È morto Tony Bennett, il celebre cantautore americano, il cui glorioso impatto sul panorama del pop e del jazz è durato 70 anni, estendendosi da San Francisco a tutto il mondo. Aveva 96 anni.
Bennett è morto nella sua città natale, New York, come confermato venerdì mattina all’Associated Press dalla sua agente Sylvia Weiner. Le cause della morte non sono state comunicate. Nel febbraio del 2021 Bennett aveva rivelato di essere stato colpito cinque anni prima dal morbo di Alzheimer. Aveva continuato tuttavia a lavorare, in studio di registrazione e in tournée, senza mai ripetere una canzone per due volte allo stesso modo.
Insieme a Lady Gaga ha tenuto due spettacoli al Radio City Music Hall di New York nell’agosto 2021, dopo i quali ha annunciato l’annullamento del tour autunnale. Vincitore di 20 Grammy Awards, tra cui uno alla carriera nel 2001, ha ottenuto l’ultima statuetta nell’aprile 2022 per il lavoro fatto con Gaga nell’album Love for Sale – seconda, amatissima, collaborazione fra i due – diventando così il secondo più anziano musicista a vincere nella storia.
Ha venduto circa 60 milioni di dischi e i suoi album sono sempre finiti in classifica, ogni decennio, dai Cinquanta ai Duemila.
Lasciare il cuore a Frisco
Il battesimo da “superstar” avvenne con la struggente ballata I Left My Heart in San Francisco, che registrò all’inizio del 1962 su proposta del suo arrangiatore e pianista Ralph Sharon, dopo che Tennessee Ernie Ford l’aveva scartata.
Scritta da George Cory e Douglass Cross, che dalla Bay Area si erano trasferiti a New York, I Left My Heart in San Francisco fu inserita dalla Columbia Records sul lato B di Once Upon a Time. Il brano, dedicato alla città in cui “i piccoli tram si arrampicano dalla strada alle stelle”, arrivò al n. 19 della Billboard Hot 100, per poi aggiudicarsi due Grammy, per il disco dell’anno e la migliore performance vocale maschile solista.
“Prima di quella canzone avevo già riscosso successo, e certamente anche dopo”, ha detto Bennett al San Francisco Weekly in un’intervista del 2016. “Ma non ho mai avuto una popolarità come quella. Quella canzone mi ha regalato il riconoscimento internazionale”. Alla fine degli anni Settanta Bennett attraversò un periodo difficile, tra crisi personali, problemi col fisco e abuso di droghe. Si rivolse perciò al figlio maggiore, Danny Bennett, perché gestisse e risollevasse la sua carriera.
“Tony odiava le indagini di mercato”, ha dichiarato il figlio al New York Times nel 1999. “Era convinto di poter suonare per tutta la famiglia, per un pubblico trasversale. Gli ho detto che per farlo, doveva stare in mezzo a loro”.
Bennett, dai Simpsons a Lady Gaga
Bennett iniziò a rivolgersi al pubblico più giovane – presentandosi agli MTV Music Awards con i Red Hot Chili Peppers e in programmi come The Simpsons e Late Night With David Letterman – introducendo un’intera generazione, così, al meglio della musica americana.
Ha ottenuto successo con l’album Perfectly Frank del 1992, un tributo al suo idolo Frank Sinatra, per consolidare il suo ritorno con l’uscita nel 1994 di MTV Unplugged, tratto da un’esibizione-concerto sull’emittente musicale. Con They Can’t Take That Away From Me, It Had to Be You, Fly Me to the Moon e naturalmente I Left My Heart in San Francisco, vince i Grammy per l’album dell’anno. Bennett ha poi perfezionato l’arte del duetto, collaborando con artisti come Lady Gaga, Amy Winehouse, K.D. Lang, Diana Krall, Christina Aguilera e Norah Jones.
Mai pensato di smettere
Duets II, pubblicato nel 2011 in occasione del suo 85° compleanno, è diventato il primo album al n. 1 della sua carriera, mentre Cheek to Cheek del 2014, il primo LP con Gaga, lo ha reso, a 88 anni, il più anziano interprete ad avere un album al primo posto. Prima dei novant’anni ha venduto circa 10 milioni di dischi.
Non ha mai pensato di smettere. “Andare in pensione per cosa? Fai quello che ti piace, che ami, e vai avanti”, ha detto nel 2007. “Più si impara, più la vita si fa interessante e più si vive a lungo”.
Il più piccolo di tre figli, Anthony Dominick Benedetto è nato il 3 agosto 1926 nel quartiere di Long Island City, nel Queens, ed è stato il primo della sua famiglia ad essere partorito in ospedale. Sua madre, Anna, era una sarta, e suo padre, John, un droghiere.
Musica che dura nel tempo
“Uno dei primi grandi insegnamenti l’ho ricevuto da mia madre”, ha detto a Robert Sullivan durante un’intervista per il libro del 2007 Tony Bennett in the Studio: A Life of Art and Music. “Lei insisteva sempre sulla qualità. Faceva vestiti da un centesimo, e più ne faceva più guadagnava. Eppure, se il vestito era scadente, lei lo buttava. Io stesso non ho mai voluto fare una canzone che offendesse il pubblico. È così che si fa musica che dura nel tempo. Come un vestito fatto bene”.
Poco prima di compiere 10 anni, cantò all’inaugurazione del Triborough Bridge nel 1936, davanti al sindaco di New York Fiorello La Guardia, Marching Along Together. Poco tempo dopo suo padre morì, e i Benedetto si trasferirono in un condominio ad Astoria, nel Queens.
Frequenta la P.S. 141 e la School of Industrial Art, dove studia musica e dipinge, ma deve abbandonare gli studi a 16 anni per aiutare la famigli, facendo il cameriere e il cantante (si ispirò al fratello Giovanni, soprannominato “Il piccolo Caruso”, che da adolescente si esibiva in assoli al Metropolitan Opera).
Dopo la guerra, New York
Benett si arruolò nell’esercito americano nel 1944, prestando servizio nella fanteria al fronte in Francia e Germania, e contribuendo alla liberazione di un campo di concentramento. Dopo la seconda guerra mondiale rimase in Europa, per cantare con una banda dei servizi speciali fino al congedo nel 1946. Tornato a New York, studiò canto con il GI Bill all’American Theatre Wing, prese lezioni di recitazione e lavorò come ascensorista, mentre si esibiva nei nightclub con il nome d’arte di Joe Bari.
Bob Hope lo vide aprire il concerto di Pearl Bailey al Greenwich Village nel 1949 – Bennett disse che era “l’unico bianco in tutto lo spettacolo” – e lo invitò a fare da apripista al famoso Paramount Theatre di Times Square.
“Poco prima di entrare in scena, Hope mi dice che il mio nome non funziona. Joe Bari non va. Mi chiede quale sia il mio vero nome. Io dico Anthony Benedetto. Neanche questo gli piace. Allora esce e dice al pubblico: “Ed ecco un nuovo cantante, Tony Bennett!”. Mi ha dovuto presentare due volte, perché non capivo di chi stesse parlando”.
In cima alle classifiche
Bennett fu scritturato da Mitch Miller alla Columbia e registrò la sua prima canzone Because of You – prima in classifica nel settembre 1951 – seguita rapidamente da un’altra hit, una cover di Cold, Cold Heart di Hank Williams. Queste furono solo le sue prime canzoni a entrare nella Top 40.
Nel 1953, anche Rags to Riches di Bennett si posizionò prima, mentre Stranger in Paradise, tratta dal musical di Broadway Kismet, raggiunse il secondo posto. Mentre cresceva la febbre da rock ‘n’ roll, Bennett si concentrò sul jazz, con album come The Beat of My Heart del 1957 e LP registrati con la Count Basie Orchestra.
Otto mesi dopo l’uscita di I Left My Heart in San Francisco, e quattro mesi dopo il tutto esaurito alla Carnegie Hall, Bennett fu tra gli ospiti della prima puntata del Tonight Show di Johnny Carson il 1° ottobre 1962. Con lui Joan Crawford, Groucho Marx, Mel Brooks e Rudy Vallee.
Marciare con Martin Luther King
Nel marzo 1965 marciò con Martin Luther King Jr. a Selma, in Alabama, per sostenere i diritti civili.
Un mese dopo, Sinatra lo citò sullo rivista Life: “Per me Tony Bennett è il miglior cantante del mondo. Mi emoziona guardarlo, mi commuove. Trasmette ciò che il compositore ha in mente, e forse anche qualcosa di più. Si avverte il sentimento”. Bennett, riconoscente, anni dopo disse: “I fan di Sinatra hanno cominciato a interessarsi a me, e io feci il tutto esaurito ovunque. Ha cambiato la mia carriera. Gli devo molto”.
In piena British Invasion, Bennett si dedica a versioni easy listening di canzoni come For Once in My Life, MacArthur Park e Something. Dopo aver rotto con la Columbia e aver registrato con Verve Records, nel 1975 lancia la sua etichetta, Improv, e realizza due album con il pianista jazz Bill Evans. Improv tuttavia durò appena un paio d’anni prima di finire in bancarotta.
Alla fine degli anni ’70, senza un contratto, Bennett passò la maggior parte del tempo a esibirsi a Las Vegas, mentre il matrimonio con la seconda moglie, Sandra Grant, stava andando in pezzi. (La prima moglie, Patricia, che aveva sposato nel 1952 nella Cattedrale di San Patrizio, gli aveva chiesto il divorzio per adulterio, e si erano separati nel 1971). Era anche perseguitato dal fisco, a causa di 2 milioni di dollari di tasse arretrate, e stava lottando contro la tossicodipendenza: nel 1979 rischiò di morire per un’overdose di cocaina.
“Ero in una spirale di autodistruzione”, ebbe a dire. Ha smesso con le droghe senza mai andare in riabilitazione.
L’arte dell’eccellenza
Tornando insieme all’arrangiatore Sharon, Bennett registrò nel 1986 con la Columbia The Art of Excellence, il suo LP più di successo degli ultimi 15 anni, ripetuto quattro anni dopo con Astoria: Portrait of the Artist. La foto dell’album lo ritrae davanti allo stesso edificio del suo vecchio quartiere, 40 anni dopo.
Per il suo concerto più intimo, MTV Unplugged, Bennett si è fatto accompagnare da Sharon, Doug Richeson al basso e Clayton Cameron alla batteria. Elvis Costello partecipò in un paio di canzoni. Alla fine del concerto, Bennett ha detto al pubblico: “Questa è stata una delle serate più belle della mia carriera”.
Duets: An American Classic, con collaborazioni con Paul McCartney, Elton John, Barbra Streisand, Bono e altri, ha vinto tre Grammy nel 2006. Uno speciale della NBC, diretto da Rob Marshall e ispirato all’album, ha fruttato al cantante il secondo dei suoi due Emmy Award alla carriera.
Seguono Duets II e Viva Duets del 2013 (con collaborazioni con artisti latini come Gloria Estefan e Marc Anthony).
Cantante, pittore, attore
Come attore, Bennett è apparso in 77 Sunset Strip della ABC nel 1963 e, nel ruolo di Hymie Kelly, l’amico di una star egocentrica (Stephen Boyd), in The Oscar (1966). Era molto più bravo a interpretare se stesso, cosa che ha fatto in Muppets Most Wanted (2014) e in serie come The Doris Day Show, Entourage e Blue Bloods.
Bennett ebbe anche una seconda carriera come pittore; firmò le sue opere – tre delle quali, tra cui “Central Park”, si trovano allo Smithsonian – con il suo vero nome. “Duke Ellington una volta mi disse: ‘Fai sempre due cose’. Mi chiedevo perché, poi l’ho scoperto: quando ti stanchi di cantare, la pittura ti ricarica … E quando ti stanchi di dipingere, torni a cantare con una marcia in più. Così alleni continuamente la creatività . Sono in perenne vacanza”.
Nel 2007 ha sposato la terza moglie, l’ex insegnante di New York Susan Crow, di quasi 40 anni più giovane. Si sono incontrati per la prima volta nel backstage di uno dei suoi concerti, quando lei aveva 19 anni ed era presidente di un fan club di Tony Bennett a San Francisco; sono stati insieme per 20 anni prima di sposarsi. Nel 2001, la coppia ha fondato la Frank Sinatra School of the Arts nel Queens. Otto anni dopo, la scuola si è trasferita in una nuova sede da 78 milioni di dollari, di fronte ai Kaufman Astoria Studios.
L’ultimo grande classico
Bennett è stato premiato dal Kennedy Center nel 2005 e ha ricevuto il Premio Gershwin per la canzone popolare dalla Biblioteca del Congresso nel 2017 (fu un grande momento: una delle prime canzoni che ha registrato – nel 1949, quando si faceva ancora chiamare Joe Bari – è stata Fascinating Rhythm di George e Ira Gershwin).
Oltre alla moglie e al figlio Danny, gli sono sopravvissuti un altro figlio, Dae, e le figlie Joanna e Antonia.
Nel 2006, Richard Merkin su Vanity Fair ha scritto che “con la scomparsa di Frank Sinatra, Peggy Lee, Ella Fitzgerald e, recentemente, Ray Charles, Bennett rimane l’ultimo grande interprete della canzone classica americana”.
E ha aggiunto: “È possibile che quando il nostro pianeta arriverà alla fine dei suoi giorni, Tony Bennett sarà sul palco di qualche cabaret, splendido in uno smoking a doppio petto e un papillon ad ali di pipistrello, cantando con la sua meravigliosa voce ciò che il compianto Nelson Algren definiva ‘una pioggia di leggero rimpianto’, ossia le sue verità: il cuore spezzato, la gioia e l’amore. Come nessun altro”.
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