Il Cinema in Piazza conclude la sua nona edizione. Sono stati oltre 100.000 gli spettatori che hanno partecipato alle novantadue proiezioni e ai ventidue incontri della manifestazione romana organizzata e promossa dalla Fondazione Piccolo America. Tra la maestranze invitate a parlare col pubblico e a presentare i propri lavori ci sono stati Ari Aster, Darren Aronofsky, Kenneth Lonergan e, ultimo, ma non ultimo, Rodrigo Sorogoyen.
Nato a Madrid nel 1981, il regista, sceneggiatore e produttore spagnolo passa da lavori in tv locali fino a dirigere nel 2008 la sua opera prima insieme a Peris Romano, 8 Citas, dando il via due anni dopo alla casa di produzione Caballo Films. È poi il turno di Stockholm (2013), realizzato attraverso una raccolta di crowdfunding, arrivando alla notorietà tre anni dopo col giallo Che Dio ci perdoni. Ecco ancora il cinema con Il regno (2018) e con Madre (2019), che da cortometraggio nel 2017 si allunga fino a diventare film con una seconda parte del tutto inedita, dopo che il suo formato “breve” aveva ricevuto, due anni dopo l’uscita, una nomination agli Oscar.
Dopo di nuovo la tv con la serie Antidisturbios: Unità Antisommossa, sei puntate, fino al ritorno al lungometraggio. As bestas, nove premi Goya e miglior film straniero ai Premio César del 2023, Sorogoyen presenta l’opera in anteprima fuori concorso a Cannes nel 2022, conquistando il plauso generale tra critica e pubblico. Una pellicola di una ruvidezza scontrosa, respingente, in cui tutti esercitano il male, ma nessuno è realmente colpevole (alcuni sì, ma per l’autore non è questo l’importante). Con una curiosità nascosta in bella vista nel poster di As bestas, una “dichiarazioni di intenti” da scoprire solo se avete visto il film (è l’ultima domanda, tranquilli, potete leggere l’intervista senza spoiler).
As bestas ha vinto nove Goya, un César, e svariati premi. È un film che parla a tutti, forse perché si rivolge sia a chi abita in un luogo dalla nascita, sia a chi si sposta da un paese all’altro per cercare una casa. Pensa sia questo l’aspetto centrale della pellicola?
Non conosco tutte le ragioni del successo di As bestas. È piaciuto in tanti posti diversi, quindi vuol dire che ha una portata universale. Ma credo che il cuore della pellicola sia la questione della xenofobia, più che il senso di appartenenza. E dell’ingiustizia, anche.
Nella sua filmografia c’è sempre un terreno sociale e politico su cui si fondano le sue narrazioni. Per lei, il cinema, deve sempre essere un atto sociale o politico?
Non riesco a immaginare che il mio cinema non lo sia. Non so se la settima arte debba essere politica o sociale. Ma dovrebbe comunque avere un pensiero che tenda in quella direzione. La nostra pellicola meno sociale e politica, scritta insieme a Isabel Peña, è Madre, ma mi piace credere che parli comunque di un aspetto della nostra società. È un film sulla censura delle emozioni, su come la società tende a castrare i sentimenti delle persone, con un occhio alla stigmatizzazione che si fa della malattia mentale. Anche questo, per me, significa fare un cinema sociale e politico.
Il protagonista Antoine di As bestas, interpretato da Denis Menochet, filma ciò che gli accade intorno per combattere la propria guerra. La macchina da presa può essere un’arma?
Sì, soprattutto quando usata in qualche contesto artistico. Può essere un’arma per raccontare il mondo, la società e per cercare di capire entrambi.
Antoine diventa anche ossessionato dal riprendere. Il cinema, in qualche maniera, la ossessiona?
No (ride, ndr.). Mi sta chiedendo se non riesco a pensare a nient’altro? In quel caso direi di sì, ma la ritengo un’ossessione sana. Non credo lo sia fino in fondo, ma so per certo che ci dedico tutto il tempo possibile.
Un tema ricorrente nella sua filmografia è quello della colpa. Tutti ce l’hanno, ma non si punta mai il dito contro qualcuno. Come mai?
Perché non è quello che mi interessa. Non voglio trovare il colpevole, ma mostrare tutte le motivazioni che spingono un personaggio ad agire in quel modo, così da mettere anche lo spettatore in una posizione di difficoltà nel cercare di individuarlo. Non mi piace quando nelle storie i cattivi vengono presentati come “i cattivi”, e basta. Ciò che mi porta a fare i film è capire il perché qualcuno debba fare qualcosa di terribile. Mi interessa comprendere le loro azioni. Magari non sempre si riesce a farlo, ma questo è l’importante.
In As bestas uno dei personaggi dice che i cittadini del paese hanno “le facce brutte”. Che “facce” devono avere i suoi attori? Quale presenza scenica cerca?
Devono essere facce reali. Se uno spettatore guarda a un personaggio che è un operaio, un avvocato o un poliziotto, deve credere sia un operaio, o un avvocato, o un poliziotto. Possono esserci molti elementi per raggiungere questo grado di autenticità, uno di quelli è trovare gli attori che abbiano un volto e un fisico precisi, speciali. In Spagna è frequente scegliere un attore che ha…una faccia d’attore.
Per me, qualcuno con la “faccia d’attore”, non potrebbe mai interpretare, ad esempio, un minatore. Metto molto impegno nella scelta dei miei attori. Per i paesani di As bestas abbiamo scelto tutti non professionisti. È ridicolo girare una storia in una realtà così piccola e ristretta, riempiendola di interpreti vestiti come dei cittadini che, in verità, si vede benissimo sono fuori luogo. L’unica “faccia” professionista che si è adattata alla perfezione nel film è quella di Luis Zahera.
Oltre che le facce giuste, i suoi personaggi sono sempre un insieme di precisione e di istinto. Di piani organizzati, che vengono sventati dalle azioni impreviste. Per lei è così l’essere umano? Meticoloso, ma in balia degli eventi?
È evidente che l’essere umano ha un istinto, che può venire fuori sia quando si sente più libero o più represso. Ma dall’altro lato abbiamo una parte razionale, quella che ci fa vivere in una società. E quando parlo di società intendo una famiglia, una nazione. Un posto in cui segui delle norme di comportamento. Però è ovvio che, prima o poi, anche la più piccola cosa potrebbe far scoppiare una persona.
Antonie dice nel film che sta costruendo il suo “progetto di vita”. Come vede il suo di progetto? È ancora interessato al discorso seriale dopo Antidisturbios: Unità Antisommossa o rimarrà concentrato sul cinema?
Sono al lavoro ora su una serie tv. E sto scrivendo insieme a Isabela Peña il mio prossimo film. Ma se mi chiede qual è il mio progetto di vita, al momento non lo so. So però che non c’è differenza quando ci si mette al lavoro su un progetto seriale o uno cinematografico. L’unica dissonanza che riscontro è nella storia, nel capire di quanto tempo ha bisogno per essere raccontata, o in che formato. Se necessita di sei capitoli allora sarà una serie tv. Se ha bisogno di due ore, allora diventerà un film.
Quindi Madre, che parte come un cortometraggio, aveva bisogno di più tempo, visto che è diventata una pellicola?
Aveva bisogno di una famiglia! (ride, ndr.)
[Spoiler] Per concludere, e dopo mesi dall’uscita del film (in Italia è arrivato ad aprile con Movies Inspired) non possiamo che domandarle: perché scegliere il momento centrale della pellicola, quasi un’indizio su ciò che accadrà, come poster di As bestas?
È stato molto divertente devo dire. Se pensi al titolo del film, è perfettamente abbinato all’immagine del poster. È quello. Per noi si trattava di una dichiarazione di intenti. Significa dire che quel momento nel film, considerato il clou della storia, non è la cosa più importante, perché è da lì che, per noi, inizia davvero la pellicola. È lì che arriva la vera protagonista, Olga (interpretata da Marina Foïs, ndr.). E il secondo motivo è che nessuno poteva pensare che si trattasse di uno spoiler, che fossimo talmente tonti da svelare il gran segreto del nostro film. E immagino che anche il pubblico, quando ha collegato il tutto, è rimasto scioccato e divertito.
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