DallAmeriCaruso, Walter Veltroni racconta Lucio Dalla: “Fu un rabdomante della musica”

Un film su un concerto ritrovato, quello del 23 marzo 1986, quando Dalla e gli Stadio si esibirono al Village Gate di New York, tempio del jazz che prima di loro aveva ospitato giganti come Miles Davis e John Coltrane. "Era il cantante che più assomigliava all'universo felliniano. Ed è tra quelli che hanno lasciato il segno più profondo". La video-intervista con THR Roma

Una vetrata enorme, New York all’orizzonte. A guardarlo, Lucio Dalla. Spogliato di ogni indumento, con indosso solo il suo riconoscibile e caratteristico cappello. Avrebbe compiuto ottant’anni il 4 marzo 2023, il primo tra i cantautori visionari, e Walter Veltroni lo celebra con un documentario sulla sua opera: “Era un rabdomante che cercava ispirazione ovunque. Era un raccontatore di storie al confine tra realtà e fantasia, ed in questo, per me, era felliniano”.

Portava con sé un’aura di perpetua innovazione, Dalla, “tra i protagonisti della canzone d’autore italiana che hanno lasciato un segno più profondo”. Trainò la musica cantautorale ad un livello di sperimentazione mai raggiunto prima e tutt’ora solo suo. Una sorta d’avanguardia che il 23 marzo 1986 giunse anche in America, dove Lucio Dalla e gli Stadio si esibirono in un concerto (fin ora perduto) al Village Gate di New York, che prima di loro ospitò capisaldi del jazz come Miles Davis e John Coltrane.

Walter Veltroni tenta l’impresa di raccontare in un documentario questi giorni newyorkesi e la creazione della scaletta eseguito in quella sede. Manca solo una canzone a completare quella setlist perfetta, che poi diventerà l’album (omonimo del documentario, che uscirà in sala 20, 21 e 22 novembre) DallAmeriCaruso. Dalla si interroga su quale potrebbe essere l’ultima figlia, quella mancante. E il suo intuito lo porta a Caruso, brano scritto nella camera dell’hotel sul Golfo di Sorrento dove il tenore italiano soggiornò anni prima. Il cantautore si sente profondamente ispirato dalla leggenda che ruota attorno a quella che qualcuno ha definito “la prima popstar della storia”, e dall’aura che ruota attorno a quel personaggio nella costiera sorrentina. E parlando con chi quel luogo lo ha abitato, assorbendo ogni testimonianza, compone quello che per alcuni sarà il suo più grande successo, “in dieci minuti”.

Veltroni, a sua volta, sviscera la leggenda del brano Caruso fornendosi della narrazione di amici e collaboratori di Dalla. Da Gaetano Curreri degli Stadio, alla corista Angela Baraldi, passando per i proprietari dell’hotel in cui Lucio – come Caruso – trovarono ispirazione durante il processo creativo.

Dalla racconta il Muro di Berlino, la storia della sua Bologna, ma anche emozioni e passioni individuali, facilmente riconoscibili come collettive. DallAmeriCaruso, dunque, vuole ripercorrere e contestualizzare la genesi di un capolavoro. Di un album – e di un concerto – che ha cambiato radicalmente la musica italiana, dando un senso nuovo al cantautorato italiano, e scrollandosi di dosso l’accezione di musica leggera. Il tutto “nasce dalla fortuna di ritrovare dei nastri integrali del 1986, e di poterli rigenerare in termini di immagine e di audio” di quel famoso live perduto. E Veltroni riesce nell’intento di raccontare l’autore attraverso la sua opera, in un concerto impeccabile dal punto di vista canoro, strumentale ma soprattutto emotivo.

Lucio suona, canta e vocalizza senza soste. Un’ora e mezza di esibizione, con quindici brani eseguiti quasi senza prendere fiato. Il tempo è scandito dal battito di mani del pubblico, che non conosce le parole ma sembra toccato in tutto e per tutto dalla musica. Fa qualche pausa, Dalla, ma solo di pochi secondi, per parlare. E poi, intermezzi d’avanguardia, moderni vocalizzi per fondere la sua voce col brano successivo, emozionando un pubblico sconosciuto dal primo all’ultimo minuto. Poi si schiarisce la voce, E ricomincia il canto.