Non c’è niente da fare. Nonostante qualsiasi pregiudizio si possa avere sui live-action, e degli effetti visivi francamente terribili, David Lowery riesce comunque a fare un buon lavoro.
Alla regia di Peter Pan & Wendy, scritto insieme a Toby Halbrooks, il regista americano continua ad alternare la carriera “indie” e autoriale (A Ghost Story, Sir Gawain e il Cavaliere Verde) al cinema per il grande pubblico, scegliendo progetti giusti per “la massa” che gli permettano in seguito di dedicarsi ad opere più introspettive e sperimentali.
Lo aveva già fatto per la Disney nel 2016 con Il drago invisibile e lo fa nuovamente con Peter Pan & Wendy, dal 28 aprile su Disney+. Ma la qualità, a differenza di quanto offerto recentemente dalla casa di Topolino, è innegabile. Così come l’intenzione di mescolare, all’animo giocoso e fanciullesco dell’opera, uno sguardo inedito sulla crescita, l’amicizia e, dettaglio ancora più interessante, sulla figura di Peter Pan.
Tratto dal libro di J. M. Barrie, e su ispirazione del film animato del 1953, Peter Pan & Wendy comincia come la storia ci ha insegnato per prendere poi tutt’altra strada, conducendo lo spettatore su un’Isola che non c’è piuttosto insolita – e non solo perché tra i Bimbi Sperduti ci sono anche delle femmine. La protagonista stavolta è Wendy (ma in fondo, forse, lo è sempre stata) interpretata da Ever Anderson, la figlia di Paul W. S. Anderson e della sua “musa” in Resident Evil Milla Jovovich. Sarà Wendy a subire nel film un vero e proprio percorso di trasformazione, arrivando alla conclusione che, pur con tutte le paure del caso, crescere sia la più grande avventura che si possa affrontare. Un concetto che il compare Peter Pan (Alexander Molony) considera invece una sfortuna. Almeno fino a quando, in questa versione della storia, non sarà portato a ricredersi.
Il tratto malinconico di Peter Pan & Wendy
Un contrasto – quello tra chi comprende che per vivere bisogna andare avanti, e chi al contrario si crogiola nell’illusione che il tempo si possa fermare – che consegna ai dialoghi di Peter Pan & Wendy un fondo di malinconia. Peter Pan vuole rimanere per sempre un bambino, ma sarà costretto a chiedersi se, e quanto, questa sua scelta pesi sulla sua stessa autenticità. Il “bambino vero” che ci riporta al Pinocchio di Collodi torna anche in questo Peter Pan, nel suo interrogarsi su cosa ci renda autentici e cosa, invece, ci trasformi in “storie”.
Peter Pan & Wendy rincorre la leggenda, guardando a quel Peter Pan le cui scorribande venivano raccontate, la sera, da una mamma londinese ai propri figli per farli addormentare. E non dimentica quanto quei bambini si divertissero a rimetterne in scena la favola, saltando sui letti invece che infilarsi sotto le coperte. Eppure, con coraggio, Lowery e Halbrooks – e con loro anche Disney – non restano ancorati al racconto dell’originale animato. Si chiedono chi sia Peter Pan per il Capitan Uncino di Jude Law (e viceversa), cosa alimenti il loro rapporto e perché quel bambino volante sia così deciso a rimanere fisso lì, sulla sua isola, seconda stella a destra poi dritto fino al mattino.
Peter Pan & Wendy è un altro dei soliti live-action Disney, ma non è un altro dei soliti live-action Disney. Ne è uno dei migliori per l’originalità del racconto, seppur carente negli effetti visivi. Ma l’emozione di trovarsi di fronte a una narrazione del tutto nuova è grande. E ci ricorda che è bello poter cambiare, per creare nuovi, felici ricordi.
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