se il Sud fosse tutto lo stesso) rimane legata all’immagine e al vibe – come direbbero gli americani – della Dolce Vita felliniana, un film uscito nel 1960. Un po’per colpa, un po’ per pigrizia, un po’ perché in fondo va bene così, è come se non riuscissimo a uscire da quello stereotipo lì.
È un bene? È un male? Forse non necessariamente, ma ci ribadisce una cosa: la forza dell’immaginario cinematografico oltre che potente è molto, molto duratura. E ben vengano gli autori italiani – di cinema, ma anche di moda, ma anche architetti, scrittori, creativi di ogni genere – contemporanei che non si adagiano su quella cartolina già vista e rivista, ma che cercano di raccontare l’Italia nella sua attuale e forse anche più affascinante complessità.
In comunicazione esiste un detto: se la tua storia non la racconti tu, la racconta qualcun altro per te. Quindi, per evitare di ritrovarci una Roma finta e molto futurista come raccontata in Mission: Impossibile – Dead Reckoning Parte uno dove la capitale è una città senza traffico e senza scooter , raccontiamola noi per primi, in tutte le sue contraddizioni, difficoltà, bellezze non perfette ma uniche. Nella certezza che il pubblico americano la amerà lo stesso.
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