Le edizioni di Biennale College Cinema sono arrivate a dodici e Savina Neirotti, head of programme, ha fatto parte di tutte. A dire la verità, è proprio lei ad aver dato il via al progetto. Già creatrice del TorinoFilmLab, laboratorio internazionale che include corsi di formazione, un mercato di co-produzione e un sistema di finanziamento, Neirotti è la spinta propulsiva dietro i workshop finalizzati alla realizzazione di opere a micro-budget – 200 mila euro, per la precisione -, che ogni anno mettono insieme voci provenienti da tutto il mondo, riunite sull’isola di San Servolo.
Filmmaker e produttori che si ritrovano a trascorrere tempo insieme tra incontri e scambio di idee, col fine di portare a termine la messa a punto di un film e portarlo sul grande schermo nell’arco di dieci mesi. Una follia, per alcuni. Un’utopia diventata realtà per Savina Neirotti e il suo team, che continuano a incrementare opere e finanziamenti mostrando che un altro tipo di produzione è possibile.
Che valore hanno assunto i workshop di Biennale College Cinema?
Il workshop è fondamentale, soprattutto quello che svolgiamo nel mese di ottobre, perché è quello in cui impostiamo l’idea, lavorandoci poi a fondo. Su questa base facciamo una selezione di quattro progetti, di cui uno italiano e almeno due di registe femminili, i quali continuano il loro percorso con altri due workshop e un successivo finanziamento di 200 mila euro per permettere di rendere la sola “idea” un autentico film, da presentare successivamente alla Mostra di Venezia.
Qual è l’obiettivo di questi workshop?
Uno degli aspetti che mi preme più riportare dell’esperienza della Biennale College è che non è detto che tutti e dodici i progetti inizialmente selezionati alla fine diventeranno un film. Ma, ad oggi, siamo a circa settanta e più pellicole sviluppate, di cui trentasette finanziate direttamente e che includono su per giù quarantotto paesi diversi. Biennale College Cinema va oltre la sola produzione dei singoli film. È la possibilità di dare un aiuto concreto.
Un segno è anche l’aumento del finanziamento, passato da 150 mila a 200 mila euro?
Sì, per i primi dieci anni il finanziamento era di 150 mila euro. Ora abbiamo aumentato a 200 mila. Chiamiamola inflazione, se vogliamo, ma dopo dieci anni, e visti i tempi che stiamo correndo, ci sembrava la cifra minima per produrre un film a micro budget. Abbiamo dato un’occhiata al clima economico mondiale e ci siamo adeguati ai tempi.
Oltre che alle necessità dei creativi?
Ci sono due punti fondamentali che fanno parte delle radici del college. Il primo è il permettere ai giovani di realizzare un lungometraggio dall’inizio alla fine. E il secondo è di costruire un solido team creativo. I workshop, infatti, non sono aperti solo ai registi, ma al lavoro di coppia insieme ad un produttore. Si tratta di collaborare con le altre persone, di vivere quest’avventura creando una community formata da gente che arriva da ogni parte del mondo e impara a gestire tempi e soldi di una produzione.
Come è corretto definire, dunque, l’esperienza che offre il college?
È un percorso formativo completo. Stando ai tempi e alla situazione del cinema attuale, in particolare quello europeo, riuscire a sviluppare un’idea e a distribuirla è un’operazione impossibile. Se tutto va bene, ci vogliono almeno tra i quattro e i cinque anni. Con Biennale College Cinema cerchiamo di accorciare i tempi e di portare a termine i progetti in cui crediamo.
Arrivando anche in sala. Pensiamo all’ultimo Come le tartarughe di Monica Dugo, attualmente al cinema.
Esattamente. Anno dopo anno, inoltre, riusciamo a chiudere sempre più distribuzioni prima ancora di arrivare all’anteprima al festival di Venezia.
L’incontro di tanti filmmaker e produttori ha portato una varietà nei progetti?
Ciò che vorrei venisse davvero fuori è che Biennale College trascende la produzione vera e propria. Che il supporto che si dà ai film permetterà ai filmmaker di affrontare gli ostacoli che si troveranno davanti in futuro. È un modo di pensare il cinema, non solo di farlo. E quindi di interrogarsi sulla propria voce. Il metodo che viene insegnato non serve a unificare le visioni dei vari artisti, non esistono paletti. È dare un indirizzo al film, mostrare qual è la strada da percorrere, mantenendo la propria personalità. Le opere di Biennale College 2023 di quest’anno sono emblematiche: le storie sono diversissime l’una dall’altra, così come l’intero corpus di questi dieci e più anni.
Si può dire che ogni film ha ben radicate le proprie radici?
Molti dei film sono legati al territorio. Registi e produttori lavorano con gli elementi della loro cultura, che viene poi riflessa nelle pellicole, trovando una chiave universale così che possano parlare a tutti. C’è un luogo del cuore e dell’anima che viene raccontato, oltre a un luogo fisico.
Quella che sta attraversando Biennale College era la strada che si era immaginata quando è partito il programma?
Sono presente fin dall’inizio, essendo la persona che ha ideato il progetto da zero. Anni prima avevo creato il TorinoFilmLab, altro laboratorio importantissimo, che si occupa però di formazione e coproduzione. Il college, invece, riguarda la produzione. Lo spirito è comunque affine: andare in profondità nella realizzazione di opere e idee. È una gratificazione enorme vedere di non aver solo raggiunto le aspettative, ma averle addirittura superate. Non posso che ringraziare l’appoggio della Biennale nell’accogliere il progetto e averlo reso quello che è oggi. E Alberto Barbera, che ci ha dato carta bianca.
È uno dei vostri più grandi sostenitori?
Sì, ha sempre creduto nel progetto. A differenza di tanti altri. Non tutti pensavano fosse un progetto realizzabile, al principio. Fare un film di qualità in circa dieci mesi e con un budget ridotto? Impossibile, dicevano. Ma la verità è che 150 o 200 mila euro possono essere sfruttati al massimo se si parte da prima, concependo una storia sapendo di avere dei limiti e per questo cercando costantemente di superarli.
Qual è l’insegnamento che spera resti più impresso in chi frequenta il college?
Che con questo sistema puoi fare film senza il peso dei finanziamenti. Spingiamo i produttori a dirigersi verso una produzione creativa, a ragionare sui metodi e sui contenuti, riflettendo sui modi dei finanziamenti, dando loro la possibilità di agire in libertà. Tanti registi, soprattutto italiani e francesi, hanno la tendenza a non credere nel confronto e al fatto che si può parlare davvero in maniera costruttiva del cinema, anche quello d’autore a cui sono tanto legati.
Ecco quello che fa Biennale College Cinema: mostrare il gesto creativo che può generarsi dall’attenzione al budget, agli insegnamenti dei tutor, di altissimo livello, e di capire come concretizzare al meglio le proprie idee. È un’avventura umana in cui raccogliere feedback e opinioni differenti, trovando la risposta nel proprio team.
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