Corre da una città all’altra, Sabina Guzzanti, portando in giro per l’Italia la sua ultima fatica letteraria, ANonniMus – Vecchi rivoluzionari contro giovani robot (edito da Harper Collins), il suo secondo romanzo di fantascienza dopo il geniale 2119. La disfatta dei sapiens, scritto per la stessa casa editrice. Ottavo titolo in una bibliografia varia e che ha toccato molti generi e linguaggi, ora preferisce un futuro distopico, che sia remoto o prossimo come quello di Laura Annibali, della sua HUF, associazione no profit che vuole aiutare le persone tecnologicamente inabili e della sua smarthome in una campagna romana aggredita da multinazionali e palazzinari e hacker della terza età che lottano per la libertà. Tutti contro di lei, genio dell’informatica. Pure troppo.
L’ha presentato questo libro, l’attrice e regista e scrittrice – che il 25 luglio prossimo toccherà il traguardo dei 60 anni – alla 22esima edizione de Il libro possibile, a Polignano a Mare, in una piazza gremita per un’iniziativa che da inizio millennio è uno dei simboli di quella che allora era la primavera pugliese e ora è una realtà conclamata. Una realtà importante, che ha spostato la geografia delle iniziative letterarie verso sud grazie alla tenacia e alla passione della professoressa Rosella Santoro, la direttrice artistica.
Sabina Guzzanti, altra pasionaria, ha trovato qui le incursioni di Dario Vergassola e la voglia del pubblico di Piazza Aldo Moro (una delle sei bellissime location del festival) di scoprire questo mondo fantascientifico che mette insieme politica, battaglia generazionale, intelligenza artificiale, progresso artificioso e domotica ribelle, per una libro, ANonniMus, che va da Asimov all’ultimo Siccità di Virzì, in cui il domani è uno specchio neanche troppo deformante dell’oggi. Anzi.
Sabina, un secondo libro di fantascienza. Non è che di questi tempi il futuro è decisamente meglio da raccontare del presente?
Direi proprio di no! Sono dei futuri un po’ tremendi i miei, anche se 2119, è realmente proiettato su una società lontana nel tempo, mentre qui siamo in un finto futuro. alla Black Mirror, il cosiddetto futurino. Quello che c’è in ANonniMus in realtà sta già succedendo, il dibattito sull’intelligenza artificiale nel senso in cui io lo tratto nel libro mi sembra stia occupando immaginario e pagine di siti e giornali. Altri, come il riscaldamento globale, sono temi che vengono nascosti decisamene di più, già da tempo è il convitato di pietra del dibattito pubblico. Io offro, diciamo, uno scenario possibile, che ci riguarda molto da vicino.
Per tanti anni le è capitato di raccontare il qui e ora. Magari per l’illusione che potesse cambiare. Ora guarda al futurino futuribile perché solo mostrandoci cosa diventeremo, e come, potremo trovare la forza di essere migliori?
Parlare del futuro, vuol dire pensare al futuro. Occuparsene e preoccuparsene. Evitando le querele, peraltro, che nel mio caso diciamo non è poco, ti pare?
La cosa non l’ha mai fermata, mi sembra. Ma questo genere a chi fa comicità, letteratura e sì, anche narrazione della realtà, concede molta più libertà
Non ci piove. Ti concede di andare oltre, in ogni forma di narrazione che ho affrontato ho cercato di staccarmi dal commento, dal racconto legato alla stretta attualità. Fare un passo in avanti apre la mente, permette a chi scrive e chi legge di superare i pregiudizi, perché questo libro parla anche e forse soprattutto di questo.
Nulla è come sembra in questa battaglia. La protagonista, la tecnologia, i vecchi. ANonniMus è anche il rovesciamento degli stereotipi del conflitto generazionale?
Certo, per questo dico che è un libro sui pregiudizi, su ciò che diamo per scontato. E sulla falsa coscienza. Qui ci sono nonni che sfruttano il modo in cui la loro età, il loro ruolo nella società viene immaginato e strumentalizzato, per combattere una battaglia. I pregiudizi li piegano, in parte, a loro favore, quegli stessi che davanti a una coppia gay, per paura del politicamente corretto, ci fa subito dire e pensare che siano brave persone. Ma essere politicamente corretti, davvero, è concedere a loro tutti i nostri diritti, anche quello di essere antipatici, disonesti, pessime persone. Stronzi. Altrimenti siamo razzisti.
E poi ci sono i pregiudizi legati alle macchine, appunto. Tutti bias cognitivi che provo a svelare e rovesciare con questa storia.
Ci vedo tanti maestri del genere nel suo libro, ma ho come l’impressione che sia Isaac Asimov, le sue soluzioni originali e rigorose, ma anche la sua ironia feroce, ad averla ispirata
Qui, come nella trilogia, nulla è come sembra e c’è anche in lui, ovviamente: il racconto di un potere che agisce anche attraverso la tecnologia. Ovviamente è un’ispirazione e ti prego di fare le debite proporzioni, però non posso neanche far finta che Asimov non sia il mio preferito e, credo, non solo nel suo genere.
Sì, è vero, c’è una presa in giro, una satira anche sul senso profondo di cosa sia etico, perché troppo spesso ciò che chiamano etica è solo un vestito con cui coprire ciò di cui ti vergogni. O da seppellire con i soldi. Nel libro sorge un quartiere nella campagna romana: è un qualcosa di aberrante, ma nel racconto si giustifica appunto con il progresso la cementificazione dell’ultima parte dell’hinterland romano ancora intatta, non aggredita dall’avidità dei costruttori. E poi qui i robot non seguono le tre regole della robotica, da qui il dibattito sulla morale, su cosa sarebbe giusto per loro.
Mi sembra avere un rapporto molto laico con la tecnologia.
Decisamente. La tecnologia mi affascina, può essere preziosa se indirizzata nel modo giusto: ad esempio dovrebbe aiutarci a lavorare meno e allo stesso tempo a permetterci di produrre ricchezze che poi possano essere equamente divise tra tutti. Tutto dipende da come l’IA si usa. Da chi la programma. E cosa si intende per IA. Perché di questo dobbiamo conversare se parliamo dell’algoritmo che finora è uno strumento, nella migliore delle ipotesi, di analisi di mercato dei consumatori e nel peggiore, lo abbiamo visto negli ultimi decenni della nostra storia, per mappare e indirizzare voti, gusti, informazioni, guerre. I social network, che devono il loro successo all’uso cinico e massivo degli algoritmi, sono programmati per fare del male, per creare situazioni di aggressione collettiva, ormai lo abbiamo visto più volte (a tal proposito c’è un interessantissimo TedX di uno dei promotori social della Primavera Araba, Wael Ghonim, che racconta come quel momento si sia trasformato in uno tsunami negativo, proprio a causa degli algoritmi che lo avevano inizialmente favorito – nda).
Ciò che conta per chi è a capo di tutto è che noi rimaniamo il più possibile attaccati a uno schermo: che sia una piattaforma di contenuti audiovisivi o appunto un social. Ma, appunto, sia chiaro, questo non è un libro contro la tecnologia, queste riflessioni ci dicono che è necessario renderla democratica, ovvero di rendere democratiche le scelte che induce a fare e che la riguardano, la comunità non deve essere sua schiava ma servirsene per il bene pubblico. Invece, purtroppo, è in mano a quattro multinazionali che da decenni rubano i dati semplicemente perché la cosa non è mai stata regolamentata. Ci stiamo fossilizzando sull’IA, perché è la materializzazione di ciò che sta succedendo da tempo, di una tecnologia che può essere usata per qualsiasi cosa, che nasconde in sé pericoli, ma anche opportunità, che non vengono dai codici binari, ma dall’uomo. Che, ovviamente, non ha capito che così rischia l’estinzione, ma mi sembra qualcosa che si ripete da secoli: la rovina di tutti, per la ricchezza di pochi. Siamo qui a dibattere del mezzo e non di come lo usiamo già da troppo, perché il potere continua a farci pensare a tutto questo come un evento miracoloso di progresso e non un processo in atto da sempre. Abbiamo paura che l’IA porti a una disoccupazione di massa? Ben venga, se i guadagni vanno a noi, lavorino le macchine. Discutiamo di questo.
Una cosa che colpisce è che abbiamo fatto finta che Cambridge Analytica andasse bene e adesso. cinema compreso, ci si sconvolge per ChatGPT.
Beh, chi ha fatto finta che Cambridge Analytica andasse bene, cazzo?
Non mi sembra che si sia aperto un dibattito politico serio in merito
Hai ragione e non si è aperto neanche un dibattito serio sull’uso etico della tecnologia, ora qualcosa sta succedendo perché ChatGPT in fondo è una cosa troppo scoperta. Non si apre, è complicato anche perché è un dibattito che deve essere svolto a livello mondiale, non ha senso che lo si faccia a livello locale se il problema sono multinazionali che comunque hanno abbastanza denaro da scavalcare i processi democratici. Certo poi magari senti che ci sono proposte per cui Oculus possa essere sovvenzionato dai soldi pubblici (tra le spese possibili da fare con le carte studenti, c’è anche quel tipo di tecnologia – nda) e ti chiedi come possa essere pedagogico fare un regalo enorme a Facebook con le nostre tasse.
Insomma, non imita più Berlusconi e affini perché ora la politica la fa a livello più alto?
Non è che penso di essermi ritirata dalla politica, assolutamente, penso che questo sia un libro molto politico. Il punto è che ormai è meno interessante parlare della situazione politica attuale legata solo all’Italia, commentare il singolo evento. Poi sia chiaro se c’è da fare satira e prendere per il culo Meloni, non mi tiro indietro, lo faccio anche volentieri una volta ogni tanto, ma dimmi tu se l’attuale dibattito politico del nostro paese si occupa davvero delle questioni essenziali. E poi mi ripeterò, ma siamo dominati dagli algoritmi da sempre, magari prima si chiamavano ideologia ed erano più strutturati, non dominati solo dall’ossessione per i click che finisce al di sopra di ogni altra valutazione. Ma un tempo non era la stessa cosa con gli ascolti?
Lo share non era più importante del contenuto, della vita, della morte, della pietra, di tutto? Anche prima della dittatura dell’algoritmo, non prendiamoci in giro, era comunque numerico il giudizio. Solo i numeri interessano al potere, e solo quelli che decide lui. Perché a proposito di numeri, io vorrei che si chiedesse come, dove, quanto, perché si spenderanno i soldi del Recovery. Ma è l’ultima domanda che viene fatta. Se e quando viene fatta. Però nel frattempo regaliamo milioni a multinazionali, con defiscalizzazioni o addirittura buoni studente. Alla fine noi siamo solo spettatori, siamo lì per mettere un like, mica per partecipare a un processo decisionale democratico.
Non abbiamo neanche il pollice giù. Le posso chiedere se 30 anni fa i funerali di Berlusconi le sarebbero sembrati distopici?
Ma il punto è che tutto rimane orrendo perché tutto agisce lontano dalla razionalità che suggerisce appunto una discussione, che poi possa portare a decisioni giuste, o comunque motivate. I funerali di Berlusconi sono distopici pure adesso, almeno per una parte della popolazione. L’altra si bea di un trionfo che ha sempre celebrato.
Lo sa vero che ANonnimus sarebbe un bellissimo film? Tornerà dietro alla macchina da presa per girarlo? E interpretarlo? Laura le somiglia molto
Sono d’accordo con te, ne uscirebbe un film molto bello, è un racconto molto visivo. Sì, ci sto pensando, è una storia fin troppo attuale, ha le caratteristiche per essere un’opera apprezzata non solo in Italia, ma ovviamente il mio è un giudizio di parte. E sì, la interpreterei io la protagonista.
Il sottotitolo del libro, vecchi rivoluzionari contro giovani robot, è geniale. Sembra quello di un saggio sull’Italia
Un po’ è vero. I robot comunque è vero, sono troppo giovani ancora, possono imparare, possono prendere una strada o un’altraL avrebbero bisogno di vecchi rivoluzionari che li guidino.
Da giovane incendiaria ad ammiratrice dei vecchi saggi
La verità è che, giovani e vecchi, ci comportiamo tutti come robot e lo saremo finché vivremo il progresso, soprattutto tecnologico, con questa passività, finché saremo automi lontani da un’occupazione fisica del reale che non corrisponde a una mentale, perché con la testa siamo altrove, dentro un dispositivo magari. E sinceramente comunque anche la realtà, robot o no, la frequentiamo ormai pochissimo. Ma è vero che sono diventata saggia, se saggezza vuol dire avere più paure. E io ho paura: di indebolirci come esseri umani, di saperci difendere sempre meno e sempre peggio da chi e ciò che ci vuole solo come strumenti.
L’ultima domanda: faccia conto che io diventi direttore generale della prossima RAI, le andrebbe di tornare in televisione e come?
Non lo so, sinceramente, questa domanda, essendo appunto abbastanza fantascientifica, non me la sono mai posta. La verità è che ho un po’ cambiato mestiere: scrivo, faccio film e tutto questo mi appassiona tantissimo e mi rendo conto che è una strada che avrei preso anche senza venire espulsa dalla Rai.
Una serie televisiva almeno?
Potremmo trarla dal libro precedente, 2119.
Ci sto.
Anch’io!
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