Sandra Hüller non si attiene al protocollo. Lascia cadere ogni formalità, vestita con pantaloni a zampa d’elefante e scarpe da ginnastica, una giacca di jeans su una semplice maglietta bianca e senza trucco. “Dovete prendermi così come sono. Con la mia spesa, il mio cane”, dice sorridendo l’attrice tedesca. quarantacinquenne. “Ammiro le mie colleghe americane che possono esibirsi nelle interviste come se accendessero un interruttore, ma io non ho questa capacità”.
I più attenti fan del cinema europeo la conoscono già dal 2016, per la sua interpretazione in Vi presento Toni Erdmann di Maren Ade, improbabile e divertente commedia tedesca che aveva stupito Cannes. Nel 2023 è tornata al Festival con due grandi ruoli, entrambi nei film vincitori dei premi principali: il thriller Anatomia di una caduta di Justine Triet e il dramma sull’Olocausto La zona d’interesse di Jonathan Glazer. Rispettivamente Palma d’oro e Grand Prix, una duplice vittoria senza precedenti per un’attrice protagonista.
Due film radicalmente diversi accomunati dall’intelligenza acuta e dall’emotività più cruda di Hüller e da quello che i tedeschi chiamano “Mut zur Hässlichkeit”, ovvero “il coraggio di essere brutti”, un’impavida determinazione nell’affrontare personaggi antipatici e sgradevoli.
Di lei Triet, che l’ha diretta anche nel 2019 in Sibyl – Labirinti di donna dice che è “un’attrice è estremamente inafferrabile e sfaccettata, in grado di suscitare una profonda empatia e allo stesso tempo di essere incredibilmente fredda. Ha una franchezza, una schiettezza che è al di fuori di tutte le dinamiche della seduzione. Può essere incredibilmente dura e poi sciogliersi”.
In vista dei Golden Globes e (forse) degli Oscar, Hüller è silenziosamente diventata una delle favorite della stagione dei premi di quest’anno. Una delle più acclamate interpreti europee del cinema d’autore è pronta a diventare mainstream, se vorrà.
Chi è Sandra Hüller
Nata nel 1978, Hüller è cresciuta a Friedrichroda, una piccola città (7.000 abitanti) della Turingia rurale, nell’allora Germania dell’Est. Figlia di educatori – il padre insegnava in un centro per professionisti, la madre dava ripetizioni nel doposcuola – ha scoperto la recitazione quando un insegnante dalla sensibilità artistica e un corso di teatro a scuola l’hanno portata a Berlino. Il Muro è caduto mentre lei era ancora al liceo. A 17 anni vi si trasferisce per frequentare l’accademia di arti drammatiche Ernst Busch, diplomandosi nel 2003.
“La Busch era nota per l’abilità tecnica, la maestria”, afferma Christian Friedel, il suo co-protagonista in La zona di interesse. “I laureati della Busch erano sempre in grado di recitare, di dare sempre il meglio di sé”.
La recitazione tedesca è notoriamente difficile. I membri degli ensemble statali sono impiegati a tempo pieno e devono lavorare giorno e notte, sette giorni su sette, in spettacoli spesso mentalmente e fisicamente estenuanti.
“Il teatro tedesco è piuttosto estremo; si direbbe che ci siano costantemente persone nude che urlano sul palco”, sostiene Frauke Finsterwalder, che ha diretto Hüller in due film: Finsterworld del 2013 e Sissi & I, presentato in anteprima a Berlino quest’anno. “Cerco sempre di lavorare con attori teatrali tedeschi perché sono impavidi, sono abituati a spingersi oltre i limiti”.
Diventata subito una star del palcoscenico – Hüller è stata eletta giovane attrice dell’anno nel 2003 dalla rivista tedesca Theater Heute – ha debuttato al cinema nel 2006 nel film Requiem di Hans-Christian Schmid, interpretando il ruolo di una donna che si sottopone a un brutale esorcismo. La sua interpretazione è l’opposto della tecnica e del controllo. Le scene delle sue violente crisi epilettiche, che la devota famiglia cattolica del suo personaggio prende come segno di possessione demoniaca, sono strazianti e dolorose da guardare.
Charlotte Rampling, presidente della giuria del Festival di Berlino di quell’anno, rimase impressionata e premiò Hüller, allora ventottenne, con l’Orso d’argento per la migliore attrice.
Il primo incontro con il pubblico internazionale
Il pubblico internazionale ha preso nota di Hüller nel 2016, quando ha interpretato un’ambiziosa consulente aziendale con una relazione complicata con il padre burlone in Vi presento Toni Erdmann. La sua performance è entrata nella leggenda di Cannes.
“Abbiamo iniziato a intuire che il film piaceva molto alla gente dopo la prima proiezione per la stampa”, ricorda Hüller. “E la tendenza è aumentata sempre di più durante il festival. Pensavo di essere stata molto fredda, molto calma in tutta la faccenda. Ma ripensando alle interviste che ho fatto, ero fuori di me. Ero così nervosa, così eccitata”.
Quell’anno il film era il favorito dalla critica a Cannes e Hüller era molto quotata come miglior attrice. Alla fine, è stato snobbato dalla giuria e il premio per la migliore attrice è andato a Jaclyn Jose per Ma’ Rosa. Ma non ha avuto importanza. La Sony Pictures Classics ha acquistato Vi presento Toni Erdmann per gli Stati Uniti, dove ha incassato 1 milione e mezzo di dollari (non male per una commedia tedesca) ed è stato candidato all’Oscar nella categoria miglior film internazionale, perdendo solo contro Il cliente di Asghar Farhadi.
La nomination all’Oscar ha portato Hüller a ricevere l’attenzione di Hollywood: “Ho incontrato alcuni produttori, ci sono state delle proposte, ma non se ne è fatto nulla”, racconta. In Europa, invece, i registi, in particolare quelli francesi, volevano assolutamente lavorare con lei.
Anatomia di una caduta, un ruolo su misura
Triet ha creato il suo personaggio in Anatomia di una caduta a immagine e somiglianza di Hüller. Nel film, l’attrice interpreta Sandra, una scrittrice di successo accusata di aver ucciso il marito. Ferma nel professare la sua innocenza, nel corso del film vediamo Sandra invischiata in bugie e flashback di liti violente con il marito che sembrano minare le sue affermazioni. Nel corso del processo, l’accusa e la difesa presentano versioni contrastanti e speculative, basate su pochi fatti e molte congetture.
“Sandra implorava Justine sul set: dimmi, sono colpevole o no? Sono un’assassina? Aveva bisogno di saperlo per interpretare il ruolo”, ricorda Swann Arlaud, che nel film interpreta l’avvocato difensore di Sandra. “Ma Justine non l’avrebbe mai detto. È stato difficile per lei perché, come attrice, Sandra non bara mai – è sempre presente, concreta. Non sapere cosa stesse tramando il suo personaggio le ha reso le cose incredibilmente difficili”.
Ciononostante, Hüller è stata in grado di abbracciare le ambiguità del suo personaggio senza che la sua interpretazione perdesse autenticità. Ogni scena con Sandra – e Hüller è praticamente in ogni inquadratura del film – è realistica e credibile. Ma ogni scena può essere letta in due modi. Quando Sandra si intrufola nella stanza del figlio – le è stato proibito di incontrarlo da solo perché è un testimone chiave nel processo – è per consolarlo o per cercare di influenzare la sua testimonianza? Quando passa dallo stentato francese del suo personaggio all’inglese fluente durante il controinterrogatorio, è per essere più precisa, più sincera, o perché trova più facile mentire in quella lingua? È impossibile dirlo. L’interpretazione di Hüller è una lezione magistrale di ambiguità.
“Non so se Sandra abbia ucciso il marito”, afferma Hüller. “Justine non me l’ha mai detto e io stessa non l’ho mai capito. Mi sono subito resa conto che questo film non parla tanto del fatto che sia stata lei o meno. Si tratta piuttosto di come ci sentiamo nei suoi confronti e di come i nostri sentimenti verso di lei cambiano con questa o quella informazione che otteniamo su di lei”.
Hüller, attrice multiforme
Johan Simons, regista teatrale che ha lavorato regolarmente con Hüller dal 2007, più recentemente in una versione dell’Amleto, che ha debuttato nel 2019, afferma: “Sandra è molto, molto intelligente, e può interpretare qualsiasi cosa riesca a immaginare. Ma non è un’artista veloce, che si cala in un ruolo e lo butta via. Per lei è un viaggio emotivo e fisico”.
Nell’Amleto, Hüller sentiva che non sarebbe stata in grado di conservare l’energia del personaggio se, durante l’intervallo, fosse andata dietro le quinte con gli altri attori. Ha deciso di rimanere fuori, sul palco, durante l’intervallo.
“È durato 20 minuti e per tutto il tempo c’è stata Sandra Hüller, in piedi sul palco, in disparte”, racconta Simons. “La gente ha iniziato a tornare di corsa dalla pausa, con il caffè in mano, sbirciando dietro l’angolo per guardarla”.
I critici spesso descrivono le interpretazioni di Hüller come “precise”, “cliniche” e “cerebrali”, ma al centro della maggior parte dei suoi ruoli più importanti c’è un momento in cui perde il controllo, si abbandona alle sue emozioni e si lascia andare: il culmine della lite con il marito in Anatomia di una caduta, la scena del canto in Toni Erdmann, le sue crisi epilettiche in Requiem.
Una recitazione che nasce nel profondo
Ogni ruolo, afferma, nasce da un luogo profondo ed emozionale. La sua chiave per entrare in sintonia con un personaggio è trovare qualcuno nella sua vita, nella sua famiglia, tra i suoi amici, nella sua cerchia intima, che possa essere associato alla performance. Naturalmente non fa nomi.
“Non vi dirò chi sono. Non sono affari vostri”, dice ridendo. “Per quanto mi riguarda, credo che la mia arte provenga da un luogo quasi infantile, un luogo molto vulnerabile e molto intimo. È qualcosa di cui non mi piace parlare”.
Chiaramente, Hüller non è una persona che ama confidarsi, almeno non con i media. Parla di una figlia, ma non ne dice il nome. Lo stesso vale per il suo cane, che fa la sua comparsa in La zona d’interesse. “Nel film si chiama Dilla: è tutto quello che dovete sapere”, dice ironicamente. “Ascoltate, non è compito mio mostrare alle persone chi io sia veramente attraverso il mio lavoro, e non è dato loro scoprire chi io sia veramente. Se qualcuno vuole scoprire la vera me, può scrivermi una lettera e andiamo a bere qualcosa”.
Osserva Finsterwalder: “Sandra non ha limiti; se ha senso per il suo personaggio, farà qualsiasi cosa. Ma ha un eccellente fiuto per le stronzate quando si tratta di qualcosa che è strumentalizzato o inutile”.
La zone di interesse, lo strappo alla (sua) regola
Prima di La zona d’interesse, i film sull’Olocausto erano uno dei limiti di Hüller. Aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai interpretato una nazista. In parte si trattava di quella che lei chiama la “perversione” di ricreare il periodo più orribile della storia dell’umanità usando trucchi cinematografici – “Qualcuno si avvicina per incipriarti il naso prima che tu urli Heil Hitler! È osceno” – ma in parte non voleva entrare in sintonia emotiva con un personaggio mostruoso come quello di Hedwig Höss, la moglie realmente esistita di Rudolf Höss, il comandante con più anzianità di servizio di Auschwitz.
In una delle scene più agghiaccianti del film, Hedwig mostra alla madre il giardino della famiglia Höss, il loro piccolo angolo di felicità domestica costruito a pochi metri dal campo di concentramento. La accompagna nel tour, facendole notare le rose e le gardenie in fiore. Il Weimaraner di Hedwig corre sull’erba, abbaiando furiosamente al suono dei cani da guardia dietro il muro, al rumore di spari lontani, ma Hedwig si limita a richiamarlo, infastidita dal fatto che il suo animale domestico le stia rovinando la presentazione. Si vede del fumo che si alza sopra il muro di cinta del giardino. Fumo del crematorio.
“Sandra mi ha confessato che non voleva dare le sue lacrime a quella donna (Hedwig, ndr) racconta Friedel, che interpreta Rudolf.
L’incontro con Jonathan Glazer
Jonathan Glazer, il regista, ricorda come Hüller fosse “naturalmente molto apprensiva nel ritrarre Hedwig Höss” e di come impiegò mesi per accettare il ruolo. “Ma non avevo in mente nessun’altra attrice” prosegue Glazer. “Per me era l’unica in grado di farlo. Sono arrivato al punto di non riuscire a immaginare il film senza di lei”.
Parlando con il regista, Hüller si è convinta che non avrebbe raccontato questa storia in modo convenzionale, non sarebbe caduta nella trappola di rendere i nazisti fieri, eccitanti o in qualche modo entusiasmanti. La zona d’interesse non mostra mai le atrocità di Auschwitz. Rimane con la famiglia Höss nel loro piccolo Eden, li osserva mentre curano il giardino, cenano con i loro figli, fanno un picnic in riva al fiume, mentre appena fuori campo il genocidio continua. Hedwig sa benissimo cosa sta accadendo dall’altra parte del muro – a un certo punto minaccia una ragazza ebrea che lavora in casa: “Farò spargere le tue ceneri nei campi da mio marito” – ma sceglie di voltarsi dall’altra parte.
La banalità del male, guardata da lontano
Glazer ha ricostruito la casa di Höss, installando telecamere di sorveglianza per catturare le performance degli attori mentre si muovevano sul set. Decostruisce le convenzioni e i cliché dei film sull’Olocausto senza cercare di mettere in scena l’orrore, ma rendendo lo spettatore un osservatore passivo, forse complice, della banale mancanza di umanità degli Höss.
“La squadra era nel seminterrato, quindi eravamo praticamente soli in questa casa”, afferma Hüller. “Non sapevamo mai quale telecamera ci stesse riprendendo: non potevi girare il viso in una direzione per presentare il tuo lato migliore, e non potevi controllare dove fosse la luce. Eravamo osservati e basta, e credo che questo crei un qualcosa di diverso rispetto a quello che sarebbe successo se fosse stato fatto in modo convenzionale”.
Ma Hüller ha comunque lottato sul personaggio. Abituata a trovare una profonda connessione emotiva con le persone che ritrae, ha trovato impossibile empatizzare con Hedwig.
“Meryl Streep dice che bisogna amare ogni personaggio, che sia malvagio o meno. Ci ho pensato a lungo e, pur amando e adorando Meryl e tutto ciò che ha fatto, non credo di essere d’accordo. Non ho amato Hedwig Höss e non la amerò mai”.
Hüller fuori dal set
Inutile dire che Hüller prende molto sul serio il suo lavoro, così come il suo ruolo nell’industria. Durante il Covid, quando i teatri in Germania sono stati chiusi e migliaia di persone sono rimaste senza lavoro, Hüller si è fatta portavoce del personale tecnico e di altri lavoratori con contratti a breve termine e freelance senza mezzi di sostentamento. Nel 2020, il governo tedesco le ha conferito un ordine al merito per il suo attivismo. E durante il lungo sciopero di Hollywood si è anche espressa a favore dei manifestanti: “Penso sia fondamentale lottare per ciò che è giusto, per dire che non siamo solo oggetti per i vostri contenuti, siamo persone. Abbiamo bisogno di soldi per l’affitto”.
Ciò che Hüller non prende troppo sul serio è se stessa. Nonostante i numerosi ruoli comici – in Toni Erdmann, Finsterworld e I’m Your Man di Maria Schrader, dove ha un esilarante cameo nei panni di un androide realistico ma emotivamente malfunzionante – Hüller ribadisce di non essere divertente.
“Spesso sono piuttosto buffa, ma riesco a essere divertente solo per disperazione, quando le cose vanno male. Non riesco a fare battute. Se so già la fine della battuta, mi annoio e perdo il filo. Sto guardando Friends con mia figlia e penso che quello che fanno, costruire una scena fino alla battuta, sia incredibile. Io non potrei mai farlo”.
Uno sguardo timido e razionale a Hollywood
L’umiltà sembra genuina. Hüller ha visto i premi che sono stati assegnati ad Anatomia di una caduta e a La zona d’interesse e sa che Hollywood probabilmente chiamerà. Ma quando le si chiede di lavorare in film americani più importanti, l’attrice tedesca rimane con i piedi per terra e sorprendentemente poco ambiziosa.
“Ora so cosa devo dire e so cosa vuole che dica il mio pubblicitario americano”, osserva con cautela. “E naturalmente mi piacerebbe lavorare negli Stati Uniti. Ho una lunga lista di persone fantastiche con cui mi piacerebbe lavorare. Ma sono un’attrice europea. Un’attrice europea di lingua tedesca. Questa sarà sempre la mia base. Sono anche una madre, è la mia responsabilità principale. Quindi è un’arma a doppio taglio. Ogni premio, ogni complimento, ogni offerta di lavoro è fantastica, ma bisogna vedere se ne verrà fuori qualcosa”.
L’ultimo assaggio di glamour hollywoodiano di Hüller è stato ai Golden Globes 2016 per Toni Erdmann. Il giorno dopo la cerimonia, è volata di nuovo in Germania per conseguire la certificazione di operatore di muletti per un ruolo in In den Gängen di Thomas Stuber.
“Sono tuttora abilitata alla guida dei muletti”, dice con orgoglio. “È una competenza concreta. Ed è una garanzia di lavoro. Posso sempre trovare lavoro in un magazzino, impilando casse. Sono assolutamente seria. Non si sa mai dove la vita ti porterà”.
Traduzione di Pietro Cecioni
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