Maxischermi, una banda di nero vestita total look stile Mission Impossible, un tappeto rosso a semicerchio, Tom Cruise in cima alla scalinata di Trinità dei Monti con tutta Piazza di Spagna a guardarlo e ascoltarlo. Non è solo un red carpet quello di Mission Impossible Dead Reckoning parte uno, ma una dichiarazione d’amore al cinema e alle sale cinematografiche. E all’Italia. Una serenata non solo del divo, che vede questo franchise diventare quasi maggiorenne (il primo MI è del 1996), ma del sistema che rappresenta. Lo dice, serenamente, davanti alla folla di giornalisti e appassionati lui che il grande schermo lo sta salvando pretendendo di uscire in sala senza se e senza ma, prima con Top Gun: Maverick e ora con il settimo Mission Impossible. E le piattaforme devono accontentarsi di avere i suoi film secondo le vecchie “finestre” così che lo sfruttamento degli esercenti possa essere il massimo possibile.
“Abbiamo girato a Venezia e Roma in pieno Covid – ricorda Tom Cruise, di nuovo nei panni di un Ethan Hunt sempre più dolente, quasi fragile – ed è stato importantissimo farlo per dimostrare a tutti che la pandemia non avrebbe ucciso il cinema. Devo ringraziare tutti, con i nostri protocolli di sicurezza molto rigidi e l’aiuto di questo paese abbiamo fatto qualcosa di straordinario”. Poi, vedendo dall’alto tutto quello che era stato fatto per permettere una première internazionale in grande stile, con una delle piazze più iconiche della capitale tutta dedicata al film che ha coprodotto e interpretato e la circolazione bloccata nelle vie vicine, si è lasciato andare a un altro racconto molto suggestivo.
“Abbiamo trasformato questa meravigliosa piazza, per un giorno, in un set a cielo aperto quando abbiamo girato qui ed è stato fantastico. Lo abbiamo fatto chiudendola al pubblico e ammetto che è una di quelle cose che chiedo regolarmente agli studios. Perché adoro fare queste cose, organizzarle: io non amo viaggiare solo per promuovere i miei film, ma anche e soprattutto per farli, perché questo mi concede di promuovere e insegnare il mio know how, e così facendo aiutare tutto il settore, in tutto il mondo, a crescere. È il motivo per cui quando porto i film nei vari paesi, me lo rivedo in quella lingua e cerco di vedere i migliori di quella cinematografia in quel momento nelle loro sale”.
A quasi 61 anni non ha perso il suo sorriso bambino, con cui confessa che “fin da piccolo guardavo i palazzi più alti, i grattacieli e immaginavo come scalarli o ancora meglio come scendere dal tetto al piano terra. Senza usare le scale, ovviamente, ma pure senza rimetterci le penne. Credo sia quel sogno di bimbo che mi spinge sempre oltre e mi fa affrontare queste sfide di persona”.
Sa che il suo tour del centro su una 500 gialla d’epoca nel film che verrà distribuito nelle sale italiane il 12 luglio prossimo rimarrà nell’immaginario collettivo. Un giro forsennato tra Rione Monti, Via dei Serpenti lambendo Colle Oppio, la galleria Umberto I, le vie attorno a Santa Maria Maggiore e ovviamente la meno ortodossa delle discese della scalinata di Trinità dei Monti con tanto di sgommate a Piazza di Spagna. “E ne sono felice, amo Roma, è una città meravigliosa, ne sono completamente pazzo ed è stato fantastico lavorare qui, vi ringrazio di avermi accolto qui e di quanto bene ci ha permesso di lavorare”.
E infine saluta tutti prima di iniziare la maratona del red carpet (ancora in corso), ricordando “quanto sia importante dimostrare non solo che si possa ancora fare cinema ma anche che si possano tornare a riempire le sale dopo il momento più difficile che il mondo e quest’arte hanno passato. Se mi arrabbiavo tanto sui set per il rispetto delle regole è anche perché amo il cinema e voglio che sia sempre più grande. E questo vale anche per il fatto che mi ostini, a prezzo di sacrifici grandi, a farli uscire in sala, come è giusto che sia per un blockbuster di questo tipo”.
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