Per Dorka Vermes, regista e sceneggiatrice di Árni, non può esistere cinema senza vulnerabilità. Non le interessano le storie intellettuali, i dialoghi arzigogolati o le congetture sopraffine. Vermes vuole scorgere dietro lo schermo la profondità del racconto, dei suoi personaggi e, se non ne intravede nella narrazione, vuole almeno che si riesca a cogliere dalla mano di chi è dietro la macchina da presa.
Per questo il suo protagonista, la cui fragilità è evidente a colpo d’occhio, è quello che scava più nell’intimo nei tre film di Biennale College Cinema, progetto a cui l’autrice ungherese ha partecipato e ha usufruito del micro-budget da 200.000 euro per la produzione dell’opera.
A contrapporsi alla gracilità fisica ed emotiva del protagonista, è il circo sciatto e sgangherato che Dorka Vermes ha costruito alle spalle del giovane, che dà anche titolo alla pellicola. Árni è l’unico non appartenente alla famiglia di circensi per cui lavora e accetta di essere considerato dagli altri “l’intruso”, seguendoli di cittadina in cittadina, trovando solo in attimi fugaci un briciolo di calore. Scambi fulminei con degli estranei con cui il ragazzo consuma amplessi veloci e distaccati nei bagni o per le strade, prima di ritornare all’isolamento quotidiano.
Sarà quando al circo verrà consegnato un pitone da addomesticare che il giovane troverà finalmente qualcuno – o, sarebbe meglio dire, qualcosa? – con cui poter stringere un contatto. Che sia carnale o sentimentale non importa.
Árni, l’amore di (e per) un pitone
Seppure la vita di Árni è associabile a quella di tanti personaggi – con i loro disagi – che si sono succeduti nella storia del cinema e gli espedienti narrativi del film assomigliano ad altri già utilizzati, col suo lavoro Vermes tenta di sfruttare al meglio le proprie risorse. Dall’investimento economico (contenuto) alla scelta delle inquadrature, dalle location al casting degli attori.
È prendendo ispirazione da una persona reale, il suo amico Péter Turi, che l’autrice è partita per stendere la storia. Ed è sempre la stessa persona ad averlo interpreto. Árni/Péter viene avvolto dall’occhio dell’obiettivo, stretto come nella morsa che il pitone stringe attorno al ragazzo. Sulle spalle, sul petto, sui fianchi.
Dorka Vermes trasporta la fascinazione per Péter nella dimensione cinematografica di Árni e trasmette allo spettatore tutto il suo mondo interiore. L’essere solo, anche nel mezzo del gruppo di lavoro. L’orientamento sessuale, in un paese in cui se sei gay non sei bene accetto. Sentirsi incapace di ricevere qualsiasi tipo di amore, allora può bastare anche quello di un serpente con le squame, non fa niente se farà male.
Semplice e delicato, pur privo di un guizzo espressivo che dia davvero spinta al racconto, il film Árni è in simbiosi col suo protagonista: è un’opera timida, che vorrebbe osare. Che cerca il proprio posto in mezzo agli altri e che, a differenza del ragazzo, pur faticosamente riesce a trovarlo.
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