Un balletto, un’opera d’arte cubista, uno spettacolo kabuki: ecco cos’è la nuova missione di Ethan Hunt

Combattimenti che sono danza contemporanea, scene d'azione come quadri di Picasso, nomi che richiamano il Faust di Goethe, dialoghi da teatro russo e giochi di maschere nipponiche. Viaggio contromano nei meandri "nascosti" di Mission: Impossible numero 7

Danza sull’orlo dell’apocalisse, Ethan Hunt. E sono coreografie perfette, mentre combatte nel più angusto dei vicoli, quando sfreccia con una Cinquecento gialla per le strade di Roma mai così fresche e pulite (anche lo scontro tra le auto e lo sfondamento di Trinità dei Monti è una danza), mentre sfida il più spietato e glaciale dei cattivi sul tetto di un treno talmente veloce da mettere in crisi la teoria della relatività di Einstein. E’ un balletto, la nuova avventura super-mega-kolossal di Tom Cruise, quella prevalentemente girata nella città eterna, tra le calli di Venezia e in mezzo alle Alpi austriache. E’ la sfida continua alle leggi della fisica (e della logica), è il capovolgimento della materia. E’ un’opera d’arte astratta. Cubista, come minimo.

Non è solo un action movie

Allora: tutto l’infinito dibattito sul Mission: Impossible numero sette, quello complicatissimamente sottotitolato Dead Reckoning – Parte Uno, parte da un equivoco. MI-7 non è un film d’azione. O, se non altro, non è semplicemente un film d’azione. E’ una composizione concettuale portata al cinema e trasformata in un blockbuster, un luogo dell’immaginario che estende i confini della settima arte all’ennesima potenza, un po’ come l’intelligenza artificiale (L’Entità) che minaccia i destini dell’universo abitato dagli umani, il quale universo l’agente speciale Ethan Hunt è chiamato a salvare, ancora una volta (l’ennesima).

Insomma: non è il caso di credere troppo alla campagna promozionale del film, che ce lo vendono come grande immenso, infinito action movie. L’ultimo vero divo di Hollywood, Tom Cruise, e il suo regista nonché sceneggiatore oramai di fiducia, Christopher McQuarrie, sono del tutto consapevoli dell’operazione di Dead Reckoning Parte Uno.

Ethan Hunt alle estreme conseguenze

Che è, in prima linea, quella di portare il mito di Ethan Hunt alle sue estreme conseguenze narrative: ossia, Ethan Hunt è sì un eroe che salva come sempre il mondo portando al massimo limite immaginabile la sospensione della credulità (il fondamento del 90 per cento degli odierni prodotti hollywoodiani, dalla marvelizzazione dell’immaginario in poi), ma è soprattutto la  sovrapposizione tra l’attore Cruise e il personaggio Hunt – anche e soprattutto grazie ai suoi stunt ai limiti dell’umanamente possibile – a far diventare Mission: Impossible un oggetto leggendario: in altre parole, non è racconto di leggenda, è esso stesso leggenda.

Fin qui, s’è già detto e letto. L’elemento nuovo è che a questo giro l’operazione di McQuarrie e Cruise – condotta con assoluta lucidità – porta lo Ethan-Universe ad uno stato di quasi astrazione.

Prendete i dialoghi (molto bistrattati da molti critici): certo che sono distanti anni luce da uno scambio di battute anche solo remotamente realistiche. Anzi, di più: sembrano usciti da una pièce teatrale del formalismo russo, tanto sono squadrati e geometrici. Personaggio uno dice una cosa, personaggio due completa la prima parte della frase, personaggio tre conclude il ragionamento (talvolta iper-astruso e pseudoscientifico, però detto con la stessa scioltezza con la quale voi dite che andate a comprare il latte al mercato).

C’è chi ha parlato di “effetto Qui, Quo, Qua”: niente di meno strano, se si pensa che molta arte concettuale del primo Novecento era un’apparente semplificazione estrema, vedi i fumetti estremizzati di Roy Lichtenberg e ovviamente le riproduzioni pubblicitarie di Andy Warhol. Difficile immaginare che McQuarrie non li abbia scritti di proposito in questo modo, i dialoghi.

Il gioco delle maschere

E ancora. Scambi di persona, di identità (ossia di volti, com’e d’abitudine in Mission: Impossible) all’ennesima potenza: e qui siamo al classico gioco delle maschere che conosciamo dal teatro greco al già citato teatro kabuki giapponese (gestito con grande fascino dalla bellissima Vanessa Kirby nei panni della Vedova Bianca). E pura maschera nipponica è il personaggio di Paris (Pom Klementieff, attrice francese nata in Canada da madre coreana, poi ammalatasi di schizofrenia, e padre russo francese, ma ha vissuto anche in Giappone e nella Costa d’Avorio… quando si dice il crocevia delle identità): trattasi di una killer instancabile che ogni volta sembra sbucare dal nulla, di cui pura astrazione sono le movenze da combattimento, ma ancor più lo sguardo sgranato ed il grido da samurai femmina.

Tom Cruise e Vanessa alla prima londinese di "Mission: Impossible - Dead Reckoning Part One" a Leicester Square

Mission: Impossible – Dead Reckoning Part One a Leicester Square

Picasso e Keaton sull’Orient Express

Non è finita qui. Assolutamente cruciale è la lunghissima scena dell’Orient Express. Sorvoliamo sul perché e per come i nostri eroi si trovino su quel treno (niente spoiler, gli algoritmi possono continuare a dormire il sonno dei giusti), sorvoliamo sulla presenza della Cia in quei vagoni: preceduta dal leggendario salto in moto di Cruise da una montagna in mezzo al cielo aperto (sì, lo ha fatto davvero), la cosa importante è che nella sequenza c’è un grande e grosso treno sospeso, dotato di molte carrozze, per aria.

Eh già: è decomposizione della materia, è fisica capovolta, è cubismo trasformato in film. E’ puro Braque, è il primo Picasso, è materia decomposta e ricomposta. E’ volti deformati, sono le Demoiselles d’Avignon dell’immenso Pablo (andate al Moma di New York a verificare, se non ci credete). Di nuovo: non fatevi fuorviare dal contesto chiamato action movie, perché qui dentro ci trovate anche il Chaplin dei primi muti, c’è un tocco di Buster Keaton, un’eco luminosa di slapstick comedy, con i corpi che rotolano già e su come birilli, in cui risata e suspense vanno di pari passo.

Ilsa e Degas, il segreto sta nei nomi

E se qualcuno vuol trovare la prova finale del piano diabolico di Cruise & McQuarrie, basta scorrere i nomi di molti dei personaggi di Mission: Impossible Dead Reckoning – Parte Uno. Hunt vuol dire caccia, è questo si sa. Ma il cattivo dei cattivi si chiama Gabriel, e ovviamente il riferimento, per contrapposizione, è all’Arcangelo Gabriele. Andiamo avanti. Altri due comprimari di rilievo si chiamano rispettivamente Degas (come il pittore impressionista Edgar Degas, quello famoso, guarda un po’, per le sue ballerine) e Zola (come Emile Zola, lo scrittore, filosofo e saggista considerato esponente del naturalismo, quello del vibrante “J’accuse” dell’affare Dreyfus). Un vero capolavoro di suggestioni incrociate, infine, si concentra nel personaggio della misteriosa e bellissima agente rogue interpretata da Rebecca Ferguson: si chiama Ilsa Faust. Ilsa, come Ilsa Lund di Casablanca, e Faust come il Faust di Goethe (avete presente: il patto tra Faust e Mefistofele). Coincidenze? Non crediamo proprio.

Ai tempi del primo capitolo della saga, diretto da Brian De Palma e datato 1996, Mission: Impossible era ancora uno spy movie. Oggi è molto di più, qualcosa di meno, sicuramente è qualcosa di diverso: è Hollywood che si trasforma in una spettacolare avventura innervata del cubismo dell’anima. Una danza ai confini della mente.