Cade il 15 ottobre il centenario della nascita di Italo Calvino. Tra le molte celebrazioni in programma per rendere omaggio alla vita e al lavoro di uno dei pilastri della letteratura del Novecento c’è anche Italo Calvino, lo scrittore sugli alberi. Un documentario diretto da Duccio Chiarini e presentato come preapertura alle Giornate degli Autori il 29 settembre nella sezione Proiezioni Speciali. Chiarini rilegge il percorso artistico dell’autore attraverso una delle sue opere più note, Il Barone Rampante.
Il romanzo del 1957 diviene il prisma attraverso cui osservare il rapporto tra l’opera di Calvino e i contesti storici che ha attraversato. Inoltre una serie di interviste, da quella alla figlia Giovanna passando per Paolo Virzì e Stefano Bollani, insieme a filmati, foto e lettere inedite offrono un nuovo sguardo sullo scrittore sottolineandone la sua assoluta modernità.
Ricorda la prima volta in cui si è imbattuto in Italo Calvino?
Sicuramente a scuola. Non saprei dire con esattezza se si trattasse di Marcovaldo. Ma immagino sia stata una delle prime letture a cui poi è seguita quella de Il barone rampante nell’edizione per i ragazzi delle medie. A questo primo incontro dell’infanzia si aggiunge quello arrivato anni dopo, tra il liceo e l’università. Ho letto un po’ più cose, romanzi e racconti, e in particolare ricordo bene che rimasi molto colpito dalla raccolta delle sue interviste. Nelle pagine di Eremita a Parigi c’era un bellissimo approfondimento di cos’era la vita degli intellettuali e degli scrittori sia durante il ventennio fascista ma soprattutto poi durante gli anni Quaranta e Cinquanta. Quando mi è stata offerta la possibilità di realizzare il documentario, ho deciso di partire da quelle interviste, dalla coincidenza non solo temporale ma anche tematica, dai legami che uniscono l’allontanamento di Calvino dalla politica con l’uscita de Il barone rampante.
Come ha lavorato sul testo in relazione ai punti di contatto che ci sono tra la vita di Calvino e quella del protagonista del libro?
Il barone rampante è appassionante, divertente, molto poetico. Tutti ne hanno sentito parlare, tutti l’hanno letto, ovviamente tutti lo associano a un’età giovanile forse perché è lontano nel tempo. Nelle edizioni scolastiche viene dato molto risalto alla storia d’amore. C’è questo ragazzino che vive sugli alberi, c’è l’elemento dell’avventura, quasi picaresco, ma passa un po’ sempre in seconda luce. L’aspetto invece più etico, morale, politico e filosofico della vicenda di Cosimo Piovasco di Rondò, era per me il prisma attraverso cui osservare lo sguardo di Calvino sulle cose. Uno sguardo formato in età giovanile che riuscirà a preservare nella sua dimensione della lucidità, della purezza. Uno sguardo dall’alto, soprattutto perché ne Il barone rampante non sono poche le pagine dedicate alla riflessione su temi politici, nel senso più nobile della parola, e sulla cosa comune. Perché la vicenda del Barone rampante non è la storia di un uomo che decide di salire sugli alberi per staccarsi dal mondo.
Il suo documentario è ricco di immagini di repertorio. Come ha lavorato su quel materiale dal punto di vista narrativo?
Il documentario è stato realizzato in collaborazione con la figlia di Italo Calvino, Giovanna, che ha messo a nostra disposizione gli archivi, spaziando dalle lettere dello scrittore alla famiglia fino alla corrispondenza con sua moglie Chichita passando per dei filmati inediti che ritraggono Calvino bambino nei giardini di Villa Meridiana quando aveva due o tre anni e che sono stati ritrovati in maniera abbastanza rocambolesca. Sono delle immagini delle bobine degli anni Venti che furono conservate da Italo Calvino in una scatola che teneva in un armadio, forse filmate da suo padre. Avevano una patina di 9 mm e mezzo e quindi abbiamo avuto la fortuna di poterli digitalizzare e mostrare. La scelta di quale materiale inserire è nata in maniera armonica rispetto al racconto. L’idea era quella di provare ad aprire anche allo spettatore le porte di questa vasta ricchezza. Il lavoro è stato fatto cercando di scegliere i passaggi, le immagini, le lettere più significative e rimanerci a lungo in modo da poter permettere di leggerle e di entrare nella bellezza del testo, nei disegni con cui Calvino accompagnava i suoi scritti.
Quello di Calvino è sempre stato un pensiero anticipatore. Nel documentario lo si sente pronunciare una frase: “Se siamo bombardati da immagini che arrivano dall’esterno, quale sarà poi la nostra capacità di immaginare”. Secondo lei, se oggi Calvino avesse modo di dare una sbirciata ai giorni nostri giorni, cosa penserebbe?
Non so se sono in grado di rispondere a questa domanda (ride, ndr). È vero però che all’interno del film ho cercato di soffermarmi su una caratteristica del suo pensiero quasi commovente per quanto è nitida: la cristallinità del suo sguardo. È un esercizio che è riuscito a fare sempre, mantenendosi a quella certa distanza che gli ha consentito di osservare le cose senza mai venirne trascinato ma provando a contribuire con la propria attenzione. Da questo punto di vista sicuramente la grande sfida è quella di trasformare la letteratura in uno strumento per raccontare non soltanto storie ma l’esperienza umana legata anche alle scienze, alle arti, al pensiero.
Questa limpidezza di sguardo gli permetteva di fermarsi sulle questioni più profonde e quindi, ad esempio, di anticipare il problema ambientale. Non so su cosa si soffermerebbe oggi il suo sguardo avendo già anche affrontato il tema dell’intelligenza artificiale. Sicuramente, come sottolinea nell’intervista alla Rai che con cui si chiude il film, punterebbe sul non lasciare mai andare la capacità del pensiero, di non affidarsi alle macchine ma di continuare a imparare le poesie e fare i calcoli a memoria. Questa consapevolezza della dimensione umana, la valorizzazione dell’intelligenza penso sarebbero ancora il suo modo di guardare al presente.
Il rapporto con Giovanna Calvino com’è stato?
Quando mi è stata offerta la possibilità di realizzare il film il nostro rapporto si è subito sviluppato in maniera molto positiva. Giovanna è stata sempre molto disponibile ad aiutarci a rendere fattibili le cose di cui avevamo bisogno. È la presenza fondamentale per l’armonia del film. La generosità nel racconto di chi veramente ha vissuto il padre in maniera completa, sia per quanto riguarda il suo aspetto pubblico che quello privato.
Quale sia la sua modernità a caratterizzare l’eredità di Calvino?
Calvino è diventato un classico della letteratura italiana. Non penso che si riesca ad essere moderni provando ad anticipare. Penso che si riesca ad essere attuali e sempre moderni quando si riesce a cogliere i tempi universali dell’esperienza umana, quando si riesce ad avere uno sguardo limpido e provare a staccarsi da terra per cogliere le cose che cambiano ma che poi non cambiano mai. In quest’ottica mi vengono in mente le pagine de Gli amori difficili. Sono dei racconti bellissimi, al netto del fatto che la società è cambiata così come il ruolo dell’uomo e della donna – migliorati in tante cose, migliorabili ancora in altre -, però lì Calvino mette in scena la sua abilità di usare allo stesso tempo sia il telescopio che il microscopio. Questo gli permette di essere molto vicino a livello empatico ai suoi personaggi, ma allo stesso tempo molto lucido su quelli che sono i meccanismi e le assurdità della vita umana. Questo penso caratterizzi la limpidezza del suo sguardo. Ciò che gli permetterà di rimanere un classico per tanto tempo a venire.
Una produzione in collaborazione con in collaborazione con Fondazione Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia con il supporto di CNC (Centre National du Cinema et de l’Image Animèe) Procirep (Sociètè des Producteurs de Cinèma et de Tèlèvision.
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