All’agente delle forze speciali Joshua (John David Washington) è affidato il compito di eliminare una futuristica arma di distruzione che scoprirà avere, con sua sorpresa, le sembianze di una bambina (Madeleine Yuna Voyles). La premessa di The Creator contiene il tema principale del film fantascientifico di Gareth Edwards – al cinema dal 28 settembre – e, insieme, quello di tutto il cinema del suo “creatore”: l’umano che incontra la tecnologia, le grandi narrazioni che seguono personaggi “ordinari” in contesti straordinari.
“Ho scritto il film insieme a Chris Weitz e Hossein Amini – racconta Edwards – Avevo appena finito di lavorare a Star Wars e avevo bisogno di una pausa. Con la mia ragazza ci siamo presi qualche giorno di riposo nella casa dei suoi genitori in Iowa, dall’altra parte dell’America. Durante una passeggiata, dopo aver attraversato un campo, ci siamo ritrovati davanti a una fabbrica con un’insegna in giapponese. Mi sono domandato cosa facessero là dentro. Costruivano forse dei robot? Da questa domanda è nato il film”.
Un’opera costruita con una “piccola troupe” e un “piccolo budget” (si parla di circa 80 milioni). Era perciò indispensabile trovare subito le location giuste. “Servivano i vulcani dell’Indonesia, i templi buddisti dell’Himalaya, le rovine della Cambogia, i villaggi galleggianti e molto altro”. Fondamentale il supporto degli effetti visivi: “Ci siamo affidati alla Light & Magic, cui abbiamo riservato una grossa parte del budget del film”. Otto i paesi coinvolti per una pellicola che Edwards definisce comunque “indipendente”, e che ha viaggiato in alcuni degli angoli più incontaminati del pianeta, tra cui una montagna a più di 3000 metri d’altezza in Nepal.
Ai confini di The Creator
Un viaggio in luoghi e ambienti pieni di vita, in cui la vegetazione cresce indisturbata, accompagnato in colonna sonora dalle note di un Hans Zimmer che “non volevo si capisse immediatamente fosse Hans Zimmer”. Un’eredità di genere, quella del compositore di Star Wars, che diventa evidente man mano che il film spinge sul pedale della fantascienza, rivelando ossessioni e passioni del regista, dal mito di George Lucas al suo show preferito, la serie Ai confini della realtà.
“Sono cresciuto con quella serie. Mi piaceva come un singolo elemento della storia fosse in grado di cambiare il corso di una vita intera. È una serie che ti fa capire quanto sia inutile avere convinzioni fisse e immutabili, perché se non si mette in discussione la realtà, non si potranno mai vivere vere avventure. Poi, certo: si può anche morire senza mai cambiare opinione – spiega Edwards – Ma bisognerebbe essere sempre pronti alla possibilità che il nostro mondo possa capovolgersi all’improvviso”.
Un approccio con cui il regista “legge” anche l’avvento delle intelligenze artificiali. Le nuove tecnologie, secondo Edwards, sono la metafora del nostro rapporto con tutto ciò che è diverso. “Ho iniziato a scrivere The Creator nel 2018, quando parlare di intelligenza artificiale era come discutere dei viaggi sulla luna. L’IA è una delle più importanti scoperte tecnologiche dell’ultimo secolo, al pari dell’elettricità, di internet, dei computer. Per non averne paura basta guardarsi indietro. Ora siamo contenti dell’elettricità, siamo felici di internet e dei computer. Con il passare del tempo ci accorgeremo che i lati positivi di questa invenzione supereranno quelli negativi. E se non fosse così, sappiamo già come andrà a finire: come Terminator 2 – Il giorno del giudizio”.
All’apocalisse robotica di James Cameron, Gareth Edwards affianca un’altra grande ispirazione per la sua carriera: “E.T. di Steven Spielberg ha avuto su di me un impatto enorme. Lo vidi da bambino. L’unica cosa che mi interessava era l’alieno, la sua astronave e le biciclette. Invece, alla fine, mi commossi fino alle lacrime. Con E.T. il pubblico compie un viaggio nelle emozioni dei personaggi. È quello che cerco di comunicare nei miei film”.
La rivelazione Madeleine Yuna Voyles
Il rapporto tra il bambino Elliot e l’alieno E.T. ricorda quello che si instaura in The Creator tra Joshua e Alfie, la cosiddetta “arma di distruzione” interpretata dalla giovanissima Madeleine Yuna Voyles.
“Durante la pandemia abbiamo fatto il provino a centinaia di bambini in tutto il mondo. Avremo visto cento o duecento video di giovani attori. Sapevamo che sarebbe stata una produzione complicata e che avremmo girato nel caldo torrido della giungla della Tailandia. Sarebbe stato troppo per qualsiasi bambino e per le loro famiglie”, racconta il regista.
“Poi è arrivata Madeleine. Dopo aver selezionato dieci possibili bambini, lei è stata la prima che ho incontrato. Ha fatto la sua scena e ha cominciato a piangere. Non ci potevo credere. Era un momento toccante, la sua performance era brillante. Sono diventato paranoico, mi sono detto che era impossibile che fosse stata così brava. Forse era stato un caso, o magari la madre le aveva detto qualcosa di sgradevole per indurla alle lacrime. Allora ho riprovato. Mi sono inventato una sequenza sul momento, sempre molto emozionante, e gliel’ho fatta provare. L’effetto è stato lo stesso. In quell’istante mi sono detto: è lei”.
John David Washington e Madeleine Yuna Voyles sono diventati “migliori amici”. Mentre Edwards ha provato senza grande successo a conquistare la fiducia della piccola attrice, il suo coprotagonista ci è riuscito perfettamente. “È molto timida. Mi ha lasciato entrare nella sua sfera personale solo verso la fine delle riprese, ma non completamente. Solo JD è riuscito a decifrare il codice per farla sciogliere. È diventato per lei come un fratello maggiore”. The Creator arriverà presto in sala e nell’era dei franchise è lecito interrogarsi su un possibile sequel. Ma per Gareth Edwards il film “ha un inizio e una fine”. Il futuro però, ce lo insegna il regista, è pieno di possibilità.
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