Alla fine, fu Taylor Swift con le sue paillettes e i fumi stroboscopici a conquistare la Casa Bianca. Un piano ben congegnato, iniziato con una copertina su Time che l’ha lanciata, poche settimane fa, come “persona dell’anno”, una fama che è andata crescendo senza soluzione di continuità, tanto da essere codificata finanche dai sismologi che hanno parlato di swift quake: veri e propri eventi sismici provocati dall’entusiasmo dei fan che si producono durante i concerti di colei che oggi è senz’altro la popstar più celebre del globo terracqueo.
E, si sa, fama smisurata produce consenso, consenso produce capacità d’incidere sui processi elettorali, volere è potere: ecco che quando, lo scorso settembre, Taylor Swift ha lanciato un appello ai giovani americani per indurli a registrarsi per votare, il giorno successivo la risposta è stata travolgente, con 35 mila nuovi iscritti ai registri elettorali.
Taylor Swift for president: tutto sommato, non sarebbe una prospettiva così bizzarra, nel paese in cui l’ex protagonista di un talent show, Donald Trump, ha conquistato la Casa Bianca in barba ad un’ex segretaria di stato, in cui un ex attore (peraltro mediocre) come Ronald Reagan è oggi ricordato come uno dei presidenti più grandi, nel paese che ha visto un altro divo del cinema nonché ex culturista come Arnold Schwarzenegger, diventato celebre nel mondo nei panni di Conan il Barbaro e di un guerriero androide di nome Terminator, ha fatto il governatore della California per due mandati, nel paese in cui il lancio di Casablanca, uno dei film fondamentali della storia del cinema, era stato ideato nello Studio Ovale da Roosevelt in funzione antinazista e con l’occhio rivolto alla geopolitica, nel paese in cui anche il film spacca-incassi dell’anno, Barbie, è diventato un fatto politico di primo piano.
E allora, perché no? Scherzi a parte, mentre nel gelido Iowa è iniziata la lunga corsa verso le elezioni presidenziali di novembre 2023 – con una prima affermazione ciclopica di Donald Trump – il potenziale in termini di peso elettorale espresso dalla cantante di Fearless e di Wildest Dreams ha già fatto il suo fragoroso ingresso nell’arena del voto: di fronte alla possibilità che Taylor Swift possa decidere di dare il suo endorsement più o meno esplicito a Joe Biden (oppure manifesti il suo sgradimento verso Trump), la destra americana è fulmineamente salita sulle barricate.
Se non altro, alcune delle frange più trumpiane: il conduttore di Fox News Jesse Watters ha sostenuto che la cantante è “un’agente democratica sotto copertura per fini politici segreti”, addirittura sarebbe a servizio di una “unità operativa del Pentagono per la guerra psicologica”. In pratica, Swift sarebbe una sorta di 007 in missione per manipolare le prossime elezioni.
Teoria nella sostanza sostenuta anche da Jeff Clark, co-imputato di Trump nel processo per il tentativo di ribaltamento del risultato elettorale in Georgia, che ha definito Swift un “cavallo di Troia” (ovviamente dei democratici), mentre il commentatore di destra Jack Posobiec ha scritto su X che la cantante starebbe preparandosi per far parte di una “operazione elettorale dei democratici a favore del diritto d’aborto”. Da parte sua, Kandiss Taylor, ex candidata repubblicana alla carica di governatore della Georgia, ritiene che la popstar sia impegnata nientemeno che ad “influenzare le menti innocenti affinché siano attratte dal lato oscuro della spiritualità”.
Ora, in effetti nel 2018 Taylor Swift – in barba al fatto che precedentemente, nella sua prima vita, venisse classificata come eroina country della destra tradizionalista – aveva deciso di rompere il silenzio con un lungo post su Instagram nel quale aveva affermato a chiare lettere di “credere nella battaglia per i diritti LGBTQ” e contro “qualsivoglia forma di discriminazione fondata sull’orientamento sessuale”.
Sì, era un vero e proprio manifesto sotto forma di post: “Io credo che il sistematico razzismo che ancora vediamo in questo paese nei confronti delle persone di colore sia terrificante”, scriveva la popstar, aggiungendo che non avrebbe mai potuto votare nel Tennessee (il suo stato) per “qualcuno che non sia disposto a battersi per la dignità di TUTTI gli americani, senza considerare il colore della pelle, il loro genere sessuale o le persone che amano”. Ciliegina sulla torta: nel messaggio Taylor esprimeva esplicitamente il proprio appoggio ai candidati democratici. In pratica: Swift fa paura ai repubblicani ed è più o meno esplicitamente corteggiata dai democratici, tanto che per smentire le teorie complottiste di una Swift “agente sotto copertura” è intervenuto persino il Pentagono per una smentita ufficiale.
Fatto sta che anche oltre i confini statunitensi si guarda con interesse al suo potenziale elettorale: pochi giorni fa è stato il vice presidente della Commissione europea, Margaritis Schinas, a rivolgersi alla cantautrice, proprio sull’onda della notizia del boom di registrazioni al voto, nella speranza che la popstar si rivolga ai giovani europei con un messaggio simile: “Taylor Swift sarà in Europa a maggio, per un concerto a Parigi a il 9 maggio, la Giornata dell’Europa. Quindi spero vivamente che lei faccia lo stesso per i giovani europei e spero vivamente che qualcuno del suo team media le trasmetta questa richiesta”.
A complicare il tutto, Swift è la donna dei record: il suo Eras Tour ha già incassato oltre un miliardo di dollari, ha dieci singoli nella top ten, mentre il film-concerto del medesimo tour ha sbancato i box office del cinema con 250 milioni in tutto il mondo, tanto da guadagnarsi una nomination ai Golden Globes nella categoria blockbuster. Ed è pure vero che sono in campo professori d’antropologia e sociologi per definire la fama della popstar nata nel fatidico 1989 in quel di West Reading in Pennsylvania: nella bisogno di aggiungere superlativi a superlativi, numeri alla mano la swiftmania avrebbe eclissato finanche i furori ormonali degli anni cinquanta in favore di Elvis the pelvis e polverizzato la beatlemania nei ruggenti anni sessanta. I sondaggisti sono già al lavoro per capire cosa succederebbe se tanto entusiasmo si depositasse anche nelle urne, per capire se può prendere forma uno swift quake in versione elettorale.
Guardando più in là, per le presidenziali ai nastri di partenza oramai i giochi sono fatti (salvo sorprese), ma se le cose vanno male Taylor potrebbe valutare una candidatura nel 2028. Solo una suggestione, certo: ma alcune schegge impazzite della politica americana sono sull’orlo di una crisi di nervi alla sola idea che Mrs. Swift voglia entrare a gamba tesa nella contesa elettorale di quest’anno. I fabbricanti di fake news e i terrapiattisti sono già al lavoro per scongiurarlo, i social media sono caldi, gli editorialisti affilano le penne, l’operazione Casa Bianca è in pieno corso. Perché, sì, oggi tutto è politica: soprattutto il pop.
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