Nessun posto è come casa. A volte, però, una piccola vacanzetta non guasterebbe. Fare le valigie, uscire fuori dal proprio mondo, così da potersi creare il proprio. No, casa è casa e bisogna rimanerci attaccati. Meglio ancora se aggrappati alla gonnella della mamma, e non c’è viaggio dell’eroe che tenga. Il nostro personaggio principale deve partire per poter tornare più consapevole e valoroso di prima. Un protagonista bello e fatto, che ha scoperto il mago dietro al sipario e può finalmente tornare a dormire nel suo letto, dove l’universo di Oz è un ricordo ormai lontano.
Kora, l’eroina di Rebel Moon interpretata da Sofia Boutella, trova casa in un paese straniero. Figlia del fuoco, come recita il sottotitolo della Parte Uno del film fantascientifico Netflix, nato dalla mente di Zack Snyder, la ragazza trova rifugio su un pianeta di agricoltori che invocano al raccolto e invitano a fare l’amore per incentivarlo. Gli abitanti hanno accolto Kora come membro della comunità, ma la giovane sente ancora di non meritarselo. Soldato soprannominato la Sfregiatrice, a sua volta adottata da una delle massime – e più sanguinose – cariche del tirannico Mondo Madre, sarà in prima linea quando la sua nuova realtà verrà minacciata, ritrovandosi faccia a faccia con un passato che sperava di essersi lasciata alle spalle.
È la terra, in senso letterale e metaforico, che Kora tocca, annusa, abbraccia nella prima sequenza di Rebel Moon. Ed è il primo seme di un cinema che cresce nel corso del film di Zack Snyder, uguale a tanti altri. Il regista e sceneggiatore dell’opera sci-fi, co-scritta assieme a Shay Hatten e Kurt Johnstad, estirpa boccioli di archetipi e di idee e ne rimpinza il film fino a farlo scoppiare. Non segue la regola del “scrivere è riscrivere”, e non compie nemmeno “un omaggio” o “un tributo” nei confronti del cinema. È su di un carrozzone carnevalesco che Snyder salta e su cui, poi, fa salire tutti gli altri. Proprio tutti quanti. Arrivando a citare, in pochissime, ma significative occasioni, addirittura se stesso.
Il richiamo alla Dorothy di L. Frank Baum del Mago di Oz – e ancor più del capolavoro di Victor Fleming – è dunque chiara fin dall’inizio, dove a sostituzione del tornado e della strada di mattoni gialli, appare una supernova incandescente che fa da sfondo all’iniziale scena di fatica e lavoro della protagonista. Ma è un’altra suggestione, acquattata e pronta a saltare fuori con prepotenza, di cui l’intera operazione è pervasa: il pitch per diventare un’altra opera della galassia di Star Wars.
Rebel Moon, Zack Snyder in cerca di Star Wars
Questi erano i piani iniziali, se la Lucasfilm non avesse poi scartato l’idea di un papabile spin-off da parte del demiurgo della Justice League moderna e che, dopo il rifiuto, decide di imbastire un remake con tutte le menzioni del caso, mettendo in piedi la sua personale Una nuova speranza. Il cult del 1977 di George Lucas, a sua volta remake dei film di Akira Kurosawa mescolati al genere western. E, a ben pensarci, già spunto per un remake intestino, sempre di casa galattica: Star Wars – Il risveglio della forza di J.J. Abrams.
“Meglio che la Lucasfilm sia uscita, avrei sicuramente infranto le regole”, afferma Zack Snyder. In tanto, però, lo ha fatto comunque, non facendo un torto alle guerre stellari, ma saccheggiando da ogni singolo anfratto della cultura pop, andando contro la legge che ti impone di essere almeno un briciolo originale o che, almeno, non faccia vedere che si è scopiazzato così tanto. I casi di “furto” fortunati, certo, esistono. Chiedetelo proprio a Lucas, che al sopracitato Kurosawa, con una spruzzata di Sergio Leone, ha rubato l’immaginario. Ma neanche Andy Warhol con le sue serigrafie sarebbe potuto arrivare a un livello di saccheggio e riproduzione tale.
Le creature fantastiche di Rebel Moon richiamano le specie e i paesaggi de Il signore degli anelli e Harry Potter (del maghetto c’è anche una scena finale che ricorda un po’ un limbo, in versione oscura, dell’ultimo incontro tra Silente e il suo studente), a un personaggio vengono attacchi tubi su tubi in un esplicito riferimento al Neo di Matrix, mentre un altro zompa da una rupe su un evidente Ippogrifo (ecco un’altra volta Harry Potter), come qualsiasi Na’vi di Avatar fa per salire sul suo banshees. Per non parlare dell’auto-deferenza: un ralenty con un salto per aria che ricorda alcune delle scene più famose del suo fumettistico 300.
Se tutti questi elementi fanno dei rispettivi film degli esempi da elogiare e delle opere di grande intrattenimento, con la sua “copia di una copia di una copia” non si sa bene dove Zack Snyder voglia arrivare. Anzi, purtroppo lo sappiamo: dal 22 dicembre su Netflix. E, attenzione, non si tratta nemmeno della director’s cut.
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