“Pezzi di merda”. Occhi spiritati, a pronunciare la poco elegante espressione è la donna d’oro del cinema italiano, Paola Cortellesi. Succede a GialappaShow, su Tv8 e Sky Uno, lei è in bianco e nero, proprio come nel suo C’è ancora domani, ed è nell’ormai mitico garage che da Mai dire gol in poi è diventato il luogo degli sketch degli ospiti e di alcuni dei comici fissi, suonando il famoso citofono dal suono molesto.
Potrebbe, la nostra diva, limitarsi ai salotti buoni. In fondo sarà la prossima candidata all’Oscar per l’Italia – con buonissime possibilità di finire in cinquina nel 2025, perché a Hollywood adorano quella rappresentazione dell’Italia -, potrebbe superare i 20 milioni di euro d’incassi (ormai ogni previsione è fuori scala, tutte le regole di incassi progressivi e proiezioni sono saltate e le sta riscrivendo: in questo fine settimana, il terzo di programmazione, ha incassato 4,5 milioni, per un totale di 13 e un incremento del +28%), diventerà il paradigma di un nuovo genere e forse, chissà, di una nouvelle vague tricolore, femminile e femminista, civile e popolare.
Perché, per inciso, non ce ne siamo accorti, ma potremmo già inserire in questa nuova ondata di autrici Giulia Steigerwalt e il suo Settembre e ancora, in generi diverse ma con un’attitudine a saper parlare al pubblico senza compromettere la qualità, Pilar Fogliati, Letizia Lamartire, Francesca Mazzoleni, Laura Luchetti, Luna Gualano. Arrivate prima, ma ora da vedere sotto una luce diversa.
La gag geniale a GialappaShow
Ma non è questo il punto. Il punto è Paola Cortellesi, in quel garage. Che torna nel luogo in cui da artista geniale ma ancora incompresa – l’avevamo vista in pochi, ma abbastanza da parlarne a tutti, nei monologhi teatrali precari scritti da Max Bruno (che le regalerà il primo grande successo cinematografico, Nessuno mi può giudicare, e il ruolo drammatico più bello prima del 2023, Gli ultimi saranno ultimi) – diventa fenomeno popolare.
Merito appunto di quel Mai dire gol in cui faceva imitazioni e personaggi, in cui cantava “Sei una merda, inequivocabilmente merda” a Fabio De Luigi (lei era Vanette, lui Olmo cantanti dalle capigliature discutibili), in cui era la superaccessoriata magica Trippy, in cui entra nel cuore, nella pancia, nell’immaginario collettivo.
Torna per gratitudine, certo. E in un paese come l’Italia, in cui Enrico De Nicola diceva che “la gratitudine è il sentimento del giorno prima”, è già un gesto rivoluzionario. Torna peraltro quando la Gialappa’s è tornata fenomeno di nicchia e ha perso un elemento fondante, il mitico signor Carlo, torna senza una convenienza.
Lo fa generosamente. Con uno sketch esilarante, che inizia di spalle, con tanto di cappello e pashmina rossa (un po’ Fellini, un po’ terrazza di Scola) in cui deride il modello del “regista de sinistra”, pretende di salire per fare un “approfondimento culturale”, perché “vi insegno la vita”, definendo quelli della trasmissione “siparietti”, perché è “un programma spiritoso” o “così mi dicono perché io la televisione non la guardo” e tutte le parole passe-partout bobò che ascoltiamo in troppe conferenze stampa, interviste, compiaciute note di regia. Per poi, per avere un minuto di promozione, essere disposta a fare anche la gag più imbarazzante.
Un fenomeno pop di nome Cortellesi
Nel frattempo i gialappi superstiti elencano le sue imitazioni e personaggi, lei perde la pazienza, è furiosa. Si ride, il ritmo è serrato, fino a quel “fatemi salire, pezzi di merda”. E là, l’epifania: ecco perché Paola Cortellesi fa incassi da blockbuster americano.
Perché nessuno, da decenni, da quel lato di mondo, impegnato e politico, civile e femminista, aveva saputo parlare così tanto ai borghesi come ai proletari, alle donne come agli uomini, ai salotti come alle officine, a chi ama il cinepanettone così come chi predilige Bela Tarr. Paola non si vergogna di fare uno sketch da raffinato avanspettacolo, perché sa di essere anche quello e perché in quell’espressione scurrile c’è una satira arguta, squisitamente (auto)ironica, che sa parlare a chi normalmente, da un film con i suoi temi e le sue finezze stilistiche, sarebbe escluso.
Una sorta di soft power in cui la diva gentile e pop riesce a fare ciò che Beppe Grillo ha provato scendendo nelle piazze, con parole violente, urlando, dicendolo alla Moretti, cose orrende. Riuscendoci, ma schiacciando tutte le masse, l’èlite come il popolo, verso il basso. Non spingendolo ad elevarsi.
Paola Cortellesi è Monica Vitti che fa Antonioni ma anche Polvere di Stelle, è colei che può dire “Mi fanno male i capelli” come “ma ‘ndo vai se la banana non ce l’hai” e farsi amare, perdutamente, dal fruttivendolo come da Umberto Eco. E infatti poi canta A bocca chiusa, a Propaganda Live, capitale della sinistra capitolina che fa e dice le cose giuste e ride divertita, sincera quando, mentre è impegnatissima a farla bene, arriva a duettare con lei il legittimo proprietario del pezzo, Daniele Silvestri.
Paola Cortellesi, un po’ Vitti un po’ Morante
Paola Cortellesi è Monica Vitti che incontra Elsa Morante. E probabilmente C’è ancora domani, guardando alle prossime settimane di programmazione, incasserà fino al nuovo anno, esattamente come La Storia fu sulle pagine dei giornali – si dibatteva sui libri sanguinosamente sulla carta stampata, un tempo, sembra incredibile – per un anno intero. Creando aspre diatribe tra intellettuali sul suo reale valore, facendo storcere il naso per la sua penetrazione nella coscienza collettiva mentre le copie vendute arrivavano a un milione (eh sì, allora i funerali, le tirature dei quotidiani, le manifestazioni, le vendite dei bestseller erano a sei zeri).
Ecco perché, Paola, usando una retorica un po’ facile – o forse solo popolare – ti chiediamo di non cambiare mai. Perché di un’intellettuale così abbiamo un disperato bisogno, che non abbiano paura di farci ridere, piangere, stropicciare il cuore per un sorriso al cioccolato. Che non abbiano paura di essere politicamente scorretti ed esserlo nel modo più inusuale di questi tempi: con goliardico garbo.
Di farci vergognare perché in 77 anni è cambiato poco della condizione femminile se 37mila donne, come ricorda in un editoriale su Repubblica la direttrice di The Hollywood Reporter Roma Concita De Gregorio, nel 2023 lasciano il lavoro dopo il parto (e chiedete alle altre che faccia fanno i superiori dei loro mariti, quando si caricano un pezzo di quella responsabilità sociale che è un figlio, perché i figli sono cittadini, non sono solo un fatto privato).
Continui, Paola Cortellesi, a farci ridere sguaiatamente e frignare spudoratamente. Continui a non avere timore di raccontare la violenza più squallida con un ballo elegante, la sorellanza in una sigaretta condivisa, la satira intellettuale e sociale in un “pezzi di merda”. E ascoltando i fratelli D’Innocenzo che confessano di aver cercato più volte Checco Zalone perché recitasse per loro, we have a dream: Checco, Paola, Fabio e Damiano. In un solo film.
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