Il cartello rosso Nintendo e in sala parte la ola. Gridolini d’eccitazione, l’entusiasmo in un logo. Come i quarantenni quando è apparso per la prima volta al cinema il tudum di Netflix. Come i loro padri, quando il leone della MGM ruggiva in pellicola. Cosa guardiamo, quando guardiamo Super Mario Bros. – Il film? Dipende.
La recensione di Super Mario Bros.
Dal punto di vista narrativo siamo di fronte al minimo relativo assoluto della funzione storia. C’è un eroe, Mario, un cattivo, Bowser, un regno sull’orlo della distruzione, quello della principessa Peach, e una persona da salvare, Luigi.
Su questo archetipo, che più classico non si può, si innesta la mitologia nipponica del “mondo Nintendo”: Mario e Luigi, idraulici italoamericani così come poteva immaginarli un creativo giapponese nei primi anni Ottanta (pranzo con spaghetti e minestrone, salopette e “Mamma mia!”), finiscono per caso in un condotto interdimensionale che li proietta in un mondo di funghi animati, minacciato dalle mire espansionistiche di una tartaruga gigante invaghita della principessa. E più di questo non si può dire, anche perché la trama, a prova di spoiler, si esaurisce in una sintesi lisergica.
Protagonista di innumerevoli titoli dell’azienda giapponese Nintendo, fin dalla creazione nel 1985 per mano di Shigeru Miyamoto, Mario è il Topolino dei videogiochi – paragonabile al suo omologo a fumetti per potenza mediatica, ricchezza dell’impero e ossessivo controllo dell’azienda sul prodotto. Floppò nel 1993, portando al cinema una storia live action tratta dal videogioco dei due idraulici: trionfa trent’anni dopo, con una storia in animazione tratta dall’esperienza dei videogiocatori nei panni dei due idraulici.
La lingua di una generazione
Quando guardiamo SuperMario Bros. – Il film, non guardiamo appunto un film, ma la messa in fila, spettacolare e solo appena romanzata, del meglio che l’industria videoludica abbia prodotto sul tema. Guardare Supermario Bros. – Il film è come assistere alla partita di un giocatore eccezionalmente dotato, su una console dagli straordinari poteri, in grado di attraversare storia e gameplay del piccolo idraulico italiano: il Mario del platform a scorrimento orizzontale delle origini, quello contro Donkey Kong dello spin-off anni 2000, il Mario Kart arcade della sfida fra bolidi sulla pista arcobaleno.
Ci sono i potenziamenti e i power-up, i funghi magici e il fiore di fuoco, le mappe di Mario Party e persino le morti, quelle in cui ogni giocatore incappa ripetutamente nel tentativo di superare uno scenario. Non c’è immedesimazione nel personaggio, ma in ciò che fa il personaggio per raggiungere il suo obiettivo: quante volte siamo “morti” così?
I registi Aaron Horvath e Michael Jelenic, già produttori del cult per ragazzi Teen Titans Go!, conoscono bene i loro spettatori. Super Mario Bros. – Il film parla la lingua di una generazione – quella della ola al logo – che trova naturale guardare i videogiochi giocati da altri (succede su YouTube: chi ha figli lo sa) e che trova al cinema la naturale evoluzione del genere.
Musica da Oscar
Il lavoro sulla musica è parte del pacchetto: i temi di Kōji Kondō – celebre compositore Nintendo – tornano nel film, così come tutti gli effetti sonori familiari al giocatore. Il resto è quello che in gergo videoludico si definisce extra, accessorio: Bowser che improvvisa al piano una struggente canzone per la principessa Peach (il brano, cantato in originale da Jack Black, potrebbe correre ai prossimi Oscar), o la stellina depressa che vuole soltanto morire.
Chicche per nativi analogici, uniche tracce fuori sync nel mondo Nintendo: un universo dove non esiste l’ironia, ma solo un’eterna, artificiale allegria.
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