Giuliano Montaldo, oltre che un grande regista e una splendida persona, era un meraviglioso raccontatore di barzellette. Era secondo solo a Gigi Proietti – e, andando all’indietro nel tempo, probabilmente a Walter Chiari e a Gino Bramieri. Sosteneva addirittura di averne inventate alcune (nessuno sa mai chi ha inventato le barzellette, è parte del loro fascino). Questa era una che gli piaceva molto, e avendo a che fare con il vetusto luogo comune dei genovesi tirchi (ma le barzellette lavorano solo sui luoghi comuni!) è possibile che l’avesse inventata lui.
Un anziano signore genovese si reca all’ufficio necrologi del quotidiano cittadino, Il secolo XIX. Lo accoglie un impiegato (da qui in poi immaginatevi tutto con un accento genovese piuttosto marcato, ndr).
“Buongiorno, desidera?”
“Dovrei mettere un annuncio per la morte di mia moglie”
“Oh, mi dispiace. Condoglianze”
“Eh. Che ci vuol fare? Prima o poi tocca a tutti”
“Certo. Cosa vuole scrivere?”
“Eh, belìn, non lo so. Scriviamo… Morta Maria”
L’impiegato lo guarda strano: “Morta Maria?”
“Sì, morta Maria, cos’altro vuole scrivere?”
L’impiegato capisce tutto e mormora all’uomo, come se non volesse farsi sentire da altri: “Guardi, capisco il suo scrupolo, ma comunque la tariffa minima per i necrologi prevede che si possano scrivere fino a cinque parole. Due parole o cinque, stesso prezzo”
“Ah… quindi posso scrivere cinque parole?”
“Sì, signore, fino a cinque parole”
L’uomo ci pensa un po’, e poi dice: “Va bene. Cinque, eh? Allora scriva: Morta Maria, vendesi vecchia Panda”.
Giuliano Montaldo era così. Scherzava su tutto, era un uomo spiritoso, adorabile. Una miniera di aneddoti, di storie, di retroscena buffi sulla storia del cinema italiano. Quando cominciava a raccontare, non si fermava più. Accanto a lui, la sua stupenda e geniale moglie – Vera Pescarolo Montaldo, figlia della grande diva Vera Vergani – lo guardava sorniona e lo interrompeva: “Giuliano, questa gliel’hai già raccontata cento volte!”. Lui fingeva di arrabbiarsi. Erano inseparabili. Erano una coppia meravigliosa. Belli, sempre elegantissimi. Una gentildonna e un gentiluomo del Novecento. Paolo Virzì (suo allievo al Centro Sperimentale) racconta che Giuliano era il mito di sua madre – di Paolo – perché quando li aveva presentati lui le aveva fatto il baciamano. Vera era anche l’autentica combattente del duo. Una volta, proprio a Venezia – dove abbiamo saputo della triste notizia – il cerimoniale li mise, a una cena di gala, allo stesso tavolo di Berlusconi (doveva essere il periodo in cui Giuliano era presidente di Rai Cinema, le cene istituzionali erano un suo dovere). Il cavaliere li salutò ovviamente con la solita “simpatia”, ma commise un errore di etichetta gravissimo, e Vera glielo spiattellò in faccia: “Berlusconi, ci si alza in piedi quando al tavolo arriva una signora!”. Giuliano voleva seppellirsi. Ma sotto sotto era sicuramente fiero.
Dopo il teatro di massa, gli inizi da attore
Come vedete non stiamo parlando di cinema. Eppure Giuliano Montaldo è stato veramente un grande regista. Aveva cominciato come attore nella sua Genova, recitando in quegli spettacoli di “teatro di massa” organizzati dalle sezioni del PCI nei quali, come diceva sempre lui, “c’era più gente sul palcoscenico che in platea”. In uno di quegli spettacoli lo notò Carlo Lizzani, che era a Genova per cercare interpreti per il suo primo film da regista, Achtung! Banditi!. Giuliano era alto, bello, aitante: lo prese per il ruolo del capo partigiano. Giravano a Pontedecimo, primi contrafforti dell’Appennino ligure. Nel cast c’erano solo due professionisti di fama, Andrea Checchi e Gina Lollobrigida.
Ogni tanto, quando giravano in esterni, passava Fausto Coppi che si allenava su quelle strade: “Si fermava a salutare la troupe e poi chiacchierava fitto fitto con la Lollo: occhio lungo, il campionissimo”. Era il 1950: pochi mesi dopo le riprese di quel bellissimo film, Giuliano chiese aiuto alle adorate sorelle che gli finanziarono il viaggio a Roma, per “fare il cinema”: Lizzani lo prese di nuovo come attore per Cronache di poveri amanti, e poi lo promosse ad aiuto. L’impatto con Roma non fu facilissimo: “Arrivai in stazione e come prima cosa, non chiedetemi perché, andai a vedere la breccia di Porta Pia. Lì, sull’inizio della Nomentana, vidi un bambino di 6-7 anni su un triciclo con una sigaretta in bocca. Mi venne l’istinto irrefrenabile di dirgli: ma sei matto, non fumare, ti fa male! Mi rispose con una voce roca da romanaccio vero: fatte li cazzi tua. Benvenuto nella capitale!”. Per la cronaca: nel seguito della sua vita, Montaldo ha fumato interi container di sigarette, facendo concorrenza a Camilleri.
Montaldo fece inizialmente l’aiuto per Lizzani, per Petri, per Pontecorvo, per altri. Come Nanni Loy e Sergio Leone, si stava affermando come uno dei migliori aiuto-registi su piazza. “Una volta mi convocò Fellini. L’avevo incontrato a piazza del Popolo e mi aveva detto: Giulianino, sto preparando un film, vieni in ufficio che ne parliamo. Andai in ufficio e c’erano cento aiuto-registi in attesa, tutti quelli su piazza. Me ne andai. Qualche tempo dopo lo incontrai di nuovo: Giulianino, ma poi non sei venuto? Gli dissi: Federico, ho firmato un contratto con gli americani dove c’è una clausola che posso lavorare con tutti meno che con Fellini. Scoppiò a ridere e ci abbracciammo”.
Montaldo, Gillo e il colonnello Mathieu
Il suo lavoro da aiuto più importante fu quello per La battaglia di Algeri, dove girò sostanziose parti del film (che era logisticamente super-complesso). Pontecorvo voleva che interpretasse anche il capo dei parà francesi, ruolo poi andato al francese Jean Martin: “Non c’era verso di fargli cambiare idea. Le scene con i parà erano previste verso la fine delle riprese, e io chiedevo di continuo a Gillo: ma hai deciso chi fa quel ruolo? E lui: vabbè, tanto lo fai tu, no? Alla fine lo presi da parte e gli dissi: senti, Gillo. Per tutto il film si parla di ‘sto capo dei parà, il colonnello Mathieu. Tutti hanno paura di lui, tutti lo aspettano, il pubblico si aspetta di veder arrivare un guerriero ferocissimo. Ora, immagina una proiezione il sabato pomeriggio all’Adriano, a Roma. Tutti hanno paura che arrivi ‘sto Mathieu e quando appare, qualcuno in sala grida ‘ahò, ma è quer cojone de Montaldo’, e viene giù il cinema dalle risate. È questo che vuoi? Alla fine si convinse”.
Poi arrivarono i film suoi: il debutto con Tiro al piccione, un gioiello molto dimenticato come Una bella grinta, i famosi due film “hollywoodiani” – Gli intoccabili e Ad ogni costo – in cui ha l’onore di dirigere star come John Cassavetes, Edward G. Robinson e Janet Leigh, i capolavori Sacco e Vanzetti e Giordano Bruno dove nasce una splendida complicità con Gian Maria Volonté, il bellissimo film resistenziale L’Agnese va a morire, la grande avventura di Marco Polo. Grandi produzioni internazionali e piccoli film messi insieme con la tigna del cineasta indipendente (spesso il produttore era Leo Pescarolo, fratello di Vera).
Il rogo di Volonté
Per dire: Una bella grinta era un film molto feroce sul boom girato in una Bologna “grassa” e violenta, e i soldi non bastavano mai. Ma per fortuna l’attore protagonista era Renato Salvatori. Quando serviva un po’ di denaro fresco, Salvatori diceva: “Tranquilli, ci penso io”. Una nottata a poker con qualche ricco “pollo” bolognese felice di giocare a carte con il divo, e il film ripartiva. Sacco e Vanzetti, film veramente epocale, contribuì alla riabilitazione dei due anarchici italiani da parte del governatore del Massachusetts Michael Dukakis, ed era una cosa della quale Giuliano andava giustamente orgoglioso. Volonté fu strepitoso lì e in Giordano Bruno, anche se non era un attore facile da gestire: “Eravamo a Tarquinia per girare la scena del rogo, che ovviamente non poteva essere girata a Campo de’ Fiori, a Roma, dove sul luogo dell’esecuzione oggi c’è… la statua di Giordano Bruno! Io e Vera dormivamo e sentimmo bussare alla porta della nostra stanza d’albergo. Era Gian Maria. Dormite?!, ci disse con tono agitato. Beh, sai, sono le tre di notte… Gridò: ma come potete dormire se io domani vado SUL ROGO! Gli risposi: Gian Maria, proprio perché è una scena difficile è meglio che uno di noi due dorma, e se non dormi tu, dormo io. Pretese di dormire con noi. Si sdraiò sul tappeto davanti al letto e la mattina dopo andò al rogo con grande realismo”.
Ci fermiamo. Potremmo andare avanti per mille pagine. Ci mancherai, Giuliano, ma ci hai regalato un patrimonio di film e di storie che non andrà perduto. E se non altro te ne sei andato con il tuo adorato Genoa in serie A. Grazie di tutto.
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