Gli sceneggiatori di Madame Web sono gli stessi di Morbius. Un dettaglio – che dettaglio non è – da non sottovalutare, visto soprattutto l’andamento che sta prendendo il filone supereroistico della Sony Pictures, che magari non riesce propriamente a mettere a segno i suoi film, ma almeno le va riconosciuta la coerenza. La medesima che vuole il film con Dakota Johnson, diretto da S.J. Clarkson, come una di quelle vecchie pellicole da inizio anni duemila, che non avevano però lo stesso acume e lo sprint dello Spider-Man di Sam Raimi.
A cui forse, molto probabilmente, anche Madame Web tenta di puntare – giocando facile, essendo anche ambientato nel 2003 e potendo così giocare con quell’estetica – ma che deve ringraziare il cielo per essere in grado di raggiungere la sufficienza che il dottore di Jared Leto non era riuscito nemmeno a sfiorare.
Forse, su questo manipolo di cinecomic da serie B, che guardano alla Marvel pur sapendo di essere un’altra cosa (e, insieme, volendolo), solo Venom è capace di spiccare in quanto lungimirante nell’abbracciare completamente la sua anima gigionesca e caciarona. Scollegata da qualsiasi gravitas si possa mai dare a un eroe, anche quando, come in tal caso, si tratta di un “anti”.
Ma torniamo su Madame Web e sul perché, sebbene con una ricezione oltreoceano pessima e il suo eco che risuona anche sulla stampa italiana, alla fine il film non è altro che uno di quei divertissement da dimenticare, ma che sul momento fanno molto meno male di tanta feccia che ha da offrire il cinema d’intrattenimento attuale. Pessima CGI compresa – e qui, di effetti digitali imbarazzanti ce ne sono, seppur meno di tanti altri.
Madame Web, tutti i buchi della rete narrativa
Cassandra Webb è una paramedico cresciuta in affidamento il cui migliore amico ha come nome Ben (particolare irrilevante, se non fosse evidente che sia lo stesso zio Ben di Peter Parker, seppure il film non lo va mai a esplicitare).
Vissuta un’esperienza traumatica, finita nelle acque di certo non limpide di New York, nella donna si attivano dei poteri rimasti latenti fin dalla sua nascita e che le permettono di prevedere il futuro. Sarà così che riuscirà a salvare le adolescenti Julia Carpenter, Mattie Franklin e Anya Corazon da Ezekiel Sims, misterioso villain che vuole uccidere le ragazze, prima che siano loro a farlo fuori.
Basterebbe già partire dal cattivo di Madame Web per capire che, a livello di storia, la pellicola fa acqua da tutte le parti. Non si sa chi è Ezekiel Sims, né da dove viene, dove vuole andare e quali sono effettivamente i suoi piani, oltre a voler fare fuori le tre eroine che, un giorno, andranno a cercarlo.
Ha un piano, un grande piano nella sua mente, uno di quelli che per portare a compimento ha richiesto da parte sua l’uccisione di molte persone. Ma non è che si comprenda mai bene il motivo per cui si è sbarazzato prima della madre di Cassandra e voglia poi fare lo stesso con le tre fanciulle. Un villain, insomma, che serve solo a fare il villain, senza darsi troppe spiegazioni.
La vera sorpresa: nessuna scena post-credit
Sulla scia di questa totale assenza di tridimensionalità del cattivo del film, si sviluppa il resto della pellicola. Tutto accade, si sussegue e giunge alla propria conclusione non aspettandosi che ci siano motivazioni o rivelazioni che portino avanti l’opera. È un evento scatenante, l’incontro di Cassy che si ritroverà a salvare le tre adolescenti, che porterà la protagonista a compiere di tutto per proteggerle da Ezekiel. E, in sostanza, a fare il film.
Un unico obiettivo e nessuna profondità nella storia. Eppure, comunque, una pellicola che va da A a B. Di cui non si capisce il perché della realizzazione e non si crede riuscirà mai a raggiungere la fine dell’alfabeto (ossia il proseguimento del Sony’s Spider-Man Universe), ma che viene confezionato e impacchettato per nascere e morire nel tempo della sua visione. Facendo, per questa sua durata, non tanto divertire, ma quantomeno distrarre.
Una brutta effettistica a cui, purtroppo, siamo abituati, un viaggio in Perù nel bel mezzo della narrazione che crea un inverosimile wormhole e un’intensità nella descrizione dei personaggi che sarebbe bastato mettere un cartonato delle quattro attrici per dare loro più spessore – e, soprattutto, nessuna scena post-credit.
Ma, nonostante tutto il male, la consapevolezza che i prodotti supereroistici della Sony valgono come i blockbuster che vedevamo da ragazzini su Italia Uno. E, se ne accettiamo le condizioni, è possibile viverli nello stesso modo.
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